‘L’americano’: la decadente Europa di Henry James

La giornata era afosa ed egli, accaldato per il gran camminare , si passava ripetutamente il fazzoletto sulla fronte, con un gesto che denotava una certa stanchezza. Non aveva però l’aria di un uomo cui la fatica fosse familiare: lungo e snello, ma muscoloso, egli dava l’idea di possedere quella sorta di vigore che è comunemente conosciuta come <<saldezza fisica>>. (L’americano, cap I)

Un uomo che si scontra con un’intera cultura; volendo sintetizzarlo al massimo sarebbe questo il contenuto del libro dell’indagatore dell’animo umano Henry James (New York, 15 aprile 1843- Londra, 28 febbraio 1916), “L’americano” del 1877. Avvincente, romantico, un po’ troppo melodrammatico, costruito dettagliatamente intorno alla psicologia dei personaggi e al contrasto tra vecchio e nuovo, L’americano suggestiona e appassiona il lettore anche per l’accurata riproduzione delle atmosfere ottocentesche.

L’americano in questione, l’indimenticabile protagonista del romanzo, è Christopher Newman, quarantenne di bell’aspetto, simpatico, brillante, buono, molto facoltoso grazie alle sue attività nel commercio, va in Europa deciso a migliorare la propria cultura e a trovare “la migliore delle donne” che diventerà sua moglie. Si innamora, ricambiato, della bellissima, intelligente, colta, dolce e naturalmente appartenente all’antica nobiltà, Claire, o come spesso è chiamata nel romanzo, Madame De Cintrè,  rimasta vedova a soli 25 anni, dopo un matrimonio non felice con un  uomo aristocratico molto più anziano di lei, scelto dalla sua famiglia, ovviamente per convenzione e convenienza.

La madre e il fratello di Claire si oppongono con tutte le loro forza a questa unione, in quando vedono in Newman solo un volgare uomo arricchito con il commercio, non degno di entrare a far parte della loro prestigiosa famiglia, alla quale però fanno gola le ingenti finanze dello “straniero” ma non apprezzano il modo con cui le ha ottenute. Nonostante i parenti di Claire, appartenenti alla corrotta e decadente nobiltà, abbiano un gran bisogno del patrimonio di Newman, muovono guerra all’uomo e convincono la giovane donna a rinunciare a lui.

Ma il caso vuole che Newman entri in possesso di un importantissimo documento contenente un segreto che potrebbe distruggere la vita dei parenti di Claire; l’uomo potrebbe usarlo senza alcuno scrupolo per vendicarsi dei numerosi torti, affronti ed umiliazioni subite, ma non lo fa, mentre la donna, distrutta dal dolore, decide di farsi monaca camerlitana.

Potrebbe sembrare che Claire non abbia carattere e che in fondo non sia poi cosi intelligente ma  in realtà non ha paura di ribellarsi alla madre quanto di veder cambiata la sua sorte; tra i personaggi che spiccano nel romanzo, a parte il protagonista, vi è Valentin de Bellegarde nel quale confluiscono molti dei sintomi del male di inizio Novecento. Il finale de L’americano potrebbe suscitare rabbia, sorpresa, perfino delusione ma risiede proprio qui la diversità rispetto agli altri romanzi di James: Newman è un uomo buono,sicuro di sè, idealista, disincantato, a tratti ingenuo, puro d’animo anche se non dotato di un gran gusto per quanto riguarda soprattutto l’arte, ma è capace di scatti d’impeto, di momenti di tristezza e smarrimento di fronte alla meschinità dell’aristocrazia parigina.

Anche nel successivo “Gli europei” James  si occupa degli usi e dei costumi europei, facendo luce sulla diversità di comportamenti tra vecchio e nuovo mondo. Come ne “Gli europei” anche ne “L’americano” che regala pagine indimenticabili e di estrema eleganza ( i pensieri d’amore di Newman su Claire, i dialoghi con lei e con de Bellegarde), emerge un paradosso: proprio i pragmatici americani, accusati da sempre di non avere una storia, a differenza degli europei che sono più critici e raffinati, sono legati alle tradizioni e alla morale, nonostante lo siano anche ai beni materiali.

Probabilmente “L’americano” non sarà il capolavoro di Henry James (in primis per la poca verosomiglianza di alcuni fatti), a differenza del delicato “Ritratto di signora” o dell’intricat “La coppa d’oro”, ma ha il grande pregio dell’accessibilità e di porre in maniera semplice il “tema internazionale”, ovvero lo studio psicologico di un suo compatriota a conttato con un’altra civiltà priva di riferimenti morali. Sbaglia, tuttavia, chi pensa che James abbia voluto attuare un’operazione ben studiata per celebrare la sua America, ritraendo impietosamente l’Europa. lo scrittore americano non ha risparmiato critiche nemmeno al suo Paese  e ha sostenuto che per ogni intellettule che si rispetti è indispensabile fare tappa in Europa.

La  stessa descrizione che James fa  di Christopher Newman rivela una sottile satira per quest’uomo cosi dinamico ma approssimativo nei modi e nell’educazione. Non è perfetto ma certamente, secondo il suo autore, è migliore dei Bellegarde. James pone anche la sua attenzione alla questione artistica attraverso il personaggio della svagata, dilettante artista Mademoiselle Nioche.  Interesse da parte del grande scrittore americano testimoniato da questa sua frase:

“È l’arte che fa la vita, fa l’interesse, fa l’importanza […] e non conosco alcun sostituto alla forza e alla bellezza del suo processo”.

Top ten dicembre 2013

Fonte: Hoepli.it

 

SEPULVEDA LUIS
STORIA DI UNA LUMACA CHE SCOPRÌ L’IMPORTANZA DELLA LENTEZZA
GUANDA 

 

 

 

GRISHAM JOHN
L’OMBRA DEL SICOMORO
MONDADORI

 

ALLENDE ISABEL
IL GIOCO DI RIPPER
Feltrinelli

 

SERRA MICHELE
GLI SDRAIATI
Feltrinelli

 

MARCHESINI ANNA
MOSCERINE
Rizzoli

 

CORONA MAURO
LA VOCE DEGLI UOMINI FREDDI
MONDADORI

 

MAZZANTINI MARGARET
SPLENDORE
MONDADORI

 

CAZZULLO ALDO
BASTA PIANGERE
MONDADORI

 

VOLO FABIO
LA STRADA VERSO CASA
MONDADORI

 

GASKELL ELIZABETH
NORD E SUD
JO MARCH

Michail Michajlovic Bachtin e l’ardita teoria sul romanzo

L’originale opera del teorico della letteratura russo Michail Michajlovic Bachtin (Orel, 17 novembre 1895- Mosca, 7 marzo 1975), considerato tra i massimi pensatore del ventesimo secolo, spazia dalla letteratura alla storia passando per la filosofia, elaborando un’ardita analisi del romanzo. Bachtin affronta il problema della creazione letteraria, della forma, del contenuto, della parola, dello spazio e del tempo nel romanzo moderno; in “Estetica e romanzo”inizia la sua riflessione dal romanzo greco e latino e da quello cavalleresco.

L’inesauribile scambio di energie critiche fra teoria e storia produce una gamma vastissima e  straordinaria di interpretazioni ed intuizioni, supportate da una metodologia rigorosa  ma innovativa. “Estetica e romanzo” potrebbe essere letto  come espressione di una filosofia «dialogica»  libera e rivoluzionaria.

In “L’autore e l’eroe”, sua opera giovanile, fonda un’analisi fenomenologica del rapporto “io/l’altro”, con sorprendente coerenza.

La  critica di Bachtin non è facilmente inseribile in una corrente, egli  considera fondamentale ai fini dell’interpretazione del testo, la presa di coscienza del contesto storico. Non si può prescindere dagli eventi storici e non si può leggere un testo in maniera autonoma. Bachtin prende in considerazione tre aspetti: la  teoria del linguaggio,la  teoria dei generi letterari,e la teoria del comico.Per la prima indispensabile è  il  dialogo, identificando tutte le forme di scrittura. La teoria dei generi corrisponde a quella del romanzo; genere molto apprezzato dallo studioso russo per la sua modernità e realismo. Propone poi per quanto riguarda la teoria del comico, un approccio alla realtà  tramite il riso, sovvertendo i valori tradizionali.

Per lo studioso  tutto il linguaggio non può che essere dialogico, comprendendo in questo il rapporto tra autore ed eroe anche  estetica ed etica. L’autore in questo senso, non tiene i fili dei suoi personaggi come se fossero burattini, ma scopre e si sorprende insieme a loro; solo il romanzo, per Bachtin, può garantire la massima espressione della forma dialogica.

Senza dubbio Bachtin ha contribuito in gran parte allo studio della semiotica cosi come dell’estetica, evidenziando il ruolo del narratore e la dialogicità dei segni e delle parole all’interno sia dell’opera letteraria che dell’opera d’arte; fondamentale a tal proposito i suoi due saggi su Rabelais e Dostoevskij, rispettivamente “Dostoevskij, poetica e stilistica” e “L’opera di Rabelais e la cultura popolare”. Nel primo il critico russo individua le categorie della poetica dello scrittore/filosofo suo conterraneo , oggetto di molte riflessioni, ma per la prima volta Dostoevskij viene presentato come un innovatore, fautore di un nuovo modo di scrivere chiamato da B. “polifonico”, ovvero a più voci. Nel secondo saggio, Bachtin cerca  di comprendere la lingua delle forme e dei simboli carnevaleschi, quella  di cui si avvale  Rabelais; definendo «realismo grottesco» il sistema di immagini della cultura comica popolare.

La semiotica e l’estetica sono delle scienze naturali e per Bachtin devono essere rifondate sul principio dell“‘intersoggettività”  e della “comprensione dialogica attiva” riscontrabili nella parole e nei gesti che ci offre la società e la storia attraverso le innumerevoli relazioni tra Io e l’Altro; le quali influenzano fortemente l’impostazione di tutte le scienze naturali.

 

 

 

Elisabetta Pedata Grassia: “Fiori in rapsodie”

L’autrice Elisabetta Pedata Grassia

Un inno alla libertà, alla natura, alla bellezza, all’amore  e alla fede la raccolta di poesie  “Fiori in Rapsodie”con cui esordisce la giovane napoletana Elisabetta Pedata  Grassia, impegnata nel sociale nei quartieri difficili di Napoli, e a valorizzare i giovani talenti come lei. Determinata e tenace Elisabetta  ha messo nero su bianco note poetiche cariche di significato ed evocazioni  sia mitologiche che sacre, capaci (soprattutto alcune) di suggestionare il lettore  e di parlare di Dio attraverso la bellezza e la forza della natura.

Il mare, Dio, il vento,  il sole, la sabbia,l’anima, le piccole cose ( l’aquilone, il cappello), gli animali, sono elementi ricorrenti nelle poesie di Elisabetta Pedata Grassia che contribuiscono già da soli a conferire musicalità al verso libero, musicalità accresciuta dalla loro disposizione; l’autrice infatti , come Ungaretti,spesso isola alcune parole caricandole di valore simbolico. Le parole che utilizza Elisabetta  sono rivelatrici, atte ad una pacificazione  ed armonia esteriore ed interiore;  sono vitali perchè esprimono  tutta la pienezza della vita e la perfezione dell’Universo, del Tutto e dell’Uno.

Forte è anche l’influenza della letteratura orientale, Herman Hesse su tutti e lo si percepisce sia dalla compattezza   che  da una certa leggerezza stilistica . Tuttavia l’autrice non propone solamente liriche ma anche racconti brevi  sempre con soffofondo musicale con funzione metaforica. Spiritualità ed essenzialità sono le parole chiave della raccolta che propone anche soundtrack come  “Suzanne”Fabrizio De Andrè. La ricerca  del significato della parola è portata avanti con estrema attenzione, in certi momenti anche con struggimento e inquietudine che dimostrazione il grande coinvolgimento e bisogno emotivo da parte di Elisabetta Pedata Grassia di scrivere, qualità non di poco conto che certifica la sincerità e la genuinità dei più grandi poeti. Naturalmente la giovane scrittrice ne ha di strada da fare ma è su quella buona se solo si vuole considerare il suo approccio con questa “arte”.

Tra le poesie che maggiormente ci hanno colpito riportiamo alcuni versi delle seguenti poesie:

Agli zeri

Possiate cavalcare  sul grande carro

Mentre la notte si distende

Possiate sognare la luce

Quando la vostra voce

si leva al celo

[…]

(Da notare  qui l’anafora “possiate” e l’assenza della punteggiatura).

Ermeticha-Presente Passato Futuro

Cielo gravido

dilata le nuvole

Gambe androgine

Aperte tra le stelle

Fa un gioco dispettoso

la creatura dell’idea

Figlia del motore immobile

[…]

Apparentemente ambigua , questa lirica celebra tutta la potenza del cosmo attraverso un gioco di immagini efficaci volte a rappresentare  l’impetuosità della natura che non conosce limiti temporali.

Cantico del Mare

 Si sporse acrobata

sulla terrazza

Gli occhi due aquile

volavano

Oltre

Nella fissità del tempo

acqua terra

aria e fuoco

s’unirono

[…]

Qui l’autrice  va all’origine del mondo come sottolinea il tempo passato remoto “si sporse”. Riduce all’essenziale il verso non utilizzando il come per la similitudine “gli occhi come due aquile” e dando rilievo all’avverbio “Oltre” erigendolo a concetto filosofico.

Nelle braccia di Dio

Quell’alito di vento

forte sulle ringhiere

le rocce

Soffio umano d’amore

permea le anime

elevate alle nuvole

bianche di zucchero

[…]

In questa lirica viene descritta la sensazione di beatitudine che prova chi si lascia andare nelle braccia di Dio e quindi nell’Amore. Da evidenziare l’isolamento della parola “rocce” per creare una contrapposizione tra elementi leggeri, soavi che rimandano ad una dimensione eterea e di pace ed elementi duri come le rocce che richiamano gli aspetti terreni e la durezza della vita.

Vi invitiamo  a leggere questa preziosa e virtuosa raccolta non solo per poter leggere per intero le sopramenzionate poesie ma per poter scoprire anche le altre suggestive note musicali composte da questa talentuosa ragazza.

Potete trovare anche un’intervista rilasciata da Elisabetta Pedata Grassia  e a cura di Antonella Storti per Il Giornale di Casoria a questo link http://www.casacasoria.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3642%3Afiori-in-rapsodie-la-prima-opera-della-scrittrice–elisabetta-pedata-grassia&catid=3%3Acronaca-e-attualita&Itemid=6.

Constantino Kavafis: la tormentata ricerca di “Itaca”

Il tormentato Costantino  Kavafis, giornalista e poeta della conquista del sé, nasce nel 1863 ad Alessandria d’Egitto, sotto il segno di un destino severo e spesso arduo da ammaestrare, sebbene esorcizzato proprio grazie alla scrittura (prima giornalistica, poi squisitamente poetica). Ultimo di nove figli, Constantino vive di un perenne sguardo sull’altrove, in parte perché i genitori conducono un’avviata ditta import-export (interfacciandosi quindi con industriali e professionisti dalle diverse nazionalità e culture), in parte perché attraversato da un primigenio senso di inadeguatezza al contesto e chiusura verso gli altri. Nel 1873 muore suo padre, evento che modificherà vertiginosamente, tra l’altro, la condizione economica della famiglia, tanto da obbligare i Kavafis ad allontanarsi da Alessandria (dove Constantino però ritornerà, e dove vivrà fino alla morte), già preda di pericolose rivolte nazionaliste. Omosessuale consapevole fin da giovanissimo, diventa presto scomodamente anticonvenzionale e polemicamente scettico rispetto ai rigidi dettami della religione cristiana, che sempre istillerà nel poeta un perturbante quanto antico senso di colpa. Dal corpus poetico (che consta di 154 composizioni, pubblicate postume) emerge con chiarezza la concezione salvifica (e sottilmente aristocratica) della cristallizzazione poetica della memoria come mezzo per elevare l’uomo dalla propria condizione disperante. Latore della cultura artistica (soprattutto letteraria) e della lingua alessandrina, e cantore delle ataviche passioni umane, Kavafis si dedicherà per la vita a un dialogo fortemente introspettivo con l’ “uomo”, da sempre oggetto delle sue riflessioni, posto al centro di un destino imponderabile ma dal cammino affascinante. Muore a sessant’anni, per un tumore alla gola che gli toglierà infine la voce, ma non la capacità di parlare, e di farsi ascoltare ancor oggi.

Celebre è la sua lirica “Itaca” che rilancia il mito dell’antica Grecia  e la concezione tipicamente ungarettiana del viaggio, per cui il viaggio stesso è la meta:

Quando ti metterai in viaggio per Itaca

devi augurarti che la strada sia lunga,

fertile in avventure e in esperienze.

I Lestrigoni e i Ciclopi

o la furia di Nettuno non temere,

non sara` questo il genere di incontri

se il pensiero resta alto e un sentimento

fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,

ne’ nell’irato Nettuno incapperai

se non li porti dentro

se l’anima non te li mette contro.

 

Devi augurarti che la strada sia lunga.

Che i mattini d’estate siano tanti

quando nei porti – finalmente e con che gioia –

toccherai terra tu per la prima volta:

negli empori fenici indugia e acquista

madreperle coralli ebano e ambre

tutta merce fina, anche profumi

penetranti d’ogni sorta; piu’ profumi inebrianti che puoi,

va in molte citta` egizie

impara una quantità di cose dai dotti.

 

Sempre devi avere in mente Itaca –

raggiungerla sia il pensiero costante.

Soprattutto, non affrettare il viaggio;

fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio

metta piede sull’isola, tu, ricco

dei tesori accumulati per strada

senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,

senza di lei mai ti saresti messo

sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

 

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.

Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso

gia` tu avrai capito cio` che Itaca vuole significare.

Itaca diviene un ultraluogo dove la poesia si rigenera, acquista maggior significato , come se fosse solo l’antichità, la classicità ad offrire  questa grazie , questa lucentezza, questa verità.

Elegante e piena di sensibilità la poesia di Kavafis ha riportato  splendore alla poesia greca (e non solo) moderna con trasparenza e magia cristalline,  attraverso le tematiche  della nostalgia, dei piaceri, dell’omosessualità, del ritorno, della moralità e della psicologia dei personaggi.  Nelle sue liriche il poeta è un vincente, restituisce bellezza alle cose, ai luoghi, alle persone, sebbene  sia presente una certa coscienza  cristiana sofferente in riferimento all’omoerotismo. Il poeta risolve  questo aspetto affidandosi alla rassegnazione lucida, razionale.

Se si parla di classicità della produzione poetica di Kavafis non si può  non parlare di  tragicità, per il poeta  la vita è una lotta tra l’uomo e la sorte , come lo era nell’antica Grecia  tra uomini e dei , ma il destino è ineluttabile, nulla si può contro di esso.

“Quanto più puoi”, “Candele”, “La città”, “Brame, “Mura”, “Torna”, “L’origine”, “Dal cassetto”, sono solo alcune delle bellissime liriche del grande poeta che consigliamo  vivamente di leggere.

 

 

 

 

 

 

 

 

Rosario Runza: “Ekroom- Le divinità degli elementi”

L’autore Rosario Runza

La teoria scientifica del Big Bang è alla base del romanzo di esordio di Rosario Runza, il fantasy “Ekroom- Le divinità degli elementi”edito da Runa Editrice. Classe 1976, impiegato amministrativo presso il comune del suo paese, Niscemi (CL) , e appassionato di Manga giapponesi, questo ragazzo siciliano non sembra essersi lasciato trasportare dall’entusiasmo che tutti hanno per questo genere letterario e dal grande successo che esso riscuote; bensi’ si percepisce dalla lettura delle 328 pagine una grande passione, supportata da uno studio approfondito della materia, per la mitologia greca, unita, naturalmente, ad una fervida immaginazione.

Runza va all’origine di tutto, o meglio quando nulla esisteva, tralasciando la questione Dio  per porre l’attenzione sulla generazione degli elementi , quindi della materia, dello spazio e del tempo.

Non appena il tempo comincia a scorrere, una parte dell’energia scaturita dall’evento primordiale sembra convogliare in un unico punto, dando forma a una sfera sia di Luce che di Tenebre. Sfrecciando verso l’infinito, apparentemente senza meta, vaga per milioni e milioni di anni finché la sua traiettoria pare  rivelare uno scopo. Tra i pianeti che si vengono a formare dall’atavica esplosione, nasce Ekroom, circondato da tre lune, ricoperto da un’enorme distesa di acqua. Da qui ha inizio la vita…

La strana sfera di energia entra in collisione con l’atmosfera del pianeta, spezzandosi in due parti e portando instabilità all’equilibrio che si era creato  tra Bene e Male ed esseri dai poteri titanici vengono forgiati. Già cento anni prima, l’evento era stato predetto da Cassandra il cui spirito per millenni abitava il potente Talismano degli Elementi, ritrovato e portato al cospetto del Consiglio degli Uomini di Flendor. Secondo la profezia, il Male poteva essere vinto attivando i Templi e solo le quattro Divinità degli Elementi ne avevano il potere, ma non oltre il terzo tramonto dell’allineamento di Ekroom e le sue lune.

Imprevedibilità e un certo gusto per la bellezza della natura e dei suoi  paesaggi emergono da questa ricerca “filosofica”, questo viaggio nel tempo durante il quale è impossibile non imbattersi nell’eterna lotta tra il bene e il male che, come si evince dal romanzo, secondo l’autore sono due concetti speculari.

“Ekroom” è un fantasy che si legge tutto d’un fiato, dove i personaggi sono caratterizzati dettagliatamente e dove c’è un senso di giustizia  molto forte dettato dal bisogno di salvaguardare il Pianeta. Dunque non solo sterili scontri apocalittici ma un profondo messaggio che spinge a praticare il bene e a lottare per esso.

Sibilla Aleramo: la coscienza ‘femminista’ della poesia del ‘900

Sibilla Aleramo (nome d’arte di Rina Faccio) nacque il 14/08/1876 ad Alessandria, e trascorse la fanciullezza a Milano e l’adolescenza nelle Marche, presso un borgo marchigiano.

Negli anni lavorò come contabile nella fabbrica del padre, al quale fu sempre molto legata, ma quando la madre, soggetta a crisi depressive, tentò il suicidio, fu costretta a sostituirla nel governo della casa e a occuparsi di ogni responsabilità domestica, riuscendo sempre a scrivere racconti e articoli giornalistici.

Nel 1892 fu violentata da un impiegato della fabbrica paterna e costretta a sposarlo; dopo un aborto, dall’unione col seduttore nacque il figlio Walter.

Gli anni del suo matrimonio furono molto infelici, continuamente maltrattata dal marito che la sospettava di tradimento, finché nel 1896 tentò il suicidio.

Si riprese, nonostante le oppressioni del coniuge, e intensificò l’attività letteraria, scrivendo articoli di costume, sociologici e inerenti soprattutto alla questione femminile, e iniziando la stesura del suo primo romanzo, l’autobiografia “Una donna”, testimonianza esemplare della condizione femminile, uno dei primi libri femministi apparsi in Italia, che uscì nel 1906 e riscosse subito un grande successo.

Sibilla Aleramo denunciò la grettezza e il maschilismo provocatorio del suo tempo dove ipocrisia ed ignoranza la fanno da padrone, spingendo le donne a ribellarsi.

Nel 1902 abbandonò il marito e il figlio (che rivide solo dopo trent’anni, nonostante avesse a lungo lottato per ottenerne la custodia) e si trasferì a Roma, avviando, così, la ricostruzione della sua vita dedicandosi appassionatamente ad un’intensa produzione letteraria, in poesia ed in prosa, alle “Scuole dell’Agro Romano” per gli analfabeti, fondate insieme a Giovanni Cena, e approdando all’antifascismo e al comunismo.

Bella, intelligente, libera da schemi e pregiudizi, desiderata dagli uomini, Sibilla Aleramo ebbe molte e intense storie d’amore. Diceva: <<L’amore fu la ragione della mia esistenza e quella del mondo>>.

Ed infatti i suoi scritti traboccano di sensualità e passionalità, ma anche inquietudine, sussulto, come dimostrano le seguenti poesie:

GUARDO I MIEI OCCHI

Guardo i miei occhi cavi d’ombra

e i solchi sottili sulle mie tempie,

Guardo, e sei tu, mio povero stanco volto,

Così a lungo battuto dal tempo?

Mi grava l’ombra d’un occulto sogno.

Ah, che un ultimo fiore in me s’esprima!

Come un’opaca pietra

Non voglio morire fasciata di tenebra,

ma d’un tratto, dalla radice fonda,

alzare un canto alla ultima mia sera.

ROSE CALPESTAVA

Rose calpestava nel suo delirio e il corpo bianco che amava. Ad ogni lividura più mi prostravo, oh singhiozzo invano di creatura. Rose calpestava,  s’abbatteva il pugno e folle lo sputo sulla fronte che adorava. Feroce il suo male  più di tutto il mio martirio. Ma, or che son fuggita, ch’io muoia, muoia del suo male.

Sibilla Aleramo ebbe relazioni  con Cena, Papini, Cardarelli, Boccioni, Cascella, Boine, Campana, Quasimodo, Matacotta, ricordiamo che furono romantiche ed intense.

Una grande ma lacerante passione, di cui resta traccia nell’epistolario, fu quella che la legò al poeta Dino Campana, uomo difficile, scontroso, anticonformista, che cercava nella natura i valori dell’esistenza e che poi, afflitto da gravi disturbi psichici, fu internato in manicomio.

Il suo ultimo grande amore fu il poeta Franco Matacotta, lei sessantenne, lui ventenne; la loro relazione portò tutte le tensioni derivanti da questo rapporto complesso e difficile, in disparità anagrafica e differenza intellettuale, che pure durò dieci anni.

Sibilla Aleramo visse gli ultimi anni della sua vita lottando contro la povertà e la depressione, ma fino alla fine continuò a viaggiare, a incontrare amici e a scrivere. Morì a Roma il 13 gennaio del 1960

John J. Greenflowers: “Badroots-Cattive radici”

Avventura , fantascienza  e piante nel romanzo dell’autore John J. Greenflowers che si pone come un’assoluta novità nel panorama letterario fantasy, stimolando la fantasia e l’immaginazione del lettore  e spingerlo ad andare oltre, senza curarsi delle logiche editoriali e delle strategie di marketing. Sembra  che l’unica “logica” che guida questo originale scrittore sia proprio il desiderio di conoscere e far conoscere, di divulgare un pensiero attraverso una nuova letteratura di genere.

Diciamo subito che ” Badroots-Cattive radici” è  una storia avvincente, una “Saga” con personaggi accattivanti che ti prendono sin dall’inizio; è  spionaggio, thriller, l ‘esaltazione dell’ Impero vegetale all’ennesima potenza. L`eterno ed universale  scontro tra la stirpe dei “Sanguerosso” e la dinastia “Sangueverde”. E non poteva mancare  una cospirazione per il controllo del pianeta attraverso le Piante, un  vero e proprio piano militare segreto per un nuovo ordine globale, attraverso specie vegetali geneticamente modificate.

J. Greenflowers (nome  non casuale) propone un nuovo supereroe , diverso dai vari Harry Potter,  Spiderman, Batman, o dei protagonisti della fortunata saga di Twilight che tanto piace ai teen-agers e ai loro superpoteri; qui si da voce a degli esseri viventi che troppo spesso non consideriamo, a cui non siamo abituati a dare ascolto, le piante appunto , apparentemente silenziose ed impotenti, ma senzienti , comunicative che rappresentano un Regno a sè, in contrapposizione aquello perfetto e iperteconologico dei “Sangueverde”.

Badroots-Cattive radici

Certamente non è nuovo l’avvertimento morale “occhio a sfidare la natura” e la consolidata convinzione che a rimetterci nella lotta tra la tecnologia  e l’ambiente sia la prima, riscoprendosi (ipocritamente) sempre un pò ecologisti , ma l’autore non ci propina la solita  storia tutta azione con metafora incorporata. L’operazione che attua Greenflowers è scientifica, dettagliata, filosofica: evidenzia  come anche  i processi naturali siano tecnologici , ma di una tecnologia evolutiva, non distruttiva e superba come quella artificiale; l’uomo vuole conservarsi non evolversi , questo emerge dalla lettura delle oltre 600 pagine , un concentrato di etica , antropologia, e fantascienza.

La vera tecnologia si chiama Amore , l’alfa e l’omega della  tecnologia, che muove l’intero universo e che è insito in tutti gli esseri viventi , le leggi fisiche sono utili solo per circoscrivere l’esperienza sensoriale sulla Terra , in questo senso sono limitanti. Ed ecco che per le “altre sensibilità” vengono in soccorso le piante che sono più longeve degli uomini e che sono indispensabili per la salvaguardia delle specie umana.

‘Anima’, ‘spirito’, ‘amore’, ‘natura’, ‘reale’, ‘vita’, ‘verità’, sono queste le parole chiave intorno alle quali ruota la densa ed incalzante vicenda che funge da pretesto per indurci a cambiare mentalità e approccio verso la vita e le nostre esperienze, a spingerci verso “l’oltrescienza”. E quale genere se non il fantasy può veicolare questo pensiero?

Ambizioso l’intento dello scrittore, ma ciò che conta è come porta avanti questa tesi, ovvero senza autocompiacimento e autoreferenzialità,  affidandosi ad immagini e concetti sapientemente sviluppati, e puntando sulla forza , sul potere e la magia del pensiero  e dell’anima, non su particolari superpoteri che caratterizzano sempre le storie di fantascienza.

Sebbene il rischio di essere catastrofista è sempre dietro l’angolo, il romanzo è sincero e di forte impatto. E come anche nelle migliori favole è l’amore che va sempre coltivato e che ci salva.

 

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