Taviani

Addio a Vittorio Taviani, protagonista del cinema italiano impegnato, registratore, insieme al fratello Paolo, della verità poltica e sociale italiana

È morto a Roma, malato da tempo, il grande regista Vittorio Taviani, 88 anni, che con il fratello Paolo ha firmato capolavori della storia del cinema italiano, registrando senza orpelli la cruda verità politica e sociale della nostra Italia, insieme alle debolezze umane, da Padre Padrone (Palma d’oro a Cannes nel ’77) a La Notte di San Lorenzo a Caos fino a Cesare deve morire (Orso d’oro a Berlino). Lo annuncia all’Ansa una delle figlie, Giovanna. Per volontà della famiglia non ci saranno camera ardente né funerali. Il corpo del regista verrà cremato in forma strettamente privata.

Vittorio Taviani era nato a San Miniato, in provincia di Pisa, il 20 settembre del 1929. Con il fratello Paolo, di due anni più giovane, aveva scritto alcune delle pagine più significative del cinema italiano. Due maestri che fin dagli anni Sessanta non hanno mai perso di vista, e hanno raccontato, la realtà, la storia, le contraddizioni del nostro Paese. Figlio di un avvocato dichiaratamente antifascista (cui le squadracce, durante la dittatura, fecero saltare in aria la casa) Vittorio frequenta la facoltà di Legge all’università di Pisa e nel frattempo, insieme al fratello – sono entrambi dei grandi appassionati di cinema – anima il cineclub della città e organizza proiezioni anche a Livorno, con loro c’è l’amico partigiano Valentino Orsini. Nel 1954 abbandona gli studi e, sempre insieme al fratello e a Orsini, realizza una serie di documentari a sfondo sociale. Alla base ci sono le suggestioni del Neorealismo, in particolar modo, racconteranno in seguito, Paisà di Rossellini. E’ di questo periodo San Miniato, luglio ’44, girato con la collaborazione di Zavattini, mentre nel 1960 firmano L’Italia non è un paese povero, tre puntate per la tv dirette da Joris Ivens, documentario dal destino travagliato sulle conseguenze della metanizzazione nel nostro paese.

Il debutto sul grande schermo risale al 1962, quando i Taviani e Orsini firmano il lungometraggio Un uomo da bruciare, con Gian Maria Volonté, ispirato alla vita di Salvatore Carnevale, bracciante, socialista di Sciara, in provincia di Palermo, attivo nel sindacato e nel movimento contadino, freddato da killer in Sicilia nel 1955. Un film di grande impatto morale che vince il Premio della Critica alla Mostra del cinema di Venezia. Seguirà il film a episodi I fuorilegge del matrimonio (1963), suggerito dal progetto parlamentare di “piccolo divorzio”. Da quel momento (senza Orsini) i Taviani firmeranno insieme una lunga filmografia che parte da Sovversivi (1967) e Sotto il segno dello scorpione (1969), sempre con protagonista Gian Maria Volontè.

Per i due fratelli viene il momento dei riconoscimenti internazionali. San Michele aveva un gallo (1972) vince il Premio Interfilm a Berlino. E dopo Allosanfàn, del 1974, con Marcello Mastroianni e Lea Massari, in cui si fotografa il “tradimento” della classe operaia, è con la biografia di Gavino Ledda Padre padrone, nel ’77, che conquistano Palma d’Oro e Premio della Critica al Festival di Cannes: a consegnarla è il presidente della giuria Roberto Rossellini mentre in Italia viene loro assegnato un David Speciale e un Nastro d’Argento. La carriera di Vittorio Taviani, inscindibile da quella di Paolo, continua con Il prato (1979) e La notte di San Lorenzo (1982), la storia drammatica di un gruppo di uomini e donne che fuggono dai tedeschi nel tentativo di raggiungere una zona occupata dagli alleati; un film bellissimo sulla speranza, contro tutte le guerre, scandito dalla musica di Nicola Piovani, che farà conquistare ai due autori Gran Premio della Giuria a Cannes, David e Nastri d’Argento per la regia e la sceneggiatura.

Insieme nell’84 come membri della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, nello stesso anno adattano quattro novelle di Pirandello in Kaos, ed è ancora David di Donatello e Nastro d’Argento per la sceneggiatura, scritta con Tonino Guerra. Nell’86 arriva il Leone d’oro alla carriera, mentre il loro percorso artistico prosegue con Good Morning, Babilonia (1988), Il sole anche di notte (1990, presentato fuori concorso a Cannes), Fiorile (1993), Le affinità elettive (1996), ispirato all’omonimo romanzo di Goethe. Due anni più tardi, realizzano Tu ridi (1998) film a episodi, seguìto dalle miniserie tv Resurrezione (2001) e Luisa Sanfelice (2004). Nel 2007 è la volta di La masseria delle allodole, dal romanzo di Antonia Arslan, ambientato nel 1915, le vicende di una famiglia armena in Anatolia all’epoca del genocidio armeno.

A 83 anni, un nuovo, importante riconoscimento: nel 2012 insieme al fratello vince l’Orso d’Oro al Festival di Berlino (mancava al cinema italiano dal 1991, quando andò a La casa del sorriso di Marco Ferreri) con Cesare deve morire: girato in stile docu-drama, segue la messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare a opera dei detenuti del carcere di Rebibbia, diretti dal regista teatrale Fabio Cavalli. Nel 2014, è uscito il deludente Maraviglioso Boccaccio: ambientato nel 1348, mentre la peste infuria a Firenze, segue dieci giovani che si riuniscono in una casa di campagna e per dieci giorni si raccontano storie d’amore, sesso, burle, per esorcizzare la malattia e la morte. Paolo e Vittorio Taviani hanno adattato cinque novelle del Decamerone alle esigenze del XXI secolo, cercando un confronto con le paure dei giovani contemporanei. Un impegno coraggioso che però non ha portato sullo schermo quell’essenzialità e liricità tipica di Boccaccio, facendo risultare la narrazione poco omogenea e indebolendo la costruzione filmica soprattutto a causa della cornice, costituita dai giovani novellanti.

Il loro ultimo film è stato Una questione privata, lo scorso anno. Il film ritrova l’ambiente delle Langhe che Fenoglio descrive nelle sue pagine e quell’esperienza drammatica ma fondante che lo scrittore ha vissuto da ragazzo, ma che anche i fratelli indirettamente hanno conosciuto attraverso il loro primo documentario San Miniato ’44, sulla strage nazista nella loro città natale, e poi con La notte di San Lorenzo. Per i registi portare Fenoglio sul grande schermo tanti anni dopo per loro “è la chiusura di un cerchio”, necessaria perché “il fascismo torna o tenta di tornare” avevano detto alla Festa di Roma. E loro sono rimasti fino a oggi fedeli alla loro fede antifascista. Peccato però che i due registi, pur ostinandosi a mescolare la guerra e i paesaggi rurali desolati alla questione privata, questo amore che mai si vede, probabilmente più un’ossessione, o forse appunto solo una “questione”, la cui incertezza logora via via la sanità mentale di Milton. E forse sta qui, il non sfruttato legame con la guerra, anziché nelle sporadiche scene di fascisti e partigiani, difatti infinite comparse che si incontrano e scontrano, si inseguono, scappano e ogni tanto si uccidono.

 

Fonti: http://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2018/04/15/news/e_morto_vittorio_taviani_con_il_fratello_paolo_tra_i_maestri_del_cinema_italiano-193924289/

Pubblicato da

Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

Exit mobile version