Top ten settembre 2014

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Dopo essere stato per molte settimane al primo posto delle classifiche dei libri più venduti, Markus Zusak esce dal podio lasciando spazio a Ken Follet con I giorni dell’eternità. Seguono John Green con Colpa delle stelle e Sveva Casati Modignani con Il bacio di giuda.

Stabile anche Andrea Camilleri con Donne, seguito dalla new entry Eia eia alalà di Giampaolo Pansa, che entra in classifica al quinto posto. Scende di due posizioni Nono viaggio nel Regno della Fantasia di Geronimo Stilton. La seconda new entry della classifica dei best seller della settimana la troviamo all’ottavo posto: Il capitale del XXI secolo di Thomas Piketty. Chiude la top ten Massimo Recalcati con L’ora di lezione.

1 – Ken Follet – I giorni dell’eternità – Mondadori

2 – John Green – Tutta colpa delle stelle – Rizzoli

3 – Sveva Casati Modignani – Il bacio di Giuda – Mondadori Electa

4 – Andrea Camilleri – Donne – Rizzoli

5 – Giampaolo Pansa – Eia eia alalà – Rizzoli

6 – Markus Zusak – Storia di una ladra di libri – Frassinelli

7 – Geronimo Stilton – Nono viaggio nel Regno della Fantasia- Piemme

8 – Thomas Piketty – Il capitale del XXI secolo – Bompiani

9 – Giorgio Fontana – Morte di un uomo felice – Sellerio

10 – Massimo Recalcati – L’ora di lezione – Einaudi

La diva Sophia compie 80 anni

Ha compiuto 80 anni l’ultima diva del cinema, Sophia Loren, festeggiata in tutto il mondo. Ha vinto due volte il Premio Oscar e rimarrà nella storia del cinema soprattutto per le interpretazioni ne “La ciociara” di Vittorio De Sica e “Una giornata particolare” di Ettore Scola.

Conserva ancora il portamento altero, le labbra carnose, gli zigomi alti e lo sguardo sognante di quando era ragazza, Sophia Loren, l’ultima diva del cinema, vera protagonista indiscussa nello scorso Festival di Cannes, che il 20 settembre 2014 ha compiuto 80 anni che non hanno scalfito nè la sua bellezza nè il suo fascino mediterraneo, prorompente e leggera allo stesso tempo, internazionale e napoletana, sofisticata e semplice; sublime nel ruolo di popolana, a suo agio sia nel dramma che nella commedia, convincente in quello di donna borghese; Sophia è stata ed è tutto e il suo contrario cedendo alla sua passione per l’arte cinematografica e recitativa, e il pubblico di tutto il mondo ha ceduto al suo appeal stellare, dando vita ad un rapporto paritario: lei ci ha reso fieri di essere italiani e noi le abbiamo regalato la bellezza immortale delle dive.

Ma la vita di Sophia non è stata facile, per questo non la sivede come una dea irraggiungibile ma come un esempio di ragazza povera che ce l’ha fatta con cui identificarsi; prima di annoverarsi tra le stelle grazie ad impegno, talento, studio, determinazione, tenacia e fortuna, l’attrice di Pozzuoli ha patito la fame e la povertà durante la seconda guerra mondiale, protetta con le unghie e con i denti da una madre, Romilda Villani, che ha sempre sognato per lei un grande avvenire e desiderosa di riscattare la sua famiglia da quell’umiliante miseria.

 

Oscar alla carriera 1991

Sofia Scicolone Villani è nata a Roma, figlia del marchese siciliano Riccardo Scicolone Murillo, che riconobbe la piccola Sophia ma non sposò mai sua madre Romilda. Trascorre la sua tribolata infanzia e adolescenza a Pozzuoli fin quando, trasferitasi a Roma con sua madre, comincia pian piano la sua carriera con una quindicina di piccoli ruoli diretta, tra gli altri, anche da Fellini e Lattuada in Luci del varietà (1950) Mattoli in Tototarzan con Totò, sempre del 1950, Comencini in La tratta delle bianche (1952); poi il concorso di bellezza, che le fa vincere solo la fascia di Miss eleganza ma soprattutto che la fa notare al produttore Carlo Ponti (diverrà suo marito per ben due volte, in Italia e in Francia), che resta ammaliato dalla bellezza della giovanissima Sofia e il contratto di esclusiva che per lui firma nel 1951. Da qui comincia la cavalcata che la porta da Sofia Scicolone a Sofia Lazzaro e da Sofia Lazzaro a Sophia Loren per diventare un’attrice internazionale, passando anche dai fotoromanzi. Recita truccatissima nell‘Aida, di Clemente Fracassi nel 1953, dove canta con la voce di Renata Tebaldi. Ma il primo film destinato a fare storia è Carosello napoletano di Ettore Giannini (1954) poi di nuovo al fianco di Totò in Tempi nostri per la regia Alessandro Blasetti, e in Miseria in nobiltà, e infine con il suo pigmalione e amico Vittorio De Sica, ne L’oro di Napoli, dove interpreta un’indimenticabile e seducente pizzaiola,  e con il suo partner di tanti film, Marcello Mastroianni in Peccato che sia una canaglia ancora di Blasetti.

 

Sophia diventa un’incona, il simbolo erotico dell’Italia del dopoguerra che predilige bellezze opulente e generose come quella della Loren e della sua rivale Gina Lollobrigida, della quale prende anche il posto del terzo episodio della trilogia di Pane, amore e… di Dino Risi, del 1956. Il successo internazionale arriva grazie anche alla celebre copertina di Life che la incorona come emblema della bellezza mediterranea. Carlo Ponti, che intanto convive con lei destando scandalo poiché non può divorziare dalla prima moglie secondo la legge italiana, la accompagna a Hollywood dove trova attori come Cary Grant (suo partner in Un marito per Cinzia), il quale non esita a corteggiarla, ma inutilmente, Frank Sinatra, John Wayne, William Holden, Anthony Perkins, Richard Burton, Burt Lancaster, Gregory Peck, Peter O’ Toole e Marlon Brando con il quale recita ne La Contessa di Hong Kong (1967) per la regia di Charlie Chaplin. Viene diretta da Kramer nel film Orgoglio e passione (1957), da Ritt in Orchidea nera (1958), da Shavelson ne La baia di Napoli (1960), da Curtiz in Olympia (1960). Ma nonostante questa felice avventura americana in cui si confronta alla grande con le dive più popolari come Marilyn Monroe, Liz Taylor ed Ingrid Bergman, è in patria che avviene la consacrazione di Sophia.

 

Il celebre spogliarello del film “Ieri, oggi, domani”

Vittorio De Sica la dirige magnificamente nell’ultimo sussulto neorealista, La ciociara (1960) dove la Loren dà un’interpretazione tragica e sconquassante di Cesira, una giovane vedova e madre che, con la figlioletta Rosetta (Eleonora Brown), durante la guerra cerca rifugio tra i monti della Ciociaria per sfuggire ai bombardamenti. Il film, come sappiamo, è valso il primo Oscar alla Loren come migliore attrice protagonista. In realtà il ruolo di Cesira  fu offerto, in un primo momento, alla grandissima Anna Magnani con la regia di Cukor; alla Loren sarebbe spettato invece il ruolo della figlia.  Ma quando la vulcanica  Magnani, celebre anche per il suo caratteraccio, seppe della scelta del cast si fece una risata dicendo: «La Loren mia figlia? Nella scena dello stupro degli egiziani, ci sarà da star attenti che lei non stupri loro!» e rifiutò la parte.

De Sica continua a valorizzare il talento dell’attrice campana in I sequestrati di Altona (1962) e soprattutto negli indimenticabili Ieri, oggi, domani (1963) che le frutta un altro David, per l’interpretazione di tre personaggi femminili diversi, Matrimonio all’italiana (1964) dove dà vita ad una strepitosa Filumena Marturano, ottenendo un altro David e due nominations per l‘Oscar e i Golden Globe, I girasoli (1970) accanto al suo amico Mastroianni che sarà ancora suo partner ne La moglie del prete (1971) di Risi. Si cimenta anche nel fantasy con C’era una volta…(1967) di Rosi, recita per Monicelli ne La mortadella e  per Huston in Angela, probabilmente il peggior film della carriera della Loren, ma soprattutto con Gassman in Questi fantasmi, per la regia di Eduardo De Filippo.

Una scena del film “La ciociara”

Alla serie di film sbagliati o poco riusciti, a parte il drammatico Cassandra Crossing, si aggiunge un’inchiesta della Tributaria che coinvolge l’attrice e il marito nel 1978. Il caso finisce nel 1982 e la Loren viene incarcerata per 17 giorni nel penitenziario di Caserta per frode fiscale, poi attribuita al suo commercialista. Con la solita tenacia che la contraddistingue, riabilita la sua immagine lavorando in televisione in film tv come Madre coraggio (1986) e la miniserie Mamma Lucia (1988) di Stuart Cooper con John Turturro. Nel 1995 recita accanto a Jack Lemmon e Walter Matthau in That’s Amore – Due improbabili seduttori.

Nel 1991 vince il César onorario e, lo stesso anno si aggiudica anche l‘Oscar alla Carriera con la seguente motivazione dell’Academy: «Uno dei tesori più autentici del cinema mondiale che, nel corso delle sue memorabili interpretazioni, ha portato grande lustro a questa forma d’arte». Nel 1994, arriva l‘Orso d’Oro onorario e il 26 giugno 1996 viene nominata Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Il 1977 Sophia torna a risplendere come ai tempi dei film con De Sica nello struggente capolavoro firmato da Ettore Scola, Una giornata particolare, dove interpreta Antonietta, moglie di un fascista, casalinga trasandata ed infelice e madre di sei figli, che, nell’ultimo giorno di Hitler a Roma, incontra Gabriele (Mastroianni), intellettuale omosessuale destinato al confino. Il film le frutta un David e un Nastro d’Argento.

 

Sophia Loren con Marcello Mastroianni in una scena di “Ieri, oggi, domani”

Nel 1978 Sophia è diretta da Lina Wertmuller in Fatto di sangue tra due uomini per causa di una vedova (si sospettano moventi politici). Nel 1994 replica il celebre spogliarello di Ieri, oggi, domani con Marcello Mastroianni, che però stavolta si addormenta in Prêt- à-porter di Robert Altman con Tim Robbins e Julia Roberts, grazie al quale viene nominata al Golden Globe come miglior attrice non protagonista.

Nel 2002 viene diretta da suo figlio Edoardo in Cuori estranei, prende simpaticamente ad alcuni spot pubblicitari e, nel 2007, si regala perfino un Calendario Pirelli. Nel 2009, recita nel (deludente) musical Nine con Daniel Day-Lewis e Nicole Kidman.

Più diva o più attrice? Già, perché alcuni pensano che Sophia Loren non abbia talento, che abbia solo una bellissima ed irresistibile immagine, sapientemente gestita, che abbia avuto successo e abbia vinto premi solo perché sposata con un grande produttore cinematografico che, per amore e stima, le ha costruito una straordinaria carriera. Sophia è stata ed è una diva perché è stata ed è una grande attrice, perché lo ha voluto con tutta se stessa, impegnandosi e migliorandosi di volta in volta, con l’entusiamo di sempre, come dimostra il suo ultimo importante lavoro diretto da suo figlio Edoardo, La voce umana, dello scrittore Jean Cocteau il cui monologo è divenuto già cinema con l’Amore di Rossellini, avente come protagonista una magnifica Anna Magnani.

La Loren ha meritato tutto quello che ha conquistato, perché bellezza, passione e il talento senza ambizione, intelligenza, umiltà e spirito di abnegazione, non bastano per diventare l’attrice italiana più famosa nel mondo, amata per la sua solarità e spontaneità, ben lontana dall’essere una diva altezzosa che non si concede al suo pubblico. Dubitiamo che molte  giovani leve, italiane e non, che tanto vorrebbero somigliarle riescano a percorrere una carriera simile, posando per il Calendario Pirelli a 70 anni. Se volessimo riassumere velocemente la versatilità di Sophia Loren attraverso due fotogrammi, sceglieremmo il ballo con De Sica in Pane, amore, e… e quello che la vede scagliare la pietra contro la camionetta di soldati, dopo la violenza subita dai nord-africani ne La ciociara.

Di Annalina Grasso

La letteratura responsabile: “Noi, quelli delle malattie rare”

Un libro non ha solo il potere di farci sognare, di farci evadere dalla quotidinità, di intrattenerci. Un libro può e deve anche informarci, farci riflettere, farci conoscere delle realtà importanti di cui non siamo a conoscenza. Un libro può e deve renderci più sensibili. Un libro può e deve nobilitare il nostro essere umani. Ed è per questo che 900letterario ritiene fondamentale dare spazio a storie di persone molto spesso trascurate, ignorate e dimenticate; a storie di vita, di amore e di coraggio.

I protagonisti di queste storie sono affetti da malattie rare, e oggi vogliamo presentare un libro che ci fa scoprire la tenacia di persone che si aggrappano alla vita con tutte le loro forze, perché la amano e che siano di sostegno a chi ha deciso di non mollare ma anche a chi non avrebbe più voglia di lottare, Noi quelli delle malattie rare della giornalista de Il Corriere della Sera, Margherita De Bac edito da Sperling & Kupfer (2010) che ci consente di porre la nostra attenzione su questo delicato argomento, probabilmente ignorato da molti.

Ma cosa vuol dire ‘malattia rara’? Rara è considerata ogni malattia che ha, nella popolazione generale, una prevalenza inferiore ad una data soglia, codificata dalla legislazione di ogni singolo paese. L’Unione europea ha stabilito tale soglia allo 0,05% della popolazione, ossia 1 caso su 2000 abitanti, e l’Italia si attiene a tale definizione. Molte patologie sono però molto più rare, arrivando a frequenza di 1 caso su 100.000 persone (0,001%) o più. Le malattie rare sono molte, la maggioranza delle quali sono di origine genetica, identificabili per un difetto dell’acido nucleico.

Il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate oscilla tra le 7.000 e le 8.000, ma è una cifra destinato a crescere con l’avanzare dei  progressi della ricerca genetica. Si sta parlando non di pochi malati ma di milioni di persone in Italia e decine di milioni in tutta Europa.
Secondo la rete Orphanet Italia nel nostro paese sono 2 milioni le persone affette da malattie rare e il 70 per cento di esse sono bambini in età pediatrica.
Vi sono diverse liste di malattie rare: la National Organization for Rare Disorder (NORD), Office of Rare Diseases. Orphanet propone una lista di circa 5.000 nomi di patologie rare in ordine alfabetico. In Italia l’Istituto Superiore della Sanità ha individuato un elenco di malattie rare esenti-ticket e tale elenco comprende attualmente 583 patologie. Alcune Regioni Italiane hanno deliberato esenzioni per patologie ulteriori da quelle previste dal decreto 279/2001.

Noi, quelli delle malattie rare è un libro di speranza, in cui sono presenti non solo racconti, testimonianze ed interviste, ma anche alcuni brani tratti dal blog www.lemalattierare.info che ha dato voce a chi non ne ha mai avuta. Le malattie rare non sono più un tabù? In un certo senso esse sono state sdoganate sicuramente sul piano della conoscenza, ma c’è ancora tanta strada da fare, a livello di leggi, di cure, di finanziamenti, di ricerca e appunto di sensibilità. Noi vogliamo cominciare proprio con quest’ultima, attirando l’attenzione delle persone e infondendo speranza ricordando i progressi scientifici e confidando in molte persone che si impegnano per divulgare queste tematiche, come la stessa autrice del libro (il suo secondo dopo Siamo solo noi) che ha saputo unire l’attività giornalistica a quella di formazione ed insegnamento di tecnica della comunicazione scientifica, devolvendo il ricavato dei suoi libri a sostegno della lotta contro le malattie rare.

Il libro consegna alla sensibilità del lettore storie commoventi come quella della diciannovenne Costanza affetta da Sindrome di Ehlers-Danlos, malattia che colpisce colpisce prevalentemente il tessuto connettivo, della piccola Margherita (solo tre anni e mezzo) affetta dalla Sindrome di Noonan, caratterizzata da un insieme di malformazioni congenite, di Manuela, 21 anni affetta dalla Sindrome di Williams, caratterizzata da stenosi aortica sopravalvolare, ritardo mentale associato ad un carattere estremamente socievole ed estroverso, da Martina, 16 anni affetta dalla Sindrome del QT lungo, anomalia cardiaca caratterizzata da una ritardata ripolarizzazione delle cellule miocardiche ed associata a sincope.

Le storie sono tante ma se ne parla sempre troppo poco e anche in questo campo c’è la solita Italia che va a due velocità diverse. Tra diagnosi certa e l’effettivo accesso alle cure possono passare anche nove-dodici mesi; la rete di centri specialistici istituita dalle legge numero 279 del 2001 mostra ancora troppe rotture: i centri individuati dalle Regioni con ruolo di riferimento non sempre sono all’altezza, e c’è la corsa all’investitura perché poi arriveranno i soldi. Ad esempio la Toscana funziona bene da questo punto di vista, inserendo le malattie rare tra le sue priorità e prevedendo lo screening neonatale per 40 sindromi metaboliche. Uno dei problemi principali è che non è conosciuta l’esatta dimensione del fenomeno; nel 2008 L’Istituto Superiore di Sanità ha reso pubblico il risaultato della prima fase del censimento. Ma si tratta di un bilancio incompleto, dato che sette Regioni non hanno inviato il materiale; in media 5 italiani su 10.ooo sono <<rari>>, il 20% delle famiglie deve intraprendere viaggi per cercare la diagnosi, nel 58,8% del campione l’intervallo tra la comparsa dei sintomi è la diagnosi è superiore ad un anno, nel 22% supera addirittura i cinque anni. Tutto questa sta a dimostrare come l’autonomia non è la soluzione migliore per le malattie rare e come ci sia bisogno di un forte coordinamento centrale.

Tuttavia negli ultimi anni sono stati compiti parecchi passi in avanti nella ricerca, nello sviluppo di farmaci; gli USA sono stati il primo Paese, nel 1983, ad attrezzarsi di una legge per lo sviluppo di medicine orfane, l’Europa è arrivata in seguito concentrando però la sua attenzione sul cancro e i difetti metabolici, mentre nessuna molecola ha interessato le malattie neurologiche.

L’unica certezza che emerge da queste considerazioni è la solitudine delle famiglie dei malati rari, sebbene abbiano avuto coraggio di uscire dalle proprie mura per far sentire la propria voce. Ma non possiamo non rimanere coinvolti ed emozionarci di fronte al modo che hanno soprattutto i bambini di vivere la malattia: Margherita si considera un angioletto Noonan, come se fosse depositaria di un privilegio, sia pure ingrato. La malattia con lei è stata abbastanza benevola rispetto ad altri, perché le ha impresso sul visino quei tratti inconfondibili, occhi distanziati e asimmetria e quella strana incurvatura sul petto, ma per il resto Margherita è una bambina sveglia e intelligentissima.

Invitiamo tutti a leggere Noi, quelli delle malattie rare, a visitare il blog www.lemalattierare.info, e i siti www.orphanet-italia.it/national/IT-IT/index/le-malattie-rare/, http://www.orpha.net/consor4.01/www/cgi-bin/?lng=IT, http://www.osservatoriomalattierare.it/ (prima testata dedicata alle malattie rare).

 

 

 

Il giovane favoloso, G. Leopardi in concorso a Venezia 2014

Mario Martone

Giudizi contrastanti intorno al nuovo film di Mario Martone, Il giovane favoloso, ovvero Giacomo Leopardi provengono dalla laguna veneziana; Il film infatti, in concorso per l’ambito Leone d’Oro, ha diviso la critica: alcuni la considerano un’opera- compendio che non scongiura totalmente il rischio di diventare un didascalico biopic per scolaresche, altri un lavoro che rimuove i luoghi comuni che da sempre accompagnano il grande poeta e filosofo marchigiano, interpretato da uno straordinario Elio Germano.

Cosa sappiamo effettivamente di Giacomo Leopardi, pessimismo a parte? Lo conosciamo davvero? In realtà l’autore de Lo Zibaldone, di A Silvia, de Il canto notturno di un pastore errante, di Alla luna, de L’infinito, de La ginestra e via discorrendo, è stato collocato dalla cultura postmoderna fuori del suo tempo, e il risultato è un approccio scolastico e banale alla figura di uno dei più grandi poeti dell’Ottocento.

Mario Martone racconta il “suo” Leopardi proprio dalla giovinezza a Recanati, seguendo il giovane nella ricerca costantemente osteggiata dal padre Monaldo e dalla madre, una bigotta e anaffettiva, la quale presterà il suo volto a quella Natura ostile e maligna cui il poeta si è rivolto per tutta la vita con profondo rancore e dolore per essere stato un figlio abbandonato e mai compreso.

Attraverso un salto temporale, ritroviamo Leopardi a Firenze, dove conosce l’amata Fanny e l’amico Antonio Ranieri, entrambi fondamentali all’interno del percorso emotivo del poeta. Leopardi si confronta con la società intellettuale della sua epoca dell’epoca, che invece di cogliere la capacità visionaria di Leopardi  fuori dagli schemi, ne intuiscono invece la pericolosità dal punto di vista politico, in quanto non allineato con il pensiero (ottimista) dominante che mitizza la storia e il progesso, respingendo qualsiasi utopia.

Leopardi era un uomo libero e scomodo, alcuni critici lo hanno considerato nemmeno un filosofo, come il vecchio filone della cultura laicista italiana, presieduta da De Sanctis a  da Croce, ritenendo la filosofia di Leopardi scarsamente significativa. In effetti tale filosofia  può sembrare che esprima null’altro altro che un superficiale pessimismo che nasce dalla presa di coscienza della propria infelicità che poi si estende a tutta la realtà, al quale fa da contralatare una poesia profonda. Eterogenesi dei fini: Leopardi che odia la vita, ce la fa amare attraverso la poesia. Come avrà reso questo controsenso il regista napoletano?

Bisogna attendere il decennio tra le due guerre per avere una rivalutazione del pensiero di Leopardi; Giovanni Gentile infatti legge il poeta con interessi filosofici, nell’intento di rivalutare le Operette morali, e arriva ad affermare che Leopardi è autentico e grande filosofo. Un filosofo che non si è preoccupato di indagare su problemi metafisici e gnoseologici; Leopardi non procede per astrazioni nelle sue riflessioni, ma comunica in maniera immediata come dimostra lo Zibaldone, e ci è più comprensibile.

L’atto conclusivo del film di Martone si svolge a Napoli, dove Leopardi dà vita a La ginestra, summa del pensiero esistenziale del poeta disperato.
Martone racconta quindi un Leopardi vulnerabile, dalla salute cagionevole e l’animo fragile, ma seppur rattrappito nel corpo, egli dimostra fino alla fine una grande lucidità intellettuale ed ironia; e proprio questa ironia si configura come un aspetto “nuovo” nel presentare la figura di Leopardi, nella cui parole e lingua, secondo Martone, si ritrovano le orgini dell’Italia di oggi.

Mario Martone vuole mostrare come Leopardi sia un personaggio attualissimo e moderno, attraverso un’opera filologica, facendoci avvicinare al lato umano e affettivo di un giovane il cui straordinario intelletto che confidava nella forza della ragione, era confinato in un corpo deforme e in un mondo troppo piccoli per contenerlo.

Il film sembra essere un omaggio non solo a questo importante protagonista della nostra cultura ma alla cultura e alla bellezza stesse, troppo spesso malatrattate ed ignorate. Ma Martone sarà stato anche in grado di coinvolgere lo spettatore riflettendo su una delle tematiche più affascinanti e sempre attuali del pensiero leopardiano che riguarda tutti noi, ovvero la teoria dell’amor proprio, secondo la quale l’uomo è un essere che ama necessariamente se stesso e mira alla propria conservazione e alla propria felicità. L’altruismo per Leopardi è un controsenso: quando si fa  del bene ad un altro è perché si prova piacere, quindi lo si fa sempre a se stessi.

L’altruismo quindi è davvero una sublimazione dell’amor proprio? Può coincidere con l’egoismo? Quest’ultimo è un atteggiamento di chi è debole o forte, è mosso dal raziocinio, dal calcolo o dall’istinto?

Il rischio principale de Il giovane favoloso è quello di perdersi in parole pedanti e noiose didascalie, piuttosto che in immagini suggestive che ci trasmettano il senso della convinzione leopardiana che l’immaginazione è la fonte primaria della felicità e la l’illusioni sono il vero, la realtà; assunto che è l’essenza del cinema stesso, del resto.

Umberto D. di Vittorio De Sica: storia di un capolavoro

Una pietra miliare della storia del cinema, una delle vette del Neorealismo, il capolavoro Umberto D. di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, alla sua uscita, nel 1952,  a sette anni dall’altro capolavoro neorealista Roma città aperta di Roberto Rossellini, è stato oggetto di forti polemiche sia da destra (famoso l’intervento dell’onorevole Giulio Andreotti, che accusò De Sica di eccessivo pessimismo e di non ricordare che l’Italia era anche patria di don Bosco, di Forlanini e di una progredita legislazione sociale), sia da sinistra, per la mitologia del “personaggio positivo”, che il film smentiva, non prestandosi a essere semplicisticamente definito “un appello alla solidarietà umana”. Certamente Umberto D. è stato sottovalutato, complici i giudizi provenienti da destra e da sinistra e la crisi dello stesso neorealismo, con l’Italia che si avviava al boom economico, la fortuna che avrebbero avuto da li a poco i film mitologici e la nascita della televisione.

Realizzato grazie al coraggioso produttore Giuseppe Amato, il film  incassa forse la metà di quanto speso e risulta un clamoroso flop del neorealismo italiano. Ma Umberto D. è più che mai una pellicola di successo, un punto di riferimento per moltissimi cinefili ed addetti ai lavori, un monumento della nostra cultura che non smetterà mai di essere celebrato, nè di commuoverci.

Ma come nasce questo capolavoro? La risposta sta proprio nel volume dello sceneggiatore Zavattini, Umberto D. Dal soggetto alla sceneggiatura, divenuto ormai un libro cult per i bibliomani, un testo fondamentale per tutti gli studiosi di scrittura cinematografica. Il modo di scrivere di Zavattini infatti è rivoluzionario, e non solo per l’Italia: lo stesso Martin Scorsese ha ammesso come il cinema italiano abbia profondamente influenzato la sua regia. Con questo libro Zavattini ha voluto dimostrarecome da una semplice idea di poche righe si possa sviluppare un intero film.

Umberto D. racconta la realtà come fosse una storia, tentativo che nasce dall’impegno di Zavattini di porsi contro l’eccezionale a favore del quotidiano senza timori, perchè, secondo lui, “il banale non esiste” e chi fa cinema non deve avere paura del banale. Il percorso della scrittura di Umberto D. è esemplare e propedeutico per chi volesse intraprendere il mestiere dello sceneggiatore. Come Miracolo a Milano e Ladri di biciclette, Umberto D. funge da modello per la personalità di uomo di cinema di Zavattini, così predominante ed originale, che gli ha consentito di conquistare un nuovo stile che risponde ad un preciso mondo morale. In Umberto D. come in tutti i film neorealisti il normale diviene eccezionale, spettacolo; è una banale  e spettacolare avventura quotidiana vissuta da un anziano (interpretato da un professore di glottologia, Carlo Battisti) con il suo fedele cagnolino Flik.

Sullo sfondo di una Roma traboccante di gente produttiva, Umberto D., che abita presso una donna che fitta camere, cerca di affrontare con dignità la miseria economica, la vecchiaia e  la solitudine esistenziale. L’unico rapporto lo instaura con la servetta Maria (Maria Pia Casilio), chiedere la carità per lui, è troppo degradante e umiliante.

Lo sguardo di De Sica è fulgido, catartico in tutta la sua essenzialità, anche quando si tratta dei propositi suicidi del protagonista che sarà salvato proprio dal suo cagnolino, mentre l’ambiente circostante è occupato da bambini (che nel cinema di De Sica hanno sempre un ruolo “purificante”) intenti a giocare: il futuro della società è nelle loro mani…

C’è  ancora speranza? La domanda sembra avere risposta positiva, in riferimento alle nuove generazioni, ma il film tenta un cambio di rotta, segnando un passaggio storico; il mondo infatti stava precipitando nell’incubo del conflitto nucleare, mentre l’Italia era sempre più alle dipendenze degli USA, come dimostrano anche la quantità di film di Hollywood che invadeva le sale italiane.

A proposito del titolo del film, Zavattini afferma: <<Mi venne in mente il titolo Umberto D. come mi sarebbe potuto venire in mente Antonio D. Poi cercai di giustificarlo con una brevissimascena sul Campidoglio in cui Umberto doveva dare il proprio nome e cognome ai dimostranti che avevano scelto casualmente lui con altri quattro o cinque per recarsi dal sindaco a protestare in nome dei proprietari di cani troppo tassati; e Umberto modestamente diceva; “Umberto Domenico Ferrari…ma può scrivere: Umberto D. Ferrari…basta”. Quando sotituii il corteo dei padroni di cani con il corteo dei pensionati, riallacciandomi all’idea del soggetto, misi una situazione quasi identica nell’ospedale dove gli scioperanti della fame raccoglievano firme di solidarietà; infatti il vecchio diceva agli agitati raccoglitori di firme: “Basta Umberto D. Ferrari”. Ma lo sciopero, fu uno dei tagli grossi che De Sica e io decidemmo di fare dopo che il film fu girato>>.

 

 

 

A Polla nasce “Il Libro sospeso”

Dopo l’apertura della libreria ad azionariato popolare “Io ci sto”, un’altra interessante iniziativa letteraria è stata lanciata in Campania, e precisamente a Polla, in provincia di Salerno, per promuovere e favorire la lettura da parte dei ragazzi dai 10 ai 18 anni, “Il Libro sospeso”.

“Il Libro sospeso”, che nasce nella Libreria Ex Libris Cafè, prende spunto dall’antica pratica del “caffè sospeso napoletano” per i poveri, quando al bar si lasciava un caffè già pagato, a vantaggio di chi entrava nel bar e non poteva pagarlo, oppure quando una persona era particolarmente felice perché aveva qualcosa da festeggiare, perché aveva cominciato bene la giornata, beveva un caffè e ne pagava due, per chi sarebbe venuto dopo e non poteva pagarselo.

Un caffè offerto all’umanità insomma, un’abitudine filantropica e solidale, ormai in declino, che rende onore alla cultura partenopea. Di tanto in tanto qualcuno si affacciava alla porta e chiedeva se c’era “un caffè sospeso”, e spesso riceveva in cambio anche un semplice sorriso.

Nel 2008, lo scrittore Luciano De Crescenzo ha raccolto una serie di articoli di giornali, considerazioni e aneddoti su questa abitudine che ha avuto successo in molti Paesi del mondo, intitolandoli Il caffè sospeso. Saggezza quotidiana in piccoli sorsi. Il 10 dicembre 2011 la “Rete del Caffè Sospeso” ha istituito la “Giornata del Caffè Sospeso” con l’ausilio di diverse associazioni culturali e dal 2012 l’organizzazione onlus 1 Caffè cerca di riproporre questa tradizione a scopo benefico e su base volontaria.

L’usanza tradizionale ha dato spunto, come si è accennato all’inizio, ad iniziative simili in altri settori del consumo, primo tra tutti in quello della piccola distribuzione libraria, dove ha cominciato a prendere piede un’iniziativa che promuove un’analoga abitudine, quella del “libro sospeso” appunto, in cui il frequentatore della libreria lascia dietro di sé un libro pagato, in base a un titolo da lui scelto. E Polla ne è un esempio lampante e ci auguriamo che molte altre librerie d’Italia prendano parte alla medesima iniziativa; ecco come funziona: basta acquistare due libri, uno per te, l’altro per un ragazzo “sconosciuto” dai 10 ai 18 anni e il libro acquistato sarà preso in consegna dal libraio e consegnato a un ragazzo che si recherà in libreria nei successivi sette giorni. Per sapere a chi è andato il “libro sospeso” da te acquistato potrai chiedere in libreria oppure il nome sarà inviato alla tua casella di posta. Semplice!

In pochi giorni ci sono state diverse  richieste di adesioni da parte di altre librerie in rete in diversi luoghi d’Italia, non si esagera se si afferma che questa intelligente moda letteraria stia dilagando. L’iniziativa come è evidente si rivolge soprattutto a chi è desideroso di favorire la lettura tra i ragazzi e ai ragazzi stessi al fine di invertire la tendenza dei cittadini italiani ad allontanarsi dalla lettura.

A questo gioco solidale ha aderito anche Librerie Feltrinelli, agganciandosi allo hashtag #librosospeso.

 Nell’epoca del pensiero unico,  e in queso periodo di crisi, che soprattutto culturale, la libera repubblica dei lettori continua a mostrarsi irriducibilmente anarchica e ancora una volta la Campania dimostra di tenere molto alla letteratura.

Se  quindi avete dai 3 ai 18 anni, andate nella libreria Ex Libris Café, a Polla, fondata da Michele Gentile, che ha avuto questa geniale intuizione che è stata poi rielaborata da altre librerie, come quelle di Palermo, la Modus Vivendi, di Milano, Il mio Libro e la Kindustria di Matelica, nelle Marche, creando anche l’hashtag #librosospeso che sta sbancando su Twitter. I clienti che acquistano un libro sospeso lasciano una dedica, talvolta esprimendo anche una preferenza riguardo al destinatario. L’acquirente può anche venire a sapere in che mani è finito, appagando il desiderio che quel libro donato finisca in buone mani.

Un fenomeno fortunatamente virale.

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I giorni dell’eternità. The century trilogy. Vol. 3
Follett Ken, Mondadori
[2]
La piramide di fango
Camilleri Andrea, Sellerio Editore Palermo
3 4
[3]
Una mutevole verità
Carofiglio Gianrico, Einaudi
[5]
Storia di una ladra di libri
Zusak Markus, Frassinelli
5 6
[6]
Colpa delle stelle
Green John, Rizzoli
[4]
La misura della felicità
Zevin Gabrielle, Nord
7 8
[7]
L’ abbazia dei cento peccati
Simoni Marcello, Newton Compton
[8]
Tango a Istanbul
Aykol Esmahan, Sellerio Editore Palermo
9 10
[9]
Vacanze in giallo
Sellerio Editore Palermo
[13]
Il segreto della camera n. 3
Dexter Colin, Sellerio Editore Palermo
11
[10]
Il cardellino
Tartt Donna, Rizzoli

Altro compleanno, di Vittorio Sereni

La scadenza del compleanno è indice del tempo che passa inesorabile e il grande poeta Vittorio Sereni, che si è sempre sentitoinadeguato per il suo tempo, colora l’estate nella lirica  Altro compleanno che fa parte della raccolta Stella variabile del 1982. Questa lirica sembra presagire il superamento una nuova fase per il poeta di Luino che coincide con il superamento del nichilismo, derivante dall’impossibilità dell’io di cambiare la Storia e da un perenne stato di incertezza.

Sereni è in un bar, a Milano e guarda lo stadio di San Siro, muto e assolato, testimone di un campionato ormai terminato; un altro anno è passato e si attende il futuro. Il poeta spera di poter avere la forza che lo ha contraddistinto negli anni passati per sostenere le difficoltà di tutti i giorni che sembrano irrompere come onde impetuose; egli crede che il futuro gli possa riserbare qualche illusione, facendogli apprezzare la bellezza della vita. Un altro compleanno prende spunto da situazioni concrete, reali (il compleanno, il bar, lo stadio) per elevarsi alla meditazione sul senso e sul valore dell’esistenza; ed è proprio questa la cifra di Vittorio Sereni, che al di fuori di certezze e prese di posizioni, al di là di qualsiasi ideologia, è sempre alla ricerca della verità umana che si cela dietro alle cose.

Riportiamo la poesia:

A fine luglio quando
da sotto le pergole di un bar di San Siro
tra cancellate e fornici si intravede
un qualche spicchio dello stadio assolato
quando trasecola il gran catino vuoto
a specchio del tempo sperperato e pare
che proprio lì venga a morire un anno
e non si sa che altro un altro anno prepari
passiamola questa soglia una volta di più
sol che regga a quei marosi di città il tuo cuore
e un’ardesia propaghi il colore dell’estate. 

Il componimento è strutturato come un lungo periodo senza punteggiatura; inizia con una proposizione temporale che indica il cadere del compleanno del poeta, mentre la principale, posta al terzultimo verso (passiamola questa soglia una volta di più) scioglie l’attesa, data dal susseguirsi di proposizioni indipendenti. Le metafore presenti della poesia rimandano sempre a situazioni realistiche, ad esempio: il gran catino vuoto che indica qualcosa di inutile, questa soglia che rappresenta il limite che divide un anno da un altro, ovvero il compleanno, quei marosi, ossia le avversità, le difficoltà che ogni giorno assalgono il poeta il quale deve fare resistenza, e un’ardesia propaghi il colore dell’estate che sta ad indicare le illusioni che ci spingono ad apprezzare la vita che continua tutto intorno la quale altrimenti ci sembrerebbe vuota e triste. L’ardesia, pietra grigio scura che riflette il colore, rappresenta proprio quello che è artificiale e illusorio, mentre il colore dell’estate idnica proprio la bellezza e la vivacità della vita.

Molti sono anche i termini desunti dal linguaggio parlato quotidiano come appunto il bar, lo stadio, a fine luglio che mettono in evidenza il tono narrativo del discorso e ciò dimostra come l’universo ideale e linguistico di Sereni appare anche oggi straordinariamente attuale e, soprattutto, necessario.

Come ha giustamente notato Fabio Pusterla che ha scritto la prefazione della raccolta, Stella variabile è uno di quei libri che sono “più a lungo renitenti a ogni esatta definizione critica, più a lungo dialoganti con l’inquietudine di nuovi, più giovani e più ignari lettori. La luce di questi libri è mutevole, più difficile da reggere, più lancinante e ingannevole. È una luce in cammino, che ancora non è stata interamente decifrata e addomesticata, e che per questo ci attrae, selvaggia e insinuante. È a questa famiglia di opere che appartiene forse Stella variabile, libro dolorosamente conclusivo, eppure anche fiduciosamente aperto verso un futuro che ancora non è del tutto maturato, e verso il quale ci invita a camminare”.

 

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