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“Loro 2” di Sorrentino: Ecce Homo

Forse è il caso di ringraziare i film di Paolo Sorrentino perché ogni volta risvegliano gli ardori non solo di tanti spettatori sonnacchiosi, ma anche delle persone che al cinema non ci vanno mai e di Bigelow o Nolan non sanno dire se siano musicisti o calciatori. Qualcuno potrà certo maledire gli zeli modaioli, ma diverte, invece, il fatto che il conoscente inaspettato o il vicino di treno s’improvvisino cinéfili; anche se poi tali esternazioni servono a poco perché il giudizio è quasi sempre espresso negli estremi anchilosati di ottimo o pessimo. Finendo, così, per fare contento il maestro sempre più convinto del paradosso preferito, ossia che hanno tutti ragione e la sfumatura è l’unica discriminante che conta e gli interessa. (“Pas la Couleur. Rienque de la nuance!”, Paul Verlaine). Come si era concluso il primo capitolo di Loro? Con l’epifania di Fabio Concato che sbuca sul prato di villa Certosa intonando la canzone del cuore della coppia scoppiata Silvio & Veronica: smarcatosi con uno dei suoi tipici dribbling autoriali dall’overdose di baccanali, il regista riusciva, così, a prendere ancora una volta in contropiede il controllo ideologico della storia e la leggenda del Grande Seduttore. Il secondo capitolo aumenta la pressione politica, dando a lungo l’impressione di volere correggere il tiro e dare un po’ di soddisfazione all’antiberlusconismo militante disorientato dal carnevale no-stop di sesso, droga e zingarate: prima allestendo lo show virtuosistico di Servillo/Silvio che, dopo avere dialogato con il proprio doppio, s’esibisce nel ruolo primigenio del venditore irresistibile, il rateizzatore dei sogni del minimo comun risparmiatore, il mini Citizen Kane di Milano 2; poi tornando a concedere allo stesso il ruolo del cantante piacione, l’intrattenitore irresistibile che ammalia la fauna dei applauditori pronti peraltro a trasformarsi in sicofanti o traditori a seconda della circostanza, metaforici serpenti danteschi che a un certo punto costringono il segretario tuttofare Paolo a decapitarne uno vero strisciante in primo piano.

Ma via via che il trattato visionario/antropologico Loro 2 procede, il piglio nuovamente svaria, si stempera, si sfrangia e Sorrentino torna a fare capolino appena può da un angolino dell’inquadratura per strizzare l’occhio allo spettatore e fare boccacce ai recensori: per fare solo un esempio, il languido trasporto per la Napoli canzonettistica e ruffiana provato da Silvio trasmutato in Old Pope non può che evocare dalle nostre parti la nota e non meno retorica solfa della città ribelle nel segno dell’”ammore”, quando si reca al compleanno della neo-diciottenne Noemi Letizia. Quando poi riprendono le feste più scatenate che eleganti in Costa Smeralda, alternate alle sfolgoranti coreografie kitsch sulle note di “Meno male che Silvio c’è”, al Cavaliere tocca organizzare il contrattacco contro le requisitorie in stile grillino-giustizialista che la sceneggiatura mette in bocca alla vigorosa e convincente performance di Elena Sofia Ricci/Veronica Lario. I risultati, come piace a Sorrentino, ma certo non a tutti i suoi spettatori, saranno volutamente contraddittori: sul piano storico la sinistra non riesce mai a “metterlo a fuoco” pensando che sia troppo complesso, ma la nascita delle sue fortune resta avvolta nel mistero; la virginale escort che dovrebbe concederglisi lo smonta con un pragmatismo scevro di moralistica acredine (“Io ho 20 anni e lei 70, è patetico quando fa il giovane. Lei è triste e con la tristezza non si costruisce niente, neanche una sc…..a”); i veri o falsi scoop che non danno tregua a Berlusconi sembrano generati dagli stereotipi epidermici seppur allegri ed accattivanti della commedia erotica all’italiana. Sino ad arrivare al finalissimo debitamente e apparentemente enigmatico: la quadratura del cerchio del resto, il lieto fine con messaggio incorporato non è previsto in nessun caso dal metodo sorrentiniano tutto fondato sul tentativo di smascheramento del falso ordine in cui il mondo si spiega davanti ai nostri occhi e la presa d’atto di un’ormai integrale desacralizzazione dei rapporti societari. Loro 2 è un film convulso e intenzionalmente discontinuo, a metà tra dramma e parodia del dramma, dove il regista sembra a tratti disinteressarsi dei destini dei suoi personaggi, mostrandoci le dinamiche del potere e come esso produca al contempo opportunismo, innamoramento, fascino, carisma malinconia.

Emblematica, seducente e di cocteauiana memoria (La voce umana) la scena che ci fa vedere un Silvio innamorato che cerca disperatamente la voce dell’altro, che è anche l’Italia stessa, “il paese che ama” e che ora sembra non ascoltarlo più, ovvero una spettatrice, una cliente, un’elettrice ideale da imbonire, una donna, tanto per cambiare. E poi il dialogo è un confronto tra Silvio, l’attore che vuole farsi amare solo per il bisogno della conquista, e Augusto Pallotta, il personaggio che crea sul momento per non farsi riconoscere. E, ancora, una gara tra Servillo che interpreta il milanese Berlusconi il quale, a poco a poco, comincia a parlare nel napoletano tanto caro a Servillo, senza un’apparente ragione che non sia la vocazione allo sdoppiamento di Loro, di lui, di Sorrentino.

Prendere o lasciare. Loro 2, come Loro 1 e tutta la filmografia sorrentiniana divide. La fotografia magnifica, i movimenti di macchina più eloquenti degli acuti e profetici dialoghi, giochi di luci ed ombre, la performance di Servillo che con la propria bravura esorcizza la caricatura contano sino a un certo punto. Tanto, come ribadiscono il lungo e accorato colloquio con Pagliai/Mike Bongiorno, l’apologo della dentiera fatta trovare alla vecchina terremotata dell’Aquila e il recupero del Cristo ligneo dalle macerie, il film si rifiuta di fornire altre chiavi d’accesso oltre a quella apertamente rivendicata della tenerezza e pietas rivoluzionarie per un finale apertissimo. Ecce Homo. L’Homo che sta alla base del politico, le cui passioni muovono la Storia, l’Homo che in fondo sono tutti gli italiani che sognano l’America qui.

 

Valerio Caprara

Pubblicato da

Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

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