Germano di Renzo: l’attore romano che ha lavorato con Mel Gibson

Germano di Renzo nasce a Roma il 12 Aprile 1976. Da sempre appassionato di cinema, si dedica alla recitazione frequentando diversi laboratori teatrali fin dall’adolescenza. Negli anni ottiene diverse gratificazioni professionali prendendo parte a molteplici pièces teatrali come “Anfitrione” di Plauto, “L’Orso” di Cechov e “L’Innesto” di Pirandello. Diversi sono gli attestati conseguiti per la recitazione cinematografica, dizione e mimesica. Di Renzo è stato anche allievo del Laboratorio Cinema 87 di Roma tenuto dalla docente Mirella Bordini. La sua formazione non si arresta nel tempo, studia infatti con Maurizio Ponzi e Pino Pellegrino, con quest’ultimo approfondisce il metodo Costa.

Scritturato come protagonista in vari cortometraggi e in piccoli ruoli internazionali, Di Renzo lavora affianco a nomi celebri come quelli di Mel Gibson e Renny Harlin. Partecipa quindi a produzioni italiane per i film di Ottaviano, Longoni e Bonifacio. Germano Di Renzo ha preso parte ad alcune serie televisive di successo quali “Distretto di Polizia 6”, “I Cesaroni 2”, “Suburra 2”, 1994 ed è apparso in vari sketches e programmi televisivi.

L’attore è inoltre speaker radiofonico, nonché cultore di poesia e saggistica. Si definisce sensibile, estroverso e fantasioso, ed anche un po’ permaloso; ma non manca di caparbia e tenacia. Di Renzo pratica e ha praticato molti sport anche a livello agonistico tra cui calcio e nuoto. Ama viaggiare e recentemente ha visitato la Lapponia, Irlanda, Tanzania e Madagascar. Afferma di non inseguire sogni di gloria e successo facile, ma vorrebbe riuscire a realizzarsi con impegno e costanza nel suo lavoro di attore. Attualmente è inserito nell’area di produzioni televisive e cinematografiche: si occupa di coordinare e organizzare il set e dei fondi ad esso destinato.

Com’è iniziata la sua carriera e quali sono stati gli episodi chiave per lei ?

Sono appassionato di cinema da sempre, passione che ho ereditato da mio padre il quale era grande fruitore e spettatore. Insieme fagocitavamo film di tutti i generi. Mi innamorai così degli attori e delle loro interpretazioni. Decisi di intraprendere la strada della recitazione. Inizialmente realizzavo spettacolini per parenti e amici. Cercavo sempre il pretesto per esibirmi. Le maestre a scuola si accorsero del mio talento e convinsero i miei a iscrivermi ad un corso. In età adolescenziale ho proseguito poi in modo serio.

Come ha accolto la sua famiglia la sua scelta professionale ?

La mia famiglia non è mai stata complice delle mie scelte artistiche. La recitazione era per loro un gioco e la mia passione era destinata ad attenuarsi. Si sono rassegnati quando la mia determinazione diventava sempre più forte e quando ho iniziato ad ottenere ruoli. La loro era più una preoccupazione per la precarietà della professione: mia madre voleva che diventassi medico mentre mio padre chiedeva di trovassi un lavoro dignitoso con una paga fissa. La carriera artistica era una prospettiva utopica e non concreta. Io rispondevo che in scena potevo essere chi volevo. La dedizione a ciò che facevo hanno fatto si che la spuntassi io. Alla fine i miei genitori si sono ricreduti o semplicemente si sono arresi ma alla fine sono felici per me. Oggi sono doppiamente fortunato perché ho una compagna che mi appoggia in tutte le scelte: se questo non è amore!

Quale consiglio darebbe ad un giovane che intraprende questa strada ?

Non è pazzia decidere di punto in bianco di fare l’attore: succede. Ci si rende conto che recitare è la cosa che non si ha voglia mai di smettere di fare. A me è successo così, e con il passare del tempo, questa idea è ancora nella mia testa. Non nascondo che la strada sia tortuosa , ma ne esistono diverse per arrivare alla stessa meta e nessuna è sicura. La direzione che posso indicare ad un giovane che non sa da dove cominciare è la stessa che darei a chi è già in cammino. Per prima cosa, essere sicuri di voler fare questo mestiere e inscriversi ad un corso di teatro. Solo mettendosi alla prova si può capire se è ciò che fa per te. La recitazione va imparata come qualunque altra disciplina, il solo talento non basta. Bisogna poi osservare gli attori già esperti e frequentare spesso il teatro, analizzando da diversi punti l’interpretazione. Aiuta tanto guardare e riguardare le scene che più ti piacciono ed è importante capire il proprio livello. Un po’ di autostima e ambizione sono fondamentali. Darsi del tempo e non bruciare le tappe è di grande importanza: troppi hanno la sensazione di essere in ritardo. Certo iniziare da bambini la carriera ha i suoi vantaggi ma avere una solida preparazione ti permette di arrivare con consapevolezza e con mezzi necessari per riuscire.

Qual è la parte più gratificante del suo lavoro e quale quella più noiosa ?

Il mestiere dell’attore non è mai noioso. L’adrenalina è tutto per noi. Ci sono però situazioni che danno ansia e inquietudine. Un esempio è l’attesa snervante prima di entrare sul set. Devi mantenere la concentrazione e non puoi rilassarti. Un altro momento in cui ci si può sentire agitati è quando devi ripetere una scena più e più volte e si ha paura di sbagliare o perdere sinergia. Per il resto è come lavorare in una grande famiglia dove ci si aiuta, si discute, si scherza e si urla. Il copione è il tuo amico più fedele e il ciack da avvio a tutto. La gratificazione più grande è il riconoscimento da parte degli addetti ai lavori e del pubblico che ti ripaga per i sacrifici svolti.

Quale ruolo le appartiene di più?

Interpretare l’antagonista o il cattivo. Al contrario il ruolo di buono tende ad annoiarmi un pochino.

Questa mia idea è conforme anche a quella degli spettatori che mi preferiscono nel primo ruolo.

Gli antagonisti hanno grande fascino ed esaltano la mia performance: più sono folli e malvagi più sono grato per l’assegnazione. Ne ho purtroppo interpretati pochi ma sono quelli alla quale sono più affezionato. Non posso sceglierne uno nello specifico perché li ho amati tutti.

Lei è attore si a di Teatro, di Cinema e Tv. Come si approccia ai diversi ambiti ?

Sia nel cinema che in teatro, all’interprete si richiede di emozionare lo spettatore. Anche se l’obiettivo è comune si utilizzano diverse tecniche. Un attore di teatro deve farsi sentire da tutti i presenti in sala, utilizza quindi tecniche diaframmatiche, allena il tono di voce e le corde vocali. Recita con le parole e con tutto il suo corpo non esagerando ma avvicinandosi alla verosimiglianza. Deve emozionare e far emozionare e con la messa in scena affronta la vera è propria prova del fuoco: l’attore è nudo e deve essere pronto a tutto. Non può sbagliare. L’interpretazione cinematografica è mediata da un macchinario, ci si concentra sulla micro-espressività e sulle sfumature vocali elementi che si perdono a teatro. Entrambi le interpretazioni richiedono anni e anni di esperienza e lavoro e nessuna è meno complessa dell’altra .

Cosa più dirci in merito alla situazione attuale degli addetti ai lavori dello spettacolo e al poco interesse dello stato nel rimettere in moto una macchina ferma a causa della pandemia ?

Centinaia di migliaia di lavoratori del settore sono in condizioni precarie e senza una prospettiva di assistenza. La strada dei bonus non è quella giusta da intraprendere. Bisogna riconoscere redditi di sostegno strutturali e universali per risalire la china. La cultura e lo spettacolo sono i settori più colpiti e il Governo sembra snobbare questo problema soddisfacendo gli interessi solo dei grandi enti e delle grandi imprese. Lo Stato deve tutelare chi lavora in questi due ambiti. La sopravvivenza e la dignità delle persone non può dipendere dall’inottemperanza del potere politico. Gli addetti ai lavori dello spettacolo continuano a lottare per aver riconosciuti questi diritti e non si fermeranno fino a quando non avranno ottenuto risposte concrete. Una riforma di questo settore sarebbe l’ideale per rilanciare lo spettacolo.

‘Casa di Foglie’, il best seller ergodico di Mark Z. Danielewski

Casa di foglie, House of Leaves titolo originale, è il bestseller scritto da Mark Z. Danielewski, scrittore statunitense, figlio di un regista d’avanguardia polacco e madre statunitense, esponente della cosiddetta letteratura ergodica, che mette a dura prova il lettore, trattandosi anche di un trattato sul postmoderno, costellato di note a pié di pagina che costituiscono una storia a sé.

Il romanzo d’esordio che più di tutti ha colpito e accattivato milioni di lettori, subisce la verve artistica paterna, riportata egregiamente tra i fogli. Il libro salito alla ribalta per la sua trama e per la sua composizione tipografica ,è uscito nel 2000 negli Stati Uniti, e ha registrato fin da subito un’accoglienza calorosa da parte della critica mondiale. Comparso prima in piccoli spezzoni e poi in un unico volume, man mano ha conquistato un seguito di appassionati, prima in patria e poi all’estero, che hanno consacrato l’opera tra le migliori del ventunesimo secolo. Edito in Italia nel 2005 con la Mondadori, alla sua uscita ha registrato subito un tutto esaurito. A lungo però è scomparso tra gli scaffali italiani.

Questa edizione è rimasta l’unica fino al 2019 quando la 66Thand2nd ne ha acquisito i diritti. Il motivo per il quale la sua ripubblicazione sia stata stoppata non si conosce e questo ha donato al libro un non so che di misterioso, rendendolo così anche molto richiesto. Il Mistero, la suspence e lo stupore legate alle vicende dello stesso libro nonché al suo contenuto caratterizzano , dunque , questo romanzo dove confluiscono diversi generi: prevale per lo più quello horror.

Lo stile ergodico è però la sua peculiarità: agli appassionati di intrecci, scritture criptiche e rompicapi trovano tra queste pagine “Pane per i loro denti”. Infatti fin da subito il lettore si troverà dinanzi a tre livelli di racconto, interrotti sempre in momenti di maggior tensione emotiva e di probabile svolta, preparandosi ad uno sforzo comprensivo e ad una attiva interazione. Si dovrà essere pronti a catapultarsi all’interno delle stesse vicende narrate per poterne trarre il senso. Fondamentale è concentrarsi sui passaggi e tener a mente eventi , situazioni. Ma non solo, proseguendo con le pagine, si dovrà cercare anche di stabilire connessione tra i vari spezzoni posizionati su ogni pagina. Frammenti e note sono onnipresenti e compongono ogni pagina in modo causale: la scelta tipografica è inusuale e caratteristica oggettiva e principale della Casa di Foglie.

Imbattersi dunque, in una sola frase o in una parola capovolta, al margine del foglio o al lato , è del tutto normale. La sensazione si ritrovarsi in un labirinto di parole o un puzzle, dove tutto sembra non avere senso accompagnerà il lettore fino alla fine. Bisogna armarsi di curiosità e pazienza per poter affrontare le 700 e più pagine così sconnesse tra loro, e non lasciarsi ingannare dalla scritta di inizio “Questo non è per te”.

Frase ad effetto ,posizionata non a caso,  simile ad una dedica, che accende il desiderio di conoscenza, senza ancora non dire nulla ,di chiunque ci si soffermi. Il premio finale sarà più che soddisfacente , anche se la certezza assoluta di aver dato un senso al tutto non si avrà mai. Il tutto inizia con la vicenda accaduta a Johnny Truant tra il 96-97, il narratore onnisciente.

Questo, per puro caso, si imbatte , mosso dalla curiosità, tra gli oggetti personali di un vecchio cieco vicino di casa del suo amico Lude, Il signor Zampanò, morto improvvisamente. Prima che le cose di quest’ultimo vengano date via , Truant trova all’interno della casa del defunto un baule contente un manoscritto e decide di iniziarlo a leggere. Gli scritti rivelano dei commenti dello stesso Zampanò fatti al documentario The Navidson Record, girato da Will Navidson, famoso fotografo, da sua moglie Karen e da i suoi due figli.

La famiglia trasferitasi in periferia in una nuova casa, avrà a che fare con eventi strani e inusuali, che scuoteranno e, non poco, la quiete e l’equilibrio del nucleo. La comparsa di luoghi misteriosi all’interno dell’abitazione darà il via a scene piene di tensione, mistero che lasceranno con il fiato sospeso. Alle tre diverse narrazioni se ne aggiunge addirittura una quarta, costituita dalle Lettere di Whalestoe, nella quale la voce che racconta è la madre di Johnny Truant, che spiega come queste vicende abbiano avuto incidenza nella vita di chiunque le abbia conosciute.

La prima narrazione è legata alla vita stessa di Truant che legge le note di Zampanò, le interpreta e compie ricerche sulle fonti utilizzate, contemporaneamente racconta e analizza aspetti della sua vita personale, stupendosi delle conclusioni a cui arriva. La seconda narrazione è composta principalmente dal lavoro di Zampanò che cita e analizza il filmato, ricorrendo ad altre opere, annotazioni e testimonianze. Molte di queste ultime si rivelano inesistenti.

La terza narrazione è quella descritta all’interno del girato, dove i fatti paranormali sono descritti fin nei piccoli dettagli. Impeccabile come Danielewski sia riuscito ad inventare e mescolare forti reali con quelle del tutto inventate, particolari comuni con quelli bizzarri, riproponendo il tutto sul piano del verosimile. L’espediente descrittivo è meravigliosamente utilizzato ed unito alla scelta topografica. Scelta che riproduce per ogni livello narrativo un carattere diverso, utile per distinguere le vicende descritte e i loro protagonisti. Le stesse vicende alla quale viene data anche una valenza visiva: possibile trovare diversi passi in cui il mistero si infittisce, di conseguenza anche la posizione stessa delle frasi cambia.

Anche se ogni vicenda può risultare incompleta al lettore, il finale sarà tutto da scoprire e da ricollegare, lasciando libera interpretazione. Una lettura interattiva e curata nei minimi dettagli che apre nuovi orizzonti nella creazione propria di ogni libro. L’uso di artifici e espedienti visivi possono essere sfruttati, insieme alle parole, in modo variegato offrendo a chi legge una esperienza a 360 gradi.

 

A chi piace la letteratura ergodica? Leggete questo best seller! – YouTube

‘La Notte’, l’autobiografia di Elie Wiesel per la giornata della memoria

E’ sempre un lavoro delicato e spinoso raccontare di un libro autobiografico sull’Olocausto, ma parlare del La Notte di Elie Wiesel risulta più arduo del previsto. Pubblicato da Giuntina nel 1958, appartenente alla collana Shulim Vogelmann. Il romanzo non racconta solo la storia di un bambino ebreo, ma introduce ad una testimonianza reale di sofferenze, dolore, cattiveria e brutalità circa la persecuzione ebraica degli anni trenta e quaranta del XX secolo.

Eliezer Wiesel nato il 30 settembre del 1928 a Sighet, in Transilvania, in una comunità di ebrei ortodossi, affronta in tenera età la deportazione nei capi di concentramento nel 1944, quando l’Ungheria fu invasa dai Tedeschi. Liberato nel 1945, visse gran parte della sua vita in Francia dove si formò alla Sorbona e in seguito, insegnò la lingua ebraica. Nel 1954 inizia a scrivere la sua autobiografia e, in collaborazione con Turkov, pubblicò il manoscritto in lingua yiddish. Non riscosse però molto successo. L’incontro con lo scrittore premio Nobel François Mauriac, autore della prefazione, fu determinante per la diffusione del libro in lingua francese, avvenuta nel 1958.

 

Ciò che risalta subito all’occhio attento del lettore è quanto l’autobiografia di Elie Wiesel mostri l’oscurità di quella pagina di storia che fu l’Olocausto: infatti La Notte è tra i tre libri più significativi sul genocidio del XX secolo, insieme con il Diario di Anna Frank e Se questo è un uomo di Primo Levi. Ambientato nel 1944, il racconto ripercorre i momenti più significativi vissuti prima, durante e dopo la deportazione nei campi di Birkenau, Auschwitz, Monowitz, Buchenwald.

In tutta la narrazione, di importanza fondamentale è il dialogo interiore e i riferimenti alla fede che il giovane riprende di continuo. Elie, ragazzo di 15 anni inizialmente sente forte il desiderio di conoscenza della parola di Dio, passa molto tempo in sinagoga, studia il Talmud e discute di Cabala. Con le prime restrizioni antisemite, la sua sete di risposte e domande aumenta e quando la notizia della possibile deportazione diventa concreta intraprende un vero e proprio dissidio interiore con Dio.

Con l’arrivo al campo e la visione di episodi disumani, la conflittualità si inasprisce, fino a quando, il giovane arriverà a domandarsi “Dio dov’è?”. Per quanto la sua fede abbia vacillato, essa resterà comunque presente. Questo punto importante, Elie sembra aver trovato nell’idea di Dio, un appiglio inconscio utile per restare in vita. Toccante è sicuramente l’episodio che racconta l’impiccagione del piccolo pipel, sottolineato come tra i momenti che meglio descrivono la conflittualità interna del giovane Elie.

Nel libro i momenti di interiorità sono alternati a passi narrati dove Wiesel è solito riportare alla luce personaggi per lui importanti con le loro azioni e pensieri. Uno in particolare risulterà essenziale: il padre. Descritto con un aspetto autorevole, è un punto di riferimento per la comunità ebrea di Sighet: è illustrato come colui che annuncia la chiusura dei ghetti e avverte tutti gli altri di prepararsi alla deportazione. Sarà unico sopravvissuto della famiglia Wiesel , dalla quale l’autore-narratore non si allontanerà mai.

Di grande impatto emotivo è il racconto che Elie fa di come il padre abbia sopportato botte, percosse e soprusi con grande dignità, suscitando la sua rabbia e la sua ammirazione per non aver reagito. Molto intenso è il ricordo doloroso della madre e della sorella più piccola , alla quale è poi dedicato il libro: le vede l’ultima volta allo smistamento ad Auschwitz e solo in seguito capirà che non le rincontrerà più. Altre figure menzionate sono: Moshè lo Shammas, custode della sinagoga di Sighet che cerca di avvisare la comunità invano; Juliek, Idek, l’operaia francese, Franek, Rabbi Eliau , altri deportati che condividono la prigionia e che ricreano quella parvenza lontana nucleo socio-comunitario ormai scomparso. I kapò , le SS e i capi del campo raccontati nella loro efferatezza, nei comportamenti e nei particolari che li differenziavano o li univano.

Non si può non accennare alla straziante descrizione sociale e umana che l’autore fa della vita nei lager: ricca di pathos e così vivida nei particolari, illustra come tanti esseri umani abbiano perso la razionalità e si siano abbandonati agli istinti. E’ l’intento vero nazista a prevalere nei campi ovvero ridurre gli ebrei, considerati inumani, a comportarsi come bestie. Per questi suoi contenuti così forti, prima della pubblicazione , il libro ebbe difficoltà a trovare un editore disposto a mandarlo in stampa: il manoscritto di circa 400 pagine era troppo morboso. Fu fatta dunque una scrematura che ne riducesse o eliminasse tratti considerati troppo forti per un lettore. In merito alla scrittura di questo libro, ancora aperta appare una controversia che stenta a stabilire se il libro sia interamente bibliografico o romanzato, in alcune parti. Questa questione viene sollevata con la pubblicazione de “La Notte” negli Stati Uniti.

Il libro ,uscito durante un periodo in cui le memorie erano accolte con molta titubanza, fu Rut Franklin a incentivare la sua diffusione e, a questo proposito, afferma che trattare di ricordi è sempre complicato e la verità in prosa, che segue una linea morale, non è sempre conforme alla verità della vita.

Nonostante tutto, il libro resta un vero capolavoro della memoria collettiva Ebrea negli anni della Shoah. La linea labile tra verità e romanzo, opportunamente presente, è ridotta al minimo. Eliezer Wiesel ha saputo in modo esemplare riportare le sue memorie con uno stile unico e inimitabile e, non a caso, per questo libro e per il suo impegno sociale e umanitario, fu insignito del premio Nobel per la pace nel 1987.

Il libro per alcuni tratti ha ispirato anche il celebre film, vincitore del Premio Oscar 1998, La Vita è Bella di Roberto Benigni, nel quale protagonisti sono proprio un padre e un figlio deportati ad Auschwitz.

‘Bella da spaccare il mondo’, un romanzo di formazione ambientato negli anni ’80: buona la prima per Fabiola Perrotta

Uscito in libreria a novembre 2020, Bella da spaccare il mondo è il libro d’esordio, edito da Kimerik , di Fabiola Perrotta. L’autrice, nata a Succivo l’8 luglio del 1964, si dice soddisfatta del buon lavoro prodotto: “Ho scritto di getto le pagine e le ho date da leggere ad un mio vecchio amico, Antonio Tanzillo, autore della prefazione, il quale mi ha introdotto alla casa editrice siciliana. Sono stata ben lieta di lavorare con loro in quanto ho avuto la necessaria libertà di perseguire ciò che avevo iniziato senza particolari intromissioni”. Il libro Bella da spaccare il Mondo si propone come romanzo di formazione e racconta i ricordi adolescenziali di Guadalupe, giovane degli anni ottanta, cresciuta in provincia , attratta da un mondo cosmopolita. La realtà dei sogni si infrange in tenera età, dopo il lutto improvviso del padre. La solitudine e le avversità del destino si riveleranno fondamentali per la crescita della protagonista, che, come una fenice, supererà i dolori con la forza dell’amore, diventando in fine una donna tanto forte da “spaccare il mondo”.

Il romanzo, pur essendo la prima esperienza editoriale della scrittrice, si presenta subito con un linguaggio maturo, accattivante, ricco di particolari e con una trama scorrevole capace di attirare ogni tipologia e fascia di pubblico. Gli avvenimenti importanti, iniziati nell’estate del ’79, sono narrati con grande enfasi.

I fatti principali hanno caratterizzato realmente l’esperienza e la vita stessa dell’autrice, altri, invece, sono frutto della grande sua capacità immaginativa che indirizza dunque il suo lavoro non ad semplice scritto autobiografico. La creazione di un confine labile ma incomprensibile tra realtà e finzione, è un espediente ben riuscito.

Fabiola Perrotta precisa “Non avevo intenzione di raccontare troppo della mia vita: volevo attingere il giusto. Ho cercato di far rivivere soprattutto momenti e esperienze comuni nel quale il lettore potesse rispecchiarsi. Le mie vicende personali, in primis la morte di mio padre, sono state utilizzate per poter inviare un messaggio di speranza a chi legge. Nonostante tutto il dolore, la forza dell’amore, nella vita di Guadalupe, ha prevalso sempre”.

L’autrice poi  spiega “Dopo un rinnovato lutto per la perdita di un amico, ho riscoperto l’amicizia con la sua vedova. Ho deciso di scrivere di come ancora una volta l’amore sia rinato proprio dal dolore.”

La crescita finale di Guadalupe è dunque caratterizzata dalla forza che riesce a trarre da eventi nefasti. Le fasi lunari ne sintetizzano la gradualità. Particolarmente suggestivo sono le descrizioni scientifiche oppure riferimenti mitologici, storici o musicali che l’autrice ha aggiunto a conclusione di ogni capitolo.

F. Perrotta dichiara ancora: “La Luna rappresenta per me un elemento romantico e contemporaneamente femminile. Ho iniziato a scrivere al chiaro di Luna raccontando di una donna, Guadalupe, e delle tante figure femminili che hanno popolato la sua vita. Più scrivevo più mi accorgevo che c’era un legame. La sua capacità di rinascere è proprio ciò che la accomunava alla storia della protagonista.”

Partendo dalla Luna, le figure femminili sono pilastro portante nel racconto e si ripresentano in modo costante durante tutto il ciclo di narrazione. Le figure di maggior rilievo e più controversie sono la madre descritta come distaccata dai figli, proiettata verso la cura del marito e non abbastanza forte da diventare punto di riferimento per la protagonista, dopo la morte del padre. Le sorella maggiore Luise presentata come fredda, schiva, distante, simile alla madre.

A differenza di Guadalupe, la sorella minore Gemma è invece dipinta come debole caratterialmente, se pur di buon cuore, sarà legata alla protagonista ma parranno non capirsi mai fino in fondo. Le amiche di infanzia, di scuola sono presentate come figure principalmente positive e descritte come unici legami forti, prediletti da Guadalupe.

Fondamentale è l’attenzione che la Perrotta dedica alla  figura  della nonna paterna. Descritta come una donna con la sindrome di Penelope, a lei l’autrice dedica un intero capitolo: “E’ il capitolo alla quale sono più affezionata. Descrivere mia nonna mi ha dato tanto conforto. Il suo ricordo mi fa capire quanto lei sia stata importante per me e per il mio percorso. Come figura positiva per la mia crescita personale era doveroso dedicarle un’ intera parte. Il libro invece l’ho dedicato a mia madre, decisamente simile alla madre della protagonista, che pur essendo una figura non del tutto positiva , è stata egualmente importante perché, come dice la dedica, ci ha comunque amato”.

Il ricordo della nonna porta con se altrettanti episodi ricchi di vividi particolari che ricreano quei sapori , quegli odori e quei momenti di un tempo lontano dalla quale traspare tutta la nostalgia che l’autrice prova nel descriverli. Altra nota da sottolineare è la particolare attenzione data al nome della protagonista: Guadalupe è legato ad un aneddoto significativo della vita dell’autrice. Come lei stessa racconta: “Quando nacqui, mio padre voleva chiamarmi così ma ai tempi non sembrava neanche un nome .Si optò per Fabiola. Mi sembrava giusto utilizzarlo almeno per la protagonista del mio romanzo. La mia scelta è stata dettata, quindi, puramente affettiva. Ho scoperto cosa significasse solo in seguito.”

L’appunto che si potrebbe fare al romanzo riguarda la sua conclusione: la transizione della protagonista all’età adulta senza però far trasparire null’altro del suo vissuto più maturo. F. Perrotta non esclude un seguito anche se avverte: “La conclusione è riferita alla fine di un periodo ben preciso della vita. Ho intenzione di raccontare di una protagonista o un protagonista più maturo ma non so se riprenderò la figura di Guadalupe. Attualmente lavoro ad un altro progetto che riguarda la raccolta di aforismi e pensieri per l’anima. Ho aperto per questo un canale Youtube con l’intento di diffonderli ad un maggior numero di persone. E’ un impegno che mi rilassa e mi dà gioia”.

Mark Twain e il suo contributo allo sviluppo della letteratura americana contemporanea

Mark Twain precursore della Letteratura Americana Contemporanea vera e propria” a dichiararlo fu il premio Nobel Ernest Hemingway. Suo grande estimatore, l’autore de Il vecchio e il mare, fu colui che più di tutti contribuì alla fama dello scrittore floridano, consigliandolo ai suoi colleghi contemporanei.

Mark Twain pseudonimo attribuitogli in marina, nacque come Samuel Langhorn Clemens in Florida e visse tra l’ottocento e il novecento. Fu tipografo e giornalista, e, solo in seguito scrittore. Twain divenne celebre per aver affrontato nei suoi scritti questioni morali e sociali, mai trattate prima.

La sua grandezza sta nel aver sviluppato temi spinosi con l’utilizzo della satira, suscitando ilarità ma portando il lettore o l’uditore a riflettere sul vero senso dei fatti, accrescendo il proprio io critico. La satira critica valse a Twain la fama e lo consacrò come primo autore interamente di stampo statunitense. Hemingway studiò a fondo le opere celebri di Twain, affermando che tutto ciò che fosse stato scritto prima non avesse racchiuso la vera identità americana. Tra tutte le opere di Twain che possano ben delineare ciò che si intende per letteratura americana moderna e contemporanea, Le avventure di Huckleberry Fin sono quelle che racchiudono la maggior parte delle invettive socio -letterarie che ricorreranno da ora in avanti durante tutto il novecento fino ai nostri giorni. Attingeranno da qui molti dei nomi illustri contemporanei, tra cui Hemingway, Kipling e Salinger. Tutti riporteranno nelle loro opere l’influenza del suddetto romanzo picaresco. I due protagonisti ad esempio ricopriranno un ruolo di primo piano nella letteratura moderna. Con questa duplicità, l’autore espierà il suo pensiero in relazione ai problemi della comunità e la sua personale condizione nella stessa.

Huckleberry e Tom Sawyer sono dunque le due facce dell’autore che li utilizza per descrivere il proprio punto di vista, i propri bisogni partendo da due angolazioni differenti. Egli sente di voler rincorre la libertà a tutti i costi e si batte per essa e per chi la cerca, lontano dalle regole e da quella mentalità chiusa, schematica che si andava a delineare in questi anni in una nazione post-guerra civile. Allo stesso tempo la sua condizione borghese lo lega alla stessa classe e a tutta la gamma di credenze che la caratterizzano.

La critica alla cultura e alla società statunitense cambia, quindi, volto con Twain: infatti mostrare questa duplicità d’ immagine rende le contraddizioni e le incongruenze più facili da afferrare e da comprendere. Le stesse sembrano allontanare l’uomo dalla sua stessa natura di essere umano. Twain nei suoi scritti, tenderà quindi ad esaltare ed a mostrare ogni scena esasperando i comportamenti dei personaggi, suscitando così un riso amaro. Grandi innovazioni dal punto di vista lessicale sono riscontrabili anche nel utilizzo di registri diversi e soprattutto ricorrerà a dizionari principalmente legati alla maggioranza di schiavi neri, esaltando gli errori grammaticali e le cadenze storpiate. Questo espediente compare con Twain per la prima volta in modo così meticoloso tanto che egli stesso sarà spesso accusato dalla critica letteraria di aver utilizzato terminologia denigratoria descrivendo l’uno o l’altro personaggio. Il linguaggio politicamente scorretto sarà tratto distintivo delle opere dell’autore, in seguito, soprattutto nell’affrontare questioni scomode, tanti saranno coloro che proveranno ad imitarlo o trarranno ispirazione.

La satira pungente porterà tanta fama a Mark Twain, sia per i suoi scritti che in giro per il mondo, influenzando tanto anche il panorama europeo. Nei suoi ultimi anni si dedicherà all’orazione pubblica e raccogliendo molti seguaci e estimatori. Il suo impegno sociale e la sua influenza in questioni spinose sono ancora oggi ricordate negli Stati Uniti.

Le Avventure di Huckleberry Fin sono ad oggi opera cardinale nel panorama della letteratura per ragazzi e non mancheranno per tutto il novecento autori che impronteranno le loro opere sul suddetto modello. Tra questi figurano certamente il libro de Il Giovane Holden di Jerome David Salinger, opera celebre del 1951 in cui il protagonista ricorda molto sia Tom Sawyer che Huckleberry Fin: come quest’ultimo egli tenta la fuga tra i boschi verso la libertà. Twain è sicuramente riscontrabile nella serie di fantascienza Star Trek.

Oltre ad aver avuto un peso importante nella letteratura, Twain ha ad oggi grande fama negli Stati Uniti per essere stato punto di riferimento di una società che ambiva a accrescere la sua influenza nel panorama internazionale.

Gli artigiani del libro: il Laboratorio di Restauro Alberto Guarino di Napoli che non deve chiudere

Il Laboratorio di Restauro Alberto Guarino, della Biblioteca Nazionale di Napoli, fu istituito nel 1977 come uno dei complessi staccati dell’ “Istituto di Patologi del Libro di Roma”.

Il laboratorio è intitolato ad Alberto Guarino, primo direttore del centro di restauro napoletano, colui che più di tutti si è adoperato affinché nella città partenopea fosse intrapreso un progetto per il ripristino degli scritti conservati negli archivi della biblioteca. Ad oggi è uno dei più importanti laboratori di restauro d’Europa. Volumi e Documenti appartenenti alla Biblioteca Nazionale di Napoli vengono qui difesi dall’usura del tempo.

Gli artigiani del libro si adoperano affinché questi scritti non vengano perduti. Il loro lavoro è richiesto sia in Italia che all’estero, anche per programmi di restauro di altre biblioteche e collezioni private. Durante gli anni di attività qui hanno avuto nuova vita molti dei manoscritti e documenti storici nazionali risalenti al periodo Borbonico e al Regno d’Italia.

Il laboratorio è addetto alla salvaguardia delle opere napoletane del poeta e scrittore Giacomo Leopardi e di tanti altri celebri scrittori nazionali e internazionali che hanno regalato a Napoli i loro lavori. Purtroppo negli ultimi anni i finanziamenti ministeriali per progetti e per il personale competente sono diminuiti notevolmente e la struttura si sostiene per lo più con i lavori commissionati da privati con le visite guidate di scolaresche. I dipendenti addetti lamentano una poca collaborazione con le università, le quali potrebbero incentivare progetti e garantire il ricambio generazionale di personale.

Proprio la mancanza di addetti qualificati potrebbe essere motivo che causerebbe la chiusura della struttura per la fine dell’anno 2020. Neanche il Ministero per i beni e le attività culturali ha lavorato affinché il laboratorio di restauro della Biblioteca Nazionale non chiuda: il MIBAC ad oggi non ha indetto alcun concorso per garantire nuovi artigiani che si occupino dei libri qui custoditi.

 

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‘Le correzioni’ di Jonathan Franzen: quando cambiamento non necessariamente significa miglioramento

Le correzioni, The Corrections, è il  romanzo più celebre, insieme a Purity, di Jonathan Franzen. Scrittore e stagista statunitense con radici tedesche, Franzen nasce nell’Illinois; compie Studi Umanistici tra gli Stati Uniti e Berlino, esordendo come scrittore nel 1998. Nel 2002 arriva la consacrazione dalla critica letteraria aggiudicandosi, proprio grazie a Le Correzioni, l’ambito premio National Books Awards. Il Time gli dedica una copertina per l’uscita del suo libro nel 2009. Collabora al New York Times dal 2010, uscendo con diversi scritti e saggi . Questi ultimi sono famosi per  aver attirato malumori dei tanti colleghi scrittori nazionali e internazionali.

Pubblicato nel 2001, The Corrections ,è uno dei racconti di narrativa in stile post-modernista che descrive minuziosamente e in modo satireggiante, i cambiamenti in chiave ottimistica delle famiglie americane prima della crisi di inizio anni duemila. La narrazione verte sulle relazioni umane e sul loro modo di condizionare le vite dei singoli. Si addentra ed analizza l’intimità di una qualunque famiglia contemporanea, dove i valori di una generazione passata si contrappongono e si mescolano con la generazione successiva, senza mai fondersi del tutto.

Trama e contenuti nel romanzo di Franzen

Il romanzo di Franzen sembrerebbe raccontare le vicende di una normale famiglia del Midwest, simile a tante altre: la tipica famiglia bianca della borghesia statunitense, impregnata di quel perbenismo ipocrita e moralista. Tuttavia il voler accentuare queste caratteristiche rende i personaggi sorprendentemente contraddittori. La maggior perseguitrice dei valori puritani e borghesi è sicuramente Enid Lambert, moglie di Alfred e madre di Gary, Chip e Denise. Ella si confronta in modo ossessivo con i suoi vicini e le sue amicizie, considerati modello di uno stile di vita “giusto e rispettabile, riscontrabile solo tra i cittadini di Saint Jude.

Enid per una vita intera cerca di raggiungere il modello di perfetta moglie e madre, volendo in tutti i modi eccellere e diventare lei stessa e la sua famiglia modello ambito e invidiato dal vicinato. Questo la porta a criticare ogni minimo sbaglio della vita dei suoi conoscenti, contemporaneamente dissimula i comportamenti errati suoi o dei suoi familiari. Enid sarà esasperata delle sue ossessive correzioni e solo alla fine del libro capirà che ha dedicato a questa attività tempo inutile. A differenza di sua moglie, Alfred è forse il personaggio che Franzen farà ricorrere meno alla revisione dei suoi comportamenti: lo farà solo in relazione al suo lavoro, fulcro della sua vita.

Ben presto il padre di famiglia si arrenderà ai suoi sbagli ma involontariamente: la depressione e poi la malattia di Parkinson ridurranno in lui la soggiogazione a quella smania di perfezione etica e morale che sfociava della corrosiva dedizione al lavoro. Al rifiuta la vita familiare, gli svaghi, i piaceri. Per lui la vita è fatta di affanni, di lotta, di sofferenze. Ecco perché forse lo scrittore gli attribuisce una malattia tanto grave che lo porterà alla morte. La malattia gli permetterà di correggersi senza il suo volere, perché la sua troppa rigidità non gli avrebbe permesso passi in dietro. La stessa famiglia è concepita da lui come una squadra che lavora per adempiere ad un compito: sostentarsi a vicenda.

La moglie è il familiare che subisce maggiormente la sua concezione schopenhaueriana: questa è a tutti gli effetti un suo subordinato alla quale impartire ordini sulla gestione della casa e dei figli e alla quale non consentire neanche un briciolo di compassione, supporto o di gesti affettuosi. Nel rapporto coniugale sono riversate, quindi, le rispettive frustrazioni per quell’idea dell’altro irreale. Enid aspetta per tutta la vita che suo marito possa diventare in qualche modo più affettuoso, possa ricambiare i suoi gesti d’amore ed anche se sa che il cambiamento non avverrà mai, lei sarà innamorata di un Alfred esistente solo nella sua mente. Alfred, che sguazza nella propria autocommiserazione, ad ogni modo imporrà alla moglie i suoi voleri, la sua privacy, ammonendola ogni qualvolta non rispetti le sue indicazioni.

Questo nodo cruciale sarà sbrogliato solo con l’aggravarsi della malattia di Alfred, quando non vi sarà più bisogno di correggere l’altro. I tre figli della coppia, hanno vissuto la loro infanzia i questo clima di eccessiva rigidità. Forgiati su quella rincorsa alla perfezione ostinata, finiscono per distaccarsi quasi per ripicca da quel perbenismo maniacale. Per quanto possano odiare quegli atteggiamenti e pensieri così repressivi, non potranno ignorarli, ci dice Franzen.

Gary il maggiore, è colui che più di tutti ha subito l’influenza di sua madre cercando di imitarla sotto tutti i punti: in primis vuole far in modo da entrare nelle grazie di suo padre e, di conseguenza di sua madre, fin da quando è piccolo. E’ l’unico dei tre che ha costruito un nucleo borghese a Philadelphia ,con una moglie rispettabile e benestante, tre figli e un lavoro dirigenziale. Pur allontanandosi dalla sua famiglia non riesce a far a meno di comportarsi come loro, lavorando sodo come il padre, certe volte estraniandosi, commentando e giudicando con disprezzo chi non rientra nei canoni, bramando prestigio e affari.

Egli è però terrorizzato dal porte assomigliare in qualche modo a suo padre, Alfred : le sue correzioni sono principalmente volte a rimodulare i malsani atteggiamenti paterni cercando di non commettere le stesse azioni che un tempo hanno recato dolore alla sua famiglia. Chip, il secondo fratello, è considerato il sovvertitore degli equilibri familiari: viene descritto come la “Pecora Nera”, anche se i suoi genitori non hanno fatto altro che lodarlo e vantarlo per tutta la vita, a detta sua, sopravvalutando le sue capacità. Sente la forte pressione dei suoi genitori, che confidano in alte aspettative per la sua vita e la sua carriera. Ha la capacità di opposti in qualunque modo a queste volontà idealizzate dalla sua famiglia. Si tratta forse del personaggio più eclettico nella vicenda, capace di immischiarsi in diversi guai e riprendersi, cadendo sempre in piedi.

Per quanto egli voglia in qualche modo sfuggire alle speranze genitoriali, non potrà fare a meno di deluderle: vorrebbe dare loro quelle agogniate soddisfazioni ma la sua natura glielo impedisce. Quando non opporrà più resistenze al suo spirito libero, ritroverà il suo baricentro e la serenità.

L’ultima dei tre, Denise, sembrerebbe essere la più affine al comportamento di Alfred, anche se il suo lato umano è molto più spiccato. Come lui è ambiziosa e testarda. Riesce a far emergere il lato sentimentale e umano di suo padre, che probabilmente riconosce molto di lui in lei. Descritta come una chef in carriera, dedica tanto tempo al lavoro ma finisce per farsi licenziare. I piaceri che tanto Al aveva ripudiato, la persuadono e allontanandola per sempre da quella vita fatta di solo lavoro. Spesso è la “vittima” preferita delle ammonizioni di sua madre. Con quest’ultima, è in continuo scontro ma contemporaneamente riesce ad immedesimarsi nel suo punto di vista anche non condividendolo. Il contrasto con l’ aspirazioni materne, la porterà a compiere scelte, nella sua vita sentimentale, molto distanti dai voleri di Enid.

Cercherà, come suo fratello, ma con la dedizione che la differenzia, di allontanarsi e poi di avvicinarsi ai valori paterni, fallendo miseramente, scegliendo in fine la propria felicità condivisi in fine anche dai suoi familiari, infischiandosene dei loro giudizi.

Il cambiamento inevitabile

Le vicende di questa famiglia riportano il lettore a confrontarsi con se stesso, ad aiutarlo a comprendere il modo corretto di correggere il proprio io. L’accattivante uso di regressioni offre un’ampia panoramica sulla vita di questi cinque personaggi: un’analisi così ben presentata da poter far diventare i cinque, persone comuni intercambiabili, alle prese con i loro dissidi interiori suscitati dalla smania di voler essere conforme a un qualche modello prestabilito. Paiono tutti non sfuggire a quell’anedonia radicata, come suggerisce Franzen: l’Anedonia era il segnale d’allarme che stava contagiando un piacere dopo l’altro, frutto di quella comodità infelice che prima o poi si finisce per accettare.

Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell’aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia

La conquista di Franzen sta nell’essere riuscito a trovare per questi personaggi di una saga familiare che fotografa il cambiamento di una società (non solo quella americana) che smarrisce ogni riferimento morale, seppur ipocrita e autoritario, una svolta plausibile che riporta loro verso una via d’uscita, offrendo un finale ricco di sorprese e non scontato. Le citazioni di cui si serve lo scrittore, dalla Bibbia a Schopenhauer a S.C. Lewis, risultano opporune e calzanti e mai del tutto scontate. Ritornano come lampi all’interno della narrazione e permettono di collegare episodi apparentemente sconnessi.

Il linguaggio di Franzen è fluido e mai troppo ricercato, ironico e a tratti caustico anche nell’affrontare argomenti scientifici o di economia. Se pur la traduzione italiana non riporta il significato corretto di alcuni gerghi e giochi di parole tipicamente yankees, c’è da apprezzare la volontà di riportarne almeno in parte la funzionalità nella narrazione conferendo allo scritto una freschezza moderna che fa venire in mente American Beauty, Tempesta di ghiaccio e Pastorale Americana. Ma per Franzen non sempre il cambiamento è verso qualcosa di meglio e i rapporti umani, familiari ne rappresentano il nodo irrisolto.

Anemone Ledger torna in libreria con ‘Il sorpasso dell’irrealtà’ ovvero cos’è davvero l’horror?

Ritorna in libreria, dopo tre anni di assenza, Anemone Ledger, autrice conosciuta soprattutto dal popolo del web appassionato del genere, con la rinnovata raccolta di racconti noir e horror dal titolo Il Sorpasso dell’ Irrealtà, edito dalla casa editrice napoletana Homo Scrivens. Anemone Ledger, giovanissima scrittrice campana, vive tra Roma e Caserta.

Già autrice del romanzo horror fiction “L’insana improvvisazione di Elia Vettorel”, pubblicato nel 2017, Anemone ha partecipato negli anni a diverse manifestazioni ed eventi regionali e nazionali, riscuotendo ampie approvazioni soprattutto tra i giovanissimi. Se pur ventunenne, annovera presenze al “TOHorror Film Fest’ di Torino nel 2016, di Ruggero Deodato e Davide Toffolo e fa parte dello staff della fiera partenopea “Ricomincio dai libri.

Nel 2019 Anemone ha presentato numerosi artisti al “Napoli Horror Festival”, come Sergio Stivaletti. L’autrice si appassiona al genere Horror e Noir in giovanissima età , a soli 8 anni, collezionando classici di Edgar Allan Poe, Lovecraft e Stephen King. Attratta dalle immagini forti e ambientazioni cupe, utilizza la scrittura come mezzo per esorcizzare le sue paure più profonde. I sogni più inquieti e le emozioni più terrificanti sono il principale materiale per i suoi racconti. Ama definire la sua scrittura “Horror essenziale perché capace di produrre una catarsi in chi legge piuttosto che spaventare. Per quanto abbia fatto tentativi nel cimentarmi in altri generi, cercando di distanziarmi da questo, con i mie scritti, inevitabilmente e inconsciamente ci ritorno.”

Il nuovo lavoro Il Sorpasso dell’Irrealtà è essenzialmente il rifacimento di una primissima raccolta già pubblicata nel 2016. E’ il frutto, per l’autrice, di un percorso letterario evolutivo durato ben cinque anni, nei quali è riuscita a raggiungere una miglior consapevolezza stilistica e letteraria.

Sinossi

“Cos’è davvero la realtà? E quanto ci nasconde? L’Horror è la terra di una realtà altra, in cui la paura dei personaggi è affrontata attraverso pensieri mistici e eventi stranianti. In nove stralci di irrealtà – così l’autrice definisce i propri racconti – Anemone Ledger mette in crisi la psiche umana e ci mostra, con corredo di illustrazioni horror e contaminazioni noir come l’irrealtà possa alterare la vita quotidiana e realizzare un sorpasso sulla realtà effettiva delle cose, provocando lo stravolgimento completo di qualsiasi situazione stabile.”

La pubblicazione del romanzo è avvenuta il 2 Luglio 2020 e la presentazione ufficiale è stata fatta il 10 dello stesso mese, al cospetto dell’ editore napoletano nonché mentore dell’autrice, Aldo Putignano. Anemone è riuscita ad elaborare e modificare “stralci” già presenti, conferendo agli scritti maggiore maturità. Ad avvalorare i nove racconti, le 13 immagini prodotte da ben 12 illustratori ed artisti, si alternano all’interno del libro. Accattivante è sicuramente il disegno riportato sulla copertina , frutto dell’artista Francesca Terrieri, la quale è riuscita a rappresentare in un’immagine, le paure che Anemone Ledger utilizza e descrive nei suoi racconti.

La raccolta , dunque, rappresenta il primo traguardo importante nella carriera della giovane scrittrice, che si dice intenzionata a continuare e migliorare il suo personale percorso esplorativo nel mondo editoriale, prefiggendosi come obiettivo di entrare in contatto con i più grandi esponenti contemporanei di noir e horror. L’artificio narrativo – che gode di illustri precedenti letterari e cinematografici, primo tra tutti quello della Divina Commedia – di descrivere la follia anche nei bambini, comunemente considerati i “puri” e “buoni” incide positivamente sull’originalità della raccolta.

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