Dal 3 marzo al 25 giugno 2017, Palazzo Reale di Milano ospiterà una grande mostra dedicata a Édouard Manet (Parigi, 1832- ivi, 1883), il più grande pittore francese nella storia dell’arte, considerato il precursore dell’impressionismo. Oltre cinquanta importanti capolavori trasporteranno i visitatori nella Parigi della metà dell’Ottocento, nella quale il maestro ha rivoluzionato completamente il modo di fare arte non solo per i soggetti “sconvenienti” ma per le innovazioni stilistiche, ponendo con la sua pittura a creare più di tutti una cesura con la tradizione artistica precedente aprendone le porte alla modernità.
L’evento, prodotto da Skira in collaborazione con il Musée d’Orsay, che avrebbe dovuto tenersi in autunno a Torino, si svolgerà dunque al Palazzo Reale di Milano. L’intento dell’esposizione è raccontare la trasformazione della Parigi fin de siècle attraverso le opere del grande pittore che si interessò di rappresentare gli eventi a lui attuali e i lati gradevoli e positivi della moderna vita parigina in quel tempo, gli anni definiti “bella époque”, caratterizzati dall’ascesa di quella borghesia moderata e conservatrice con il suo benessere economico e la vita spensierata da sfarzo che vide l’aggiunta di teatri, musei, ristoranti, casinò e soprattutto cafè, con la creazione di grandi viali e piazze, grazie all’intervento di Eugène Haussman, prefetto e urbanista francese, che realizzò lo sventramento del centro medievale della città, trasformando Parigi da città antica a metropoli moderna.
La mostra dal titolo al momento provvisorio Manet, la Parigi moderna comprende, accanto alle tele dell’autore, i capolavori di Cézanne, Renoir e Degas, protagonisti della vicenda dell’impressionismo la quale attraversa la storia dell’arte in una parabola che durò circa venti anni (1860-1880); in un allestimento grandioso, così come hanno preannunciato le curatrici Caroline Mathieu e Isolde Pludermacher.
Manet e la sua sfida all’arte accademica
Autore di opere provocatorie, avverso nei confronti dell’accademismo e acuto osservatore del vero, Manet si distinse nell’ambiente artistico parigino che vide il formarsi di un folto gruppo di giovani pittori antiaccademici: Societè anonyme des artistes, peintres, sculpteurs, graveurs, chiamati impressionisti, come Monet e Renoir, che si riunivano al Cafè Guebois esprimendo le loro idee su tutta la pittura dei secoli precedenti. Édouard Manet fu dunque l’anticipatore e il maestro della pittura impressionista, la quale si differenziava dalle altre per il modo di guardare la realtà esterna.
Figlio di un giudice, nacque a Parigi nel 1832. A diciassette anni, il padre lo avviò alla carriera di ufficiale di marina, attività nella quale egli dimostrò la sua inadempienza. La sua passione era la pittura la quale riuscì a seguirla dopo aver ottenuto il consenso paterno. Fu così che il giovane Manet iniziò la sua formazione. I primi anni furono i più difficili avvennero presso lo studio del celebre ritrattista francese Thomas Couture, dove Manet stette sei anni, nonostante il suo spirito ribelle nei confronti delle regole accademiche e del maestro con il quale si racconta dei loro scontri verbali.
Sulla scia dei pittori realisti dell’epoca, egli preferì rappresentare la realtà com’era e non nella forma astratta e idealizzata come imponeva l’Académie des beaux-arts. L’artista amava rappresentare ciò che l’occhio vede al di là del campo visivo, abolendo i canoni della pittura: come la prospettiva, la rappresentazione per volumi, il chiaroscuro. Egli creava figure bidimensionali racchiuse in contorni, rimeditando, da una parte, le stampe giapponesi, e, dall’altra lo studio del linguaggio tonale dai pittori veneziani del Cinquecento ai fiamminghi del Seicento, alla pittura degli spagnoli Velazquèz e Goya, per l’uso dei colori puri che fissa sulla tela.
Non è eccessivo attribuire l’invenzione dell’impressionismo all’esaltazione della pittura veneziana cinquecentesca. Giorgione, Tiziano, e le opere degli Spagnoli, infatti, influenzarono la definizione del suo stile quando egli passava la maggior parte del tempo al Louvre copiando e ammirando le opere durante i suoi numerosi viaggi in Europa, visitando Firenze, l’Austria, la Germania, il Belgio, l’Olanda, l’Italia.
Un’ulteriore tassello alla definizione della sua pittura fu dato dall’incontro dell’artista con Claude Monet, cambiando idea sulla modalità di lavoro abbandonando l’atelier e cominciando invece a dipingere il quadro en plein air, lasciando che il suo pennello seguisse la spontaneità, secondo una delle caratteristiche principali della nuova pittura.
Differenze tra Monet e Manet
Ma tra Monet e Manet esiste una sostanziale differenza: guardano in modo diverso la realtà. Se il primo è tutto concentrato sulle percezioni ottiche date dalla luce, importante per la percezione dei vari colori nella rappresentazione della realtà sensibile continuamente mutevole, cercando di fissare esclusivamente le proprie sensazioni nell’osservazione della natura, cogliendone l’attimo fuggente, cioè le sensazioni di un istante perché nell’istante successivo potrà generare sensazioni diverse, il secondo dimostra di ritrarre scene di ambientazione quotidiana sollevando scandalo e polemiche negli ambienti accademici, sia per i soggetti trattati sia per le tecniche impiegate, aprendo la strada della libertà espressiva.
Fu specialmente per Colazione sull’erba che, nel 1863, al “Salon ufficiale”, prestigioso appuntamento d’arte parigino, che scoppiarono le proteste, tanto che l’opera comparve solo al “Salon dei rifiutati”, un fatto mai avvenuto prima, aperto per l’esposizione delle opere rifiutate, sebbene il soggetto della gita all’aperto o del concerto campestre, era stato dipinto molte volte in passato da artisti come Giorgione e Tiziano, i riferimenti formali della sua pittura.


L’opera in questione ritrae una scena all’aperto con due personaggi in abiti borghesi, una figura femminile sullo sfondo e una donna nuda in primo piano. Gli accademici e il pubblico dell’epoca considerarono l’opera “volgare” non tanto per la presenza del nudo, ma per il fatto che quel nudo rappresentava una ragazza del tempo, non l’immagine di una figura idealizzata, come una dea o un personaggio mitologico, secondo i dettami della tradizione. Infine i personaggi non partecipano alla colazione ma è come se posassero per una foto, dunque, come la riproduzione di un’immagine reale.

Ancora una volta a rimandare a una foto è l’immagine di una modella nuda in una posa sfrontata sul letto: l’Olimpia. Presentata al “Salon” del 1864, l’opera, ispirata alla Venere di Urbino di Tiziano, provocò la rottura con l’Accademia in modo più esplicito. Mentre tutte le Veneri e le dee erano state rappresentate con sinuosità, l’opera risultò di difficile comprensione e la nudità è ribaltata: il corpo della donna emerge con un bianco uniforme che contrasta vistosamente con lo sfondo nero, la posa con la mano sinistra premuta sul ventre, ricorda alcune immagini pornografiche del tempo, il fiore nei capelli e il fiocchetto al collo fanno pensare che sia una prostituta, infine le pantofole mettono in evidenza che per casa giace nuda e ciò è ulteriore elemento provocatorio e dà l’impressione dell’aspettativa.
Come in una fotografia, dunque, ad indicare propriamente lo “scrivere con la luce” – dalla combinazione dei due termini greci phòtos (luce) e graphìa (scrittura) – così come accadeva nell’antica tecnica che proprio in questo secolo conobbe i suoi sviluppi in chiave moderna, Manet descrive virtuosamente la realtà quotidiana fissando attraverso il colore quel particolare istante impresso nella sua mente con l’utilizzo di pennellate giustapposte dai colori puri, cioè non miscelati, compresi il nero e il bianco, differenziandosi in ciò dai pittori propriamente impressionisti che li ritenevano dei non colori, sviluppando un nuovo modo di esprimere in pittura.
Nel 1874, anno della prima mostra dei pittori impressionisti presso lo studio del fotografo Nadar, infatti, Manet non partecipò all’esposizione, anche se questi lo consideravano un maestro e avrebbero voluto che egli facesse parte del loro gruppo.
L’ultimo Manet
Nell’ultimo periodo della sua attività Manet era gravemente ammalato, a causa di alcune forme reumatiche mai curate. Due anni prima della sua morte egli eseguì il suo ultimo importante dipinto: Bar delle Folies-Bergères, un caffè-concerto animato da spettacoli musicali di cui l’artista ritrae la cameriera dietro il bancone in una visione realistica in quel gioco di riflessi dello specchio alle sue spalle in cui si nota l’animata folla del caffè e, più a destra, la sagoma di un uomo che sta di fronte alla donna e le chiede da bere, superando così definitivamente le leggi della prospettiva; senza perdere il primo piano del volto della ragazza segnato dalla fatica e dalla frustrazione di questa ad attenersi a quelle regole.
Manet rifiutò di far parte dei pittori chiamati impressionisti, volendo più di tutto entrare con un riconoscimento ufficiale tra i grandi della pittura francese. Ci riuscì, ricevendo la Legion d’onore poco prima di morire a Parigi nel 1883 a soli cinquant’uno anni.
Fin dagli esordi realisti, la sua produzione artistica fu discontinua e ricca, comprendendo anche molti ritratti. Tutto questo sarà visibile in una grande esposizione a Palazzo Reale di Milano che rende omaggio a un grande artista della Parigi dell’Ottocento e padre spirituale dell’impressionismo.