L’immaginario di Fernando Botero in mostra al Vittoriano fino al 27 agosto

C’è tempo fino al 27 agosto per ammirare il talento artistico di Fernando Botero (Medellìn, 1932), pittore e scultore colombiano noto in tutto il mondo per le sue impareggiabili donne formose, ospite nella prima grande retrospettiva in Italia allestita nelle sale dell’Ala Bransini al Complesso del Vittoriano di Roma.

La visione artistica di Botero “alta”, libera dalla realtà e anticonformista, sebbene tra le critiche che non mancano mai nella vita, ha conquistato il vasto pubblico fino a meritarsi  la realizzazione di una grande mostra biografica a lui dedicata, in occasione della suo compleanno, ben 85 anni, oltre che in arrivo dei primi cinquant’anni di carriera. Cinquanta capolavori sono stati selezionati e installati in modo sublime per creare un percorso espositivo che mette a fuoco tutta la vita del Maestro essenzialmente legato alla cultura della sua terra natale, l’America Latina, ma, al contempo, profondo ammiratore del Rinascimento Italiano; così come raccontato dalle opere di pittura nonché scultura attualmente presenti nella mostra romana, le quali opere appartengono al periodo della sua lunga e instancabile produzione che va dal 1958 al 2016.

Curata da Rudy Chiappini in collaborazione con l’artista, l’esposizione si presenta suddivisa in sezione tematiche per ripercorrere, dunque, volume dopo volume le tappe dell’evoluzione artistica di Botero alla luce del panorama contemporaneo. Alla base della sua pittura vi è l’amore per il passato: gli artisti del ‘300, ‘400 e ‘500 italiano, che hanno influenzato e hanno plasmato le sue opere in una chiave contemporanea, e, poi, le nature morte, i temi religiosi e sociali della cultura locale in cui è nato: la violenza in Colombia, trasformando l’arte popolare in una forma diversa, una forma di manifesto e di denuncia di torture come nei due dipinti tratti dalla nota serie Abu Grahib, datata tra il 2006 e il 2007, oppure la sorprendente serie dei dipinti sulla Via Crucis, realizzata tra il 2010 e il 2011, ed infine, nell’ultima sezione, i famosi nudi femminili prendono il posto in un ciclo di immagini senza tempo e senza una dimensione morale e psicologica, perché la forma occupa uno spazio in una realtà senza tempo per essere eternamente liberi.

Forme sensuali, volumi colorati in versione moderna prendono atto nell’originale creazione di quello stile che diviene plastico dalla mente di Botero. Lo stesso artista ha affermato che crede molto nel volume fino ad assumere valore all’immagine e che i suoi personaggi vescovi, animali, nudi femminili, tutti dalle forme generose – le amate donne curvy nel dibattito attuale sul versante della società di costume –  non sono da ritenere personaggi grassi semplicemente perché lui non ha rappresentato la realtà ma un mondo in cui le forme appaiono diverse.

Promossa dall‘Assesorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Cultrali di Roma Capitale e prodotta dal Gruppo Arthemisia e MondoMostreSkira, la mostra di Botero al Vittoriano offre l’occasione di esplorare il punto di vista dell’artista colombiano dal virtuosismo simbolico e immaginario.

Mostra Botero

Complesso del Vittoriano -Ala Bransini, via di San Pietro in Carcere

Dal lunedì al giovedì 9,30 – 19,30

Venerdì e sabato 9,30 -22,00

Domenica 9,30- 20,30

Intero € 12,00

Ridotto € 10, 00

Il mondo colorato di Marc Chagall in mostra a Sorrento

Il colore blu, le figure umane senza contorno che sembrano fluttuare all’interno di quel colore in un spazio sospeso fra il reale e il fiabesco, immagini poetiche e sognanti permeano la genialità artistica di Marc Chagall, il grande pittore franco-bielorusso più amato del XX secolo, ospite nelle 10 sale di Villa Fiorentino, la splendida dimora storica in corso Italia, sede della Fondazione Sorrento, nell’ambito di una mostra che si presenta ricca e travolgente con una vera sorpresa per i visitatori per il connubio sempre più stretto tra arte e tecnologia.

Intitolata “I colori dell’anima”, l’importante iniziativa espositiva è stata realizzata dalla Fondazione Sorrento fortemente voluta dal presidente Gianluigi Aponte e diretta da Gaetano Milano con il Comune guidato dal sindaco Giuseppe Cuomo ed in collaborazione con la Imago Art Gallery di Lugano.

Ben 120 lavori ripercorrono l’intera produzione artistica del maestro tra figure umane, animali, oggetti, paesaggi e sottili temi religiosi che si fondono nei capolavori pittorici e grafici in esposizione nel gioiello della costiera sorrentina, a seguito di un’accurata selezione destinata a raccontare uno dei maggiori artisti del secolo scorso, artefice di sé stesso nella creazione di uno stile personale e riconoscibile, il quale modus pingendi affonda le sue radici nella tradizione poetica e religiosa ebraica e russa per la scelta delle tematiche, attingendo, senza condizione, i modi e i colori delle avanguardie: il fauvismo, il cubismo e il surrealismo nel terreno fertile della stagione culturale del suo tempo.

“Le Coq Violet”, 1966-1972

Aprivo solamente le finestre della mia camera ed entravano l’aria color blu, l’amore e i fiori”, era solito affermare Marc Chagall (Vitebsk, 1887-  Saint Paul- de- Vence, Nizza, 1985), artista dall’essenza sensibile e romantica la cui poetica artistica fu espressione di una trascendentale visione onirica e illusoria realtà del tempo in cui visse: prima la rivoluzione russa alla quale egli prese parte attiva poi il primo conflitto mondiale quando egli, nel 1923, si trasferì a Parigi, dove, dopo aver raggiunto la notorietà a San Pietroburgo, il pittore realizzò per l’Opera di Parigi (1963-64) le opere monumentali della sua lunga carriera.

Una vera fuga o semplice evasione dalla realtà del paese natale di Chagall difesa con la fantasia in una dimensione che sembra appartenere a quella fase insita in ciascuno di noi: l’infanzia, felice dell’artista russo di origine ebraica nonostante le tristi condizioni in cui viveva sotto il dominio degli zar, la quale spesso ritorna nelle sue opere sotto la forma di energia e vitalità a caratterizare i lavori della sua attività che ebbe inizio a Pietroburgo per poi irrompere in una pittura in cui la solitudine si mescola ai dolci ricordi di un amore che non c’è più, la moglie Bella Rosenfeld, sua amatissima compagna di vita nonché musa.

 

Tra le opere in esposizione 20 capolavori assoluti più rappresentativi della maturità artistica di Chagall, opere realizzate mediante varie tecniche, dall’olio su tela alle gouache su carta, passando dai disegni a matita colorata fino agli inchiostri di china su masonite circoscrivono il culmine della sua parabola artistica segnata essenzialmente da opere come “La cruche aux fleurs” (1925), “Russian village” (1929), “Le Coq Violet” risalente al periodo 1966 – 1972, “L’homme rouge à la casquette” (1976) disposte nelle sale del primo piano di Villa Fiorentino. Al secondo piano, invece, il viaggio all’interno del mondo colorato di Marc Chagall continua con il potere della tecnologia nella sala multimediale appositamente realizzata attraverso la proiezione di alcune delle magnifiche vetrate che Chagall ha realizzato per le cattedrali di Metz (1959-1968) e Reims (1974). Come un gioco di prestigio, poi, il visitatore, infilando la mano nella cornice virtuale posta al centro della sala, vedrà le vetrate così proiettate sulle pareti andare in frantumi per poi apparire le vedute panoramiche della costiera sorrentina.

Nella splendida cornice di un luogo paradisiaco come Sorrento, dunque, in pieno centro storico, la Fondazione Sorrento in Villa Fiorentino accoglierà fino al 15 novembre prossimo “Marc Chagall – I colori dell’anima”, occasione estiva di un tuffo nel blu non solo del mare ma nel blu del mondo sensibile di Chagall per vivere attraverso i brillanti colori un momento di eterno come i personaggi che spuntano nelle opere di questo eccezionale ed emozionante artista navigatore profondo di emozioni.

Mostra “Marc Chagall- I colori dell’anima”

Villa Fiorentino, corso Italia, 53, Sorrento (Napoli)

Orari:

Dal 16 luglio al 31 agosto dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 21; sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 22; dal 1° al 30 settembre dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 21; dal 1° ottobre al 15 novembre dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 20.

Costi: biglietto intero € 5; biglietto ridotto di € 3 per gruppi superiori a 10 persone.

 

Da Roma a Torino: l’eleganza di Giovanni Boldini in arrivo alla Reggia di Venaria

Fascino misterioso, raffinatezza, eleganza e mondanità accendono i corpi e i volti delle sontuose signore nei ritratti di Giovanni Boldini, il grande pittore ferrarese dallo stile unico noto come cantore del lato più salottiero della Parigi fin de siècle, le quali opere saranno in mostra a partire dal prossimo 28 luglio accolte nell’incantevole cornice della Reggia di Venaria a Torino.

Nata dalla grande retrospettiva romana al Complesso del Vittoriano ancora in mostra fino al 16 luglio, prodotta e organizzata da Arthemsia e la Venaria Reale, l’esposizione torinese accoglierà oltre cento capolavori tra olii e pastelli provenienti da importanti collezioni private e dai musei di tutto il mondo per dare gioia all’occhio di chi guarda negli olii e pastelli in un percorso che analizza una lunga e brillante carriera artistica che affonda le sue premesse culturali negli anni Cinquanta dell’Ottocento a Firenze, una delle capitali più libere e attive d’Italia, sotto l’algida di Diego Martelli, l’anima del gruppo di quella schiera di artisti che amava ritrovarsi nel Caffè Michelangelo e teorizzava l’uso semplice della pittura di macchia nella rivolta all’accademismo e nella volontà di ripristinare il senso del vero in opposizione alla forma.

Uno stile elegante quello di Giovanni Boldini (Ferrara, 1847- Parigi, 1931) preceduto dal contatto con i pittori di “macchia” nello studio della ricerca dal vero e dal dipingere per masse di colore contrapposte per poi evolversi sulla scia della rivoluzione del realismo pittorico francese rappresentato dalla messa a nudo operata da Gustave Courbet, le cui opere furono viste da vicino a Parigi da Boldini quando, in occasione dell’Exposition Universalle, nel 1867, egli si trasferì nella capitale francese conoscendovi anche i pittori impressionisti Èdouard Manet, Alfred Sisley ed Edgar Degas. Fondamentale, inoltre, per la sua fortuna artistica si presentò il trasferimento a Londra nel 1870, ove, grazie all’amico Cornwalliswer, il pittore ferrarese entrò nei salotti buoni europei. Fu così che l’attenzione dell’artista si concentrò soprattutto sulle nobili donne dell’alta società borghese fino a diventare uno dei ritrattisti più richiesti della capitale mondiale dell’arte grazie al suo abile pennello dall’uso di colori accesi e densi servendosi della tela come specchio per riflettere l’esagerazione del lusso, del divertimento e della mondanità dei salotti parigini, un mondo annebbiato dal fumo delle sigarette, dal profumo dolce delle signore sofisticate dai volti annoiati nascosti sotto il velo di cipria, dame dai guanti e dai cappellini eleganti che vestono i panni della società del benessere economico dell’Europa a cavallo tra ‘800 e ‘900, la cosiddetta Belle Èpoque.

La mostra torinese, curata da Tiziano Panconi e Sergio Gaddi, offre l’occasione di conoscere e approfondire lo straordinario talento di un grande interprete del ‘900 attraverso le forme, le concezioni pittoriche e i modi delle sue folgoranti donne nei ritratti simbolo dell’elegante Parigi. Opere note come La tenda rossa (1904), Signora che legge (1875), Ritratto di signora in bianco con guanti e ventaglio (1889), Signora bruna in abito da sera (1892 ca.) e il pezzo forte dell’esposizione: la grande tela con il Ritratto di Donna Franca Florio, uno dei capolavori più ammirati e richiesti di sempre. Questo staordinario dipinto, infatti, ha vissuto vicende amministrative e burocratiche da parte delle istituzioni siciliane che lo hanno condotto a una momentanea vendita all’asta sottraendo l’opera, simbolo dei siciliani, al patrimonio artistico da far conoscere e preservare.

 

 

Dove: Reggia di Venaria Reale, Piazza della Repubblica, 4- Venaria Reale

Sala delle Arti

Quando: dal 28 luglio 2017 al 28 gennaio 2018

Orari: da martedì a venerdì dalle ore 09:00 alle 17:00

sabato, domenica e festivi dalle ore 9:00 alle 18:30

Biglietti: intero 14€

ridotto 12€

Il ritorno di Basquiat al Chiostro del Bramante fino al 30 luglio

Con la mostra Jean-Michel Basquiat. New York, inaugurata nelle ampie sale espostive sui due piani dello splendido palazzetto attiguo al Chiostro del Bramante nel complesso monumentale di Santa Maria della Pace poco distante da Piazza Navona, la città eterna rende omaggio alla vita e alle opere di Jean-Michel Basquiat (1960-1988), uno dei più grandi protagonisti della storia dell’arte americana del ‘900, il quale riuscì ad attirare l’attenzione del re del pop Andy Warhol, stringendo con quest’ultimo il sodalizio creativo che per molto tempo l’ha legato al suo nome.

Dopo l’evento di Milano (al MUDEC), DART Chiostro del Bramante continua il percorso di ricerca e indagini, portando avanti l’idea di attirare un grande pubblico nella mostra basquiana questa volta nella metropoli romana attraverso un percorso artistico emozionale. Curata da Gianni Mercurio, la grande mostra, infatti, è composta dalle opere di quella breve ma intensa carriera dell’artista durata soli sette anni 1980-1987, un anno prima della sua morte per uso di droghe, le quali opere testimoniano oggi la vita e lo spirito irrequieto e geniale del pittore afroamericano attraverso i segni dai tratti marcati e corpose pennellate in un linguaggio semplice e dall’espressività tribale nel valore di una forma comunicativa la pittura, in aggiunta alle parole, come esperienza di vita. Oltre cento lavori tra dipinti, grandi graffiti, disegni, bozzetti, ma anche foto e ceramiche, in collaborazione con il maestro del pop Andy Warhol, provenienti dalla Mugrabi Collection, offrono l’occasione per meglio così conoscere e approfondire la pittura di Basquiat, artista simbolo del suo tempo.

“Uso parole come fossero pennellate”, disse nel 1985 Basquiat, divenuto celebre a soli vent’anni con i suoi provocatori graffiti sui muri delle strade di New York nei suoi primi esordi per poi affermarsi nel giro di pochi anni con le mostre in galleria fino all’incontro con Warhol che lo decretò tra gli artisti più influenti del momento in un periodo molto particolare: la grande mela degli anni Ottanta. Un’artista dal carattere fragile e ribelle che fece della pittura il manifesto della lotta alla discriminazione razziale, uno dei temi più sentiti che domina la sua poetica artistica nonché la musica (jazz, hip hop e rap), l’arte greca e romana e, soprattutto, quella africana sono le fonti inesauribili della sua interazione stilistica.

Un percorso, dunque, che rielabora sentimenti di rabbia, dolore e discriminazione nella scena newyorchese degli anni Ottanta nelle immagini, nei colori e nelle parole, elemento originalissimo del lessico di Basquiat, artista ribelle e rivoluzionario del suo tempo, il quale sposò la pittura come l’ideale della sua attanagliata vita.

 

JEAN -MICHEL BASQUIAT. NEW YORK CITY (OPERE DALLA MUGRABI COLLECTION)

Chiostro del Bramante, via della Pace, Roma

Orari: dal lunedì al venerdì, 10-20; sabato e domenica, 10-21

Ingresso intero: 13 euro

La collezione Salini in mostra al Palazzo Pubblico di Siena fino al 15 settembre

A partire dal 15 giugno straordinari capolavori di arte medioevale senese provenienti dalla collezione privata dell’architetto e mecenate Simon Pietro Salini (Roma 1932), eccezionale raccolta mai esposta prima nel suo insieme, trovano ospitalità nei Magazzini della sala nel Palazzo Pubblico in piazza del Campo a Siena, nell’ambito di una grande mostra promossa dall’Amministrazione Comunale congiunta al volere del noto imprenditore romano appassionato di arte romanica, grazie ai quale fiorisce l’evento estivo in calendario fino al 15 settembre con ingresso gratuito.

La mostra, curata personalmente da Salini, offre agli occhi dei visitatori un imperdibile ed affascinante excursus storico-artistico suddiviso in sei sezioni attraversando a piè di decenni tre secoli di arte senese dal ‘200 al ‘400 tra la profusione di oro delle preziose tavole dipinte, piccoli e grandi gioielli pittorici, oltre a sculture, oreficerie e maioliche, con l’obiettivo di raccontare e di far rivivere ad appassionati, curiosi, nonché studiosi l’evoluzione della tradizione artistica del vitale centro toscano, il quale tra ‘200 e ‘300 manifestò una certa apertura al Gotico transalpino giunto in città grazie all’oreficeria, alla miniatura e alla scultura di Nicola Pisano, il grande scultore e capomastro de Apulia approdato in Toscana verso il 1245, lavorando nel cantiere della cattedrale.

Il percorso espositivo, dunque, si presenta tanto ricco quanto originale fu l’attività della scuola senese grazie all’apporto di personalità artistiche di grande livello come il maestro Duccio di Buoninsegna (1255 circa- 1318/19), il quale, dotato di personalissimo talento in ambito pittorico, segnò la declinazione di quella rigida e severa espressività di matrice bizantina introducendovi per la prima volta elementi gotici in pittura caratterizzandosi per una maggiore dolcezza di forme ed espressioni sui modelli dei maestri Cimabue prima e sullo studio di Giotto poi.

Una straordinaria croce dipinta, dove Cristo appare trionfante e vivo, infatti, opera del pittore senese è esposta in questo evento, accanto ai capolavori di Giovanni Pisano, de i Lorenzetti e di Simone Martini, nomi che hanno sigillato un importante capitolo della storia culturale di Siena in età medievale e della storia dell’arte europea, e che in questa sede è trasmesso nell’età contemporanea nella ricreata atmosfera del Castello di Gallico – dimora storica che si erge sull’altopiano delle crete senesi, poco distante dal villaggio di Montecalvoli, nella quale Salini ha raccolto negli ultimi anni una ineguagliabile collezione ora in mostra- nell’indiscusso capolavoro assoluto di età gotica, simbolo del potere civile della città di Siena, sottolineando il valore della straordinaria produzione artistica senese come identità civica.

La mostra dal titolo Siena. Dal ‘200 al ‘400. La collezione Salini è aperta al pubblico con ingresso gratuito così come disposto da Salini, lasciando, inoltre, ai visitatori la facoltà di scegliere di donare un’offerta per beneficenza. Tuttavia nella sua affascinante offerta culturale per vastità e per profusione d’oro, la collezione, patrimonio inestimabile, resterà nelle mani di un privato, che a conclusione di una imperdibile occasione come questo evento, essa ritornerà certamente ad essere conservata e protetta nel chiuso di un castello ma al di fuori del circuito della comunità, aberrando quel valore identitario per cui l’opera d’arte è fine a se stessa.

Siena. Dal ‘200 al ‘400. La collezione Salini

Palazzo Pubblico, Piazza del Campo, Siena

15 giugno/ 15 settembre

Tutti i giorni dalle ore 10 alle 19

Ingresso gratuito

Giorgione e le stagioni del labirinto in mostra tra Venezia e Roma dal 24 giugno

Sarà Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma il titolo della grande mostra in arrivo il 24 giugno e allestita fino al prossimo 17 settembre, presso le due sezioni delle rispettive prestigiose sedi museali di Palazzo di Venezia e di Castel Sant’Angelo, a rendere omaggio a una serie di straordinari capolavori del rinascimento veneto e oltre, ove pittura e sentimenti si incontrano in maniera profonda per dar luogo a un racconto complesso, in cui protaganisti sono gli stati d’animo e l’amore, nell’utilizzo della pittura tonale che permea tutte le opere di Giorgio da Castelfranco, detto ‘Giorgione’, una delle personalità artistiche più significative del Cinquecento veneto, morto di peste poco più che trentenne, in arrivo insieme ad altri grandi interpreti.

La mostra, curata da Enrico Maria Dal Pozzolo, è rappresentata da i Due amici, opera simbolo che fa da ponte al rinnovamento portato da un mito della cultura lagunare nella stagione del rinascimento tra la fine del ‘400 e  gli inizi del ‘500, percepito nell’ambito della raffinata committenza locale tra due città colte e cosmopolite, Venezia e Roma; attorno alla quale opera è stato ideato l’intero progetto. Si tratta di un doppio ritratto datato ai primi anni del Cinquecento e considerato uno dei poco noti capolavori attribuiti questa volta con certezza, su un limitatissimo numero di opere certe, al pittore di Castelfranco, ricostruito sulla traccia delle scarne fonti storiche da una parte e l’analisi dell’opera, dall’altra, dai critici dell’arte che hanno delineato la fama e l’importanza del maestro di Castelfranco in relazione agli ambienti umanisti e ai salotti delle migliori famiglie veneziane entro il quale il maestro entrò in contatto, lavorando per una selezionata committenza patrizia.

Conservato nelle principali collezioni del maestoso Palazzo Venezia – ora sede del Museo Nazionale- , il dipinto, infatti, è stato tenuto per secoli nel chiuso delle collezioni private del cardinale Domenico Grimani, nobile veneziano, titolare di San Marco dal 1503 al 1523, il quale si distinse ancor di più come mecenate per i suoi ampi interessi per ragioni estetiche dando vita a un momento di confronto e di formazione per il suo “cenacolo”, così come avveniva con il Lotto, Tiziano e, soprattutto, con Giorgione. A partire già dall’inizio del Seicento, poi, l’opera è attestata a Roma, testimoniando i rapporti politici, diplomatici e culturali del cardinale Damiani con Pietro Barbo, anch’egli veneziano, divenuto poi papa Paolo II (1464-1471), cui l’opera di Giorgione è legata loro a cavallo tra i due secoli. La seconda sezione della mostra, dunque, prosegue nelle sale degli appartamenti papali di Castel Sant’Angelo a Roma in un percorso espositivo vasto e variegato, comprendendo complessivamente 45 dipinti, 27 sculture, 36 libri a stampe e manoscritti; oltre a numerosi altri oggetti, stampe e disegni.  

Accanto al valore storico per il contesto politico e culturale in cui l’opera si inserisce, per cui nel Cinquecento Venezia era una grande potenza marinara e dunque anche le arti veneziane in quel periodo conoscevano un grande rinnovamento in quanto la città lagunare era il centro propulsore del più raffinato umanesimo, il doppio ritratto conserva un valore unico per aver segnato un svolta epocale nel genere della ritrattistica occidentale con l’idea di ritratto introdotta per la prima volta da Giorgione in una dimensione emozionale attraverso le proprietà psicologiche e direttamente espressive nelle varie combinazioni cromatiche date da un nuovo modo di comporre il quadro basandosi sui colori, sulla scia di maestri come Bellini.

La vera rivoluzione pittorica di Giorgione è quindi rappresentata dal nuovo modo di dipingere ove è il colore (e non il disegno) ad assumere il principale valore espressivo e dall’accento posto sulle emozioni e i sentimenti e delle figure e del paesaggio: è questo il segno profondo che Giorgione ha lasciato nella storia della pittura occidentale, cosicché  già lo storico aretino Vasari aveva riconosciuto come Giorgione fosse “nato per metter lo spirito nelle figure, e per contraffatte la freschezza della carne viva più che nessuno che dipingere non solo in Venezia ma per tutto”, collocandolo tra gli artisti iniziatori della Maniera moderna, subito dopo Leonardo.

La mostra è stata promossa e organizzata dal Polo Museale del Lazio diretto da Edith Gabrielli, con la collaborazione di Civita Mostre.

Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma: prezzi, orari e date

Quando: 24 giugno- 17 settembre 2017

Sedi e orari: Museo Nazionale del Palazzo Venezia, Piazza Venezia

Martedì/domenica 8.30-19.30 (chiuso il lunedì)

Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, Lungotevere Castello, 50

Tutti i giorni 9.00-19.30

Ingresso gratuito prima domenica del mese

Biglietto unico per Castel Sant’Angelo e Palazzo Venezia, valido 3 giorni:

Intero € 14,00, ridotto € 7,00

Solo Palazzo Venezia

Intero € 10,00, ridotto € 5,00

L’Andromède ritrovata di Rodin in mostra a Milano: l’esaltazione dei valori pittorici della materia

In occasione del centenario della morte di Auguste Rodin (Parigi, 1840- Meudon, 1917), sulla scia delle celebrazioni parigine inauguratesi con un convegno nazionale e una grande mostra dedicati al genio della scultura moderna, l’Italia ricorda l’artista francese con la presentazione di un importante capolavoro, testimone di una affascinante storia della durata di 130 anni. Si tratta della seconda copia tra i tre esemplari attualmente esposti delle cinque di una scultura in marmo bianco che rappresenta la figura mitologica di Andromeda realizzata dall’artista nel 1887 e che dal 4 al 6 maggio è stata presentata in asta per la cura di Artcurial di Milano in via Corso Venezia 22, dopo essere stata ritrovata nel 2017 dai due direttori associati della casa d’asta Stephan Aubert e Bruno Jaubert.

Prima del suo recupero l’opera era stata sempre all’interno della potente famiglia cilena dei Morla a partire dalla coppia formata da Carlos Lynch e da sua moglie Luisa, amici e committenti del talentuoso scultore della naturalezza, i quali entrarono in contatto con l’artista durante il loro soggiorno nella capitale francese. Il grande maestro Rodin creò e donò la scultura – ritrovata e considerata dagli studiosi la rappresentazione di Andromède – alla coppia cilena, come gesto di gratitudine per aver accettato, su richiesta dell’artista, di cedere il busto in marmo della moglie Luisa al Musée du Luxembourg, opera realizzata da Rodin su loro commissione.

L’opera in questione sintetizza la ricerca estetica rodiniana nel mutare dei profili della figura di donna nuda e piegata sulla roccia nel blocco dal quale essa prende forma attraverso gli accurati e studiati punti di vista dell’artista nella fase di modellamento del materiale, in questo caso lapideo. La peculiare lucentezza e mordidezza plastica date alla superficie della figura, la quale emerge in contrasto con la ruvidezza della roccia, è interpretata come un accorgimento espressivo nel chiaro intento dell’artista di conferire alla scultura il senso del dramma di disperazione e rassegnazione umana, per il riferimento al racconto del mito greco di Andromeda. Figlia di Cefeo, re di Etiopia, Andromeda, infatti, sarà legata allo scoglio per essere data in sacrificio al mostro marino, come rispose di agire l’oracolo cui interrogò il padre Cefeo, affinché le coste del suo regno fossero state liberate dalla mareggiata che aveva inflitto Poseidone, come castigo alla superbia della madre Cassiopea che, nel vantarsi di possedere insieme alla figlia la bellezza più grande di tutte le Neredi, le ninfe del dio dei mari, aveva offeso le sue creature. L’infausta vicenda vedrà la luce con l’intervento dell’eroe Perseo che ucciderà il mostro con la sua spada, libererando Andromeda e facendola sua sposa.

Affascinato dall’opera di Michelangelo, Rodin approda ad una scultura che esalta i valori pittorici della materia, dinamica e palpitante. Non a caso l’artista scrisse: “Io vedo tutta la verità, e non solo quella della superficie. Io accentuo le linee che esprimono nel modo migliore lo stato spirituale che interpreto”. All’esecuzione della materia, Rodin fa precedere numerosi disegni, tracciati dal vero, per catturare l’essenza e la vitalità del proprio modello.

Le opere di Rodin, sin dai suoi esordi, riproducono il vero con tale veridicità da scatenare il dubbio nella giuria del Salon che egli eseguisse le proprie sculture mediante calchi dei modelli. Per sfuggire all’accusa, Rodin si vide costretto a modificare le dimensioni delle proprie statue. allontanandosi dalle misure naturali, ma che sempre mostrano la sua modernità che media con equilibrio il naturalismo della forma, la memoria della tradizione classica, la dinamicità delle pose e la complessità del simbolo.

L’universo simbolico e rituale di Hermann Nitsch in mostra al CIAC di Foligno

Con la mostra Hermann Nitsch O. M. T Origine Mysterien Theater (Teatro delle Orge e dei Misteri) -Colore dal Rito, inaugurata al CIAC, Centro Italiano di Arte Contemporanea di Foligno il 25 marzo, l’austriaco artista contemporaneo più conosciuto al mondo per le sue azioni performative molto discusse ha selezionato quaranta opere della sua straordinaria produzione, tra cui alcune delle più celebri installazioni provenienti da numerose collezioni, appositamente allestite nel museo umbro; luogo di promozione culturale inerente la ricerca artistica del nostro tempo.

Curata da Italo Tomassoni e da Giuseppe Morra, gallerista napoletano ed editore degli scritti di Nitsch cui ha dedicato nel 2008 un Museo a Napoli, la personale dedicata al massimo esponente dell’Azionismo Viennese e dell’Informale mira a coinvolgere i visitatori, abbattendo qualsasi confine tra opere e pubblico, nell’ambiguamente complesso e densamente oscuro universo artistico del grande maestro visivo. L’osservazione e la riflessione critica della realtà in cui visse, i difficili anni della Vienna post bellica, sono all’origine della densa e sempre più complessa poetica di Hermann Nitsch (Vienna, 1938), sul cui significato la mostra intende concentrarsi: il Teatro delle Orge e dei Misteri, appunto, quello che rappresenta per lui un percorso di ricerca concepito sull’indagine dell’esperienza umana di derivazione drammatica, il quale sconfina nell’orrore della comunicazione visiva nelle sue rappresentazioni pittoriche astratte protese verso la simbologia del rituale.

Le opere presenti in mostra sono grandi tele, installazioni, litografie realizzate nell’arco di tempo compreso tra il 1984 e il 2010 e  sono divise in nove diversi cicli di lavori inseriti in un percorso espositivo concepito come se fosse un’unica grande opera. Un palcoscenico di immagini, un teatro nel teatro quello a cui approda la parabola artistica di Nitsch, drammaturgo, compositore, filosofo oltre che artista visivo, il quale riesce ad azzerare ogni forma espressiva riducendo la produzione artistica a un puro fatto teatrale, per il quale non occorrono altri strumenti che il corpo dell’artista e la sua intelligenza creativa. Sangue e altri fluidi organici, infatti, sono gli strumenti della crudezza delle sue azioni che rievocano sacrifici rituali dai complessi e oscuri valori mistici. Dal rito deriva la violenza del colore rosso schizzato o versato sulle grandi tele alla quale vernice egli sostuisce il sangue di animali morti.

Un universo lynchiano si potrebbe dire che, nel caso di Nitsch, comprende, dunque, gli aspetti più orribilanti e oscuri dell’individuo derivati non dalla conoscenza della realtà, questo è il senso più profondo dell’arte di Nitsch – contribuendo in maniera significativa sul nuovo modo di concepire e soprattutto esprimere l’arte contemporanea- ma dalla scoperta inattesa di emozioni, sensazioni ed esperienze conturbanti frutto di scavi interiori, quelle immagini visionarie e percepite nell’inconscio dell’uomo, continuo viaggiatore senza timone di un viaggio esplorativo nella profondità dell’anima, per innamorarsi perdutamente e intensamente della vita, gioia e dolore.

Un’arte scandalosa e provocatoria quella di Hermann Nitsch che il CIAC di Foligno offre la possibilità di conoscere ed esplorare fino al 19 luglio con la mostra Hermann Nitsch O. M. T Origine Mysterien Theater (Teatro delle Orge e dei Misteri) -Colore dal Rito, nella sede di Via del Campanile, realizzata grazie alla collaborazione della Fondazione Morra di Napoli, impegnata nella ricerca del valore della comunicazione visiva dell’arte contemporanea.

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