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Elio Russo

Elio Russo. L’arte come ammonimento civile

Il mondo occidentale non ha conosciuto, in questo secolo, nessun processo rivoluzionario portato a termine e l’immagine è stata uno degli strumenti attivi di critica e di rivolta sociale e artistica. Vi è una grande quantità di materiale a disposizione che potrebbe essere raccolto e che concerne non soltanto le arti figurative, ma anche il teatro, il cinema, l’urbanistica, la musica. L’artista sannita Elio Russo si fa portavoce della figura dell’aborigeno e del suo mondo non civilizzato, collocandosi in una dimensione artistica impegnata, quella dell’arte ambientalista, possibilmente resa sulla tela.

Elio Russo si sente abbastanza distante dal regno delle installazioni, performances, delle serialità, prediligendo l’arte figurativa che scaturisce anche da esperienze vissute in prima persona, come quella che lo ha portato in Australia e a conoscere gli abitanti delle foreste amazzoniche, custodi della Natura.

 

L’arte di Elio Russo ci racconta che in nome di un’immediata riconoscibilità politica e mass-mediatica non si può ignorare la complessità di molte esperienze affinché si possa ridurre sempre più la distanza tra produttore e fruitore, tra politica e forme della creatività, che sono immagine, ma anche parola, suono, gesto, esperienza e pensiero allo stesso tempo; senza, però, dimenticare la tradizione, il passato. Le opere di Russo sembrano fare da eco alla concezione di natura di Diderot per cui essa è cultura, storia, scelta etico-politica, e restituiscono un’immagine seducente del selvaggio in relazione ad una dimensione atemporale dove si assapora l’esistenza nella sua pienezza.

L’artista di Benevento ama anche utilizzare l’acquerello e la grafite, sperimentare dal punto di vista cromatico e misurarsi con un marcato realismo. È curioso come l’arte di Elio Russo fornisca l’occasione per dibattere ancora una volta intorno al mito settecentesco del buon selvaggio dietro al quale si cela una contraddizione che non è tanto dell’Illuminismo, quanto di una storiografia letteraria che si ostina a disconoscere il fatto che il Pre-Romanticismo, con i suoi miti, compreso quello del “buon selvaggio”, è solo l’altra faccia della medaglia dell’Illuminismo; ovvero che non si tratta di due movimenti pressoché sincronici, bensì di un unico movimento a due facce, che elabora due opposte ma speculari concezioni del reale.

Esaltando gli istinti e la natura, mettendo contemporaneamente alla berlina l’intellettualismo; non si fa altro che confermare l’adesione alla concezione di matrice razionalista settecentesca. D’altronde anche l’anti- intellettualismo è fortemente intellettuale.

La tua arte sembra per certi versi strizzare l’occhio al mito del buon selvaggio. Si tratta solo di questo o dietro c’è una riflessione più profonda?
È un po’ l’uno e un po’ l’altro. L’aborigeno gode, idealmente, da parte mia più stima di quanta possa averne per certi “civilizzati”. La figura dell’aborigeno vuole parlare al mondo, vorrebbe consigliare e ammonire dal profondo della sua saggezza primordiale che poi è il fondamento della ragione legata al rispetto della Terra, dell’universo, della vita che continua se si preserva la Natura imparando a trarne il sufficiente beneficio senza violentarla.

L’arte come la letteratura secondo te deve infastidire, svelare la vera natura delle cose o consolare, avere un ruolo puramente “civile”?
Sia l’arte e sia la letteratura e la musica pare che siano dei mezzi di espressione molto liberi e quindi, penso ci si possa aspettare che rivestano anche ruoli diversi, linguaggi diversi, ma come per la scrittura si esige una buona grammatica, così per l’arte si presuppone che siano riconosciuti e apprezzati gli aspetti estetici e tecnici.

Che tipo di bellezza riscontri nell’arte contemporanea?
Per ciò che riguarda l’arte degli ultimi decenni è difficile per me trovare bellezza senza fare delle esclusioni. Oggi l’arte contemporanea è piena di installazioni, di digitale e quant’altro che pur avendo dei messaggi a volte non banali ma provenienti da riflessioni profonde, il più delle volte non risultano oggettivamente belle opere ma tutt’al più interessanti. Se poi consideriamo arte contemporanea quella che va collocata dopo il 1789 fino ai giorni nostri, allora penso agli impressionisti, ai macchiaioli e a numerosi artisti italiani che non sono a volte abbastanza conosciuti e rivalutati. Io mi sento più attratto ancora da chi l’arte la fa su tela, su legno, cartoncini, colori, pennelli, spatole ecc.

Anni fa sei stato premiato per un concorso sugli episodi delle Forche Caudine. Come definiresti il rapporto tra arte e storia?
Ricordo con piacere quel concorso. Il rapporto tra arte e storia penso che sia stato e sarà sempre importante per meglio far capire ai posteri i percorsi storici dalle origini ai giorni nostri o per meglio capire il passato. Ci sono stati artisti ispirati da eventi storici e artisti che hanno avuto un ruolo controverso con il proprio periodo storico perseguitati dai regimi, come in Germania negli anni ’30. Un grande artista come Caravaggio, che ammiro molto, sconvolse i canoni del Rinascimento utilizzando prostitute e popolani come soggetti dei suoi dipinti e creò capolavori assoluti anche se scandalosi per i suoi tempi. Ma penso che, se la storia ha influenzato l’arte, possiamo dire che anche quest’ultima ha poi influenzato la storia.

Hai lavorato anche in Australia per la comunità italiana che risiede in questa terra. Quanto viene incentivata l’arte lì?
Il mio periodo in Australia è stato breve ma intenso grazie alle numerose commissioni che ho ottenuto. Lì ho percepito una maggiore positività, forse per il fatto che l’Australia ha più le caratteristiche di una terra felice e quindi le persone si sentono più disposte a recepire ed apprezzare l’arte. In quel periodo mi serviva un vero rappresentante del Pianeta ed è lì che lo ho trovato l’aborigeno e il suo rispetto per Madre Terra. Da allora ho preso meglio coscienza dei problemi ambientali, che già precedentemente mi assillavano, e di come il Pianeta che ci ospita stia vertiginosamente inabissandosi in sconvolgimenti climatici e “plastificandosi”, ai danni di noi stessi, fruitori delle comodità del progresso. Ecco che nella mia pittura appaiono anche gli Indios, abitanti delle foreste amazzoniche che si uniscono agli aborigeni per gridare e manifestare il loro dissenso verso la deforestazione che tanto male sta facendo al clima e ai popoli e alla fauna di quei luoghi.

Siamo dominati dalle immagini. Secondo te tale dominazione, perlopiù imposta dai media, da ricchi visionari che vogliono colonizzare lo spazio, indebolisce la nostra di immaginazione?
Certo che le masse sono condizionate da ciò che i media impongono ed è forse per questo che l’arte rimane spesso accantonata o delimitata in spazi ristretti. Si sa che dove c’è ricchezza c’è incentivo anche se spesso in direzione sbagliata ma ciò non è ancora compreso dalla maggioranza che si adegua alle visioni del mondo veicolate dai media, cosicché il tempo per visitare una mostra di pittura e interessarsi alla bellezza dell’arte non si trova mai. Tuttavia l’artista, lontano dal turbinio stressante di tempeste mediatiche, si ricava il suo spazio, il suo rifugio e, grazie alla sua intelligenza diversa e più sensibile, difficilmente perde la sua immaginazione e la sua creatività. Per quel che mi riguarda, pur bombardato dai messaggi mediatici dei ricchi visionari, cerco di essere critico e assorbire in modo selettivo. Gli automatismi per esempio, imposti con prepotenza dal progresso tecnologico, penso che arrechino danni all’occupazione, se parliamo in termini sociali e di economia, e all’immaginazione come alla creatività intesa come bella prerogativa dell’umano e non delle macchine. Migliorare il nostro Pianeta più che pretendere di colonizzarne altri invivibili sarebbe la cosa più saggia e l’Arte, con la sua bellezza, sono convinto che possa giocare un ruolo importante in questo processo e rappresentare un’ancora di salvezza.

Cosa significa per te sperimentare e quali opere hanno segnato uno spartiacque nella tua produzione artistica?
La sperimentazione secondo me deve avere un percorso, un legame col precedente operato, non nascere dal nulla, avere delle basi da cui partire. La mia sperimentazione, comunque, va verso l’informale, ma voglio assicurarmi sempre che sia gradevole alla vista, che l’informe e il colore abbiano un’armonia, un accordo o un contrasto che soddisfi l’osservatore e lo incuriosisca. Devo dire che lo spartiacque, per quel che mi riguarda, per il momento è reversibile, nel senso che come sento il bisogno di evadere un po’ verso l’informale, così poi sento il bisogno di tornare al reale con più vigore e più rinfrancato. È’ un po’ come varcare una “porta del tempo” per vedere ciò che accadrà un domani, ma legato al filo di Arianna per non perdere la via del ritorno, fino a quando non so dirlo.

Prossimi impegni?
Per i prossimi impegni non ho ancora programmato. In realtà sto rifiutando varie opportunità perché ho varie commissioni da portare a termine, ma è un po’ di tempo che sto pensando a una mostra per beneficenza.

About Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

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Davide Grittani è giornalista, scrittore, consulente della comunicazione per aziende ed enti pubblici, editor e consulente di case editrici. Direttore del periodico di sicurezza alimentare BLab Magazine. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno è autore del romanzo Il gregge (Alterego edizioni), presentato da Wanda Marasco al Premio Strega 2024. Il libro, pervaso da uno spiccato senso di indignazione, veicola l’idea dell’importanza di ripristinare la funzione etica e sociale dei mestieri intellettuali, soprattutto in un momento di forte crisi dell’editoria italiana come questo.