lanthimos

‘La favorita’ di Lanthimos: un distillato di piacevole perfidia ancestrale candidato agli Oscar

I sentimenti umani più inestirpabili e ancestrali, la lotta per la sopravvivenza, il sesso e il potere, la cinica consapevolezza di un gioco al massacro che non è maschile o femminile bensì l’essenza ultima delle vite, delle società, del mondo. “La favorita” distilla un concentrato degli elementi basici di quella particolare forma d’arte che nonostante i collassi epocali continuiamo a definire “cinema”: una sceneggiatura dalla scintillante affilatura (tratta da una pièce di Deborah Davis scritta per la Bbc Radio e rielaborata da Tony McNamara), un’ambientazione in costume magistrale (grazie soprattutto alla sintonia tra il direttore della fotografia Robbie Ryan e la costumista Sandy Powell), tre protagoniste in stato di grazia e la regia del quarantacinquenne greco Lanthimos (“The Lobster”, “Il sacrificio del cervo sacro”) che riesce nell’impresa di mantenersi fedele alla vocazione per un cinema disturbante, feroce e provocatorio realizzando, invece, un film universale e accessibile, molto divertente ma di una piacevolezza striata di perfidia, autoriale eppure carico di candidature all’istituzionale pantomima degli Oscar.

Affermare che si tratta della rivisitazione del breve regno di Anna Stuart (1665-1714), ultima della casata scozzese a regnare sui britannici, sarebbe, in effetti, giusto e insieme fuorviante: “La favorita” anima scorci storici veridici concedendosi pochi e mirati flash anacronistici, lanciando battute come frecce avvelenate e lacerando l’involucro dei soliti film biografico-agiografici sia grazie allo stile sincopato e stilizzato, sia indirizzando lo sguardo nei meandri più oscuri del Palazzo reale e nei recessi più intimi e distorti del comportamento dei suoi frequentatori ai vari livelli della gerarchia (non a caso le riprese abbondano d’inquadrature realizzate con l’obiettivo grandangolare a occhio di pesce).

Parliamo di un film che non ha bisogno del riassuntino della trama e di cui, una volta tanto, sarà avvincente continuare a discutere a schermo spento. Il motivo sta nel fatto che i significati o per meglio dire i cortocircuiti moderni risultano ficcanti e a pieno titolo artistico invece d’essere spiattellati sullo schermo col solito, brutale didascalismo politicamente (femministicamente) corretto. Infatti alla corte inglese d’inizio Settecento due donne si contendono i favori, anche sessuali, della capricciosa e influenzabile regina (Colman, sublime), devastata dalla gotta e dalla frustrata voglia di maternità: la potente lady Sarah (Weisz) e l’ambiziosa sguattera ex aristocratica Abigail (Stone) che danno il loro peggio e il loro meglio in un combattimento sottotraccia di manipolazioni e/o seduzioni con la partecipazione ancora più subdola degli uomini ovvero ministri, cortigiani e politici di governo e opposizione imbellettati e imparruccati, dunque artefatti, molto più di loro.

Lanthimos è geniale nel confondere continuamente l’emotività degli spettatori, impossibilitati di fatto a parteggiare una volta per tutte per l’una o l’altra delle antieroine affamate di piacere e potere al di là di ogni “giustificata” ragione di ruoli, ranghi o diritti. Gli animali, una costante metaforica della sua filmografia, rappresentano il versante innocente dell’autentica bestialità di un microcosmo dedito a trastulli crudeli o peggio idioti, mentre i massacri guerreschi restano fuori campo in balia delle spregiudicate macchinazioni umane. A queste icone di una femminilità nobile e ignobile, ma in ogni caso emancipata dalla supremazia dei maschi non di rado ridotti a mero strumento per raggiungere uno scopo, la critica e i cinefili affibbiano molti padri, dal Kubrick di “Barry Lyndon” ai puzzle di Greenaway, da “Il servo” di Losey al cult movie “Eva contro Eva”. Abbandonatevi, piuttosto, al piacere del testo dando casomai un’occhiata ai libri e pamphlet del misantropo e nichilista Swift dei “Viaggi di Gulliver” e “Una modesta proposta”.

 

La favorita

Pubblicato da

Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

Exit mobile version