Il grande scrittore Hermann Hesse, nel suo libro d’esordio Demian, descrisse in modo unico le inquietudini sotterranee della gioventù che si immolò al macello della Grande Guerra, tra fatuo benessere, assenza di futuro e attesa della Storia. Il genio, in tutte le molteplici manifestazioni della Mente, trova nella propria perenne attualità uno dei suoi postulati fondamentali.
Dopo alcune settimane mi iscrissi all’Università di H. Non ebbi che delusioni. Le lezioni di storia della filosofia erano scialbe e prodotte in serie, come le vite dei giovani studenti. Tutto seguiva uno stampo, l’uno agiva come l’altro, e l’allegria accaldata delle guance giovanili era vuota in modo sconfortante e pareva roba prefabbricata. (…) Dappertutto vita in comune, aggruppamenti, voglia di sbarazzarsi del destino e di rifugiarsi nel tepore del gregge.
Sono parole di piombo, che toccano ognuno di noi e ad ognuno parlano, perché dipingono la nostra vita, fotografano il mondo e la realtà contemporanea. Eppure, non sono scritte per la nostra epoca, ma furono concepite da uno scrittore quarantenne in un piccolo aureo libretto, scritto nel 1917 e pubblicato nel ’19, che raccontava il sottosuolo politico e spirituale della gioventù europea spedita al macello della Grande Guerra.
Demian, Storia della giovinezza di Emile Sinclair o, più schiettamente, Storia di una giovinezza è un romanzo di formazione del 1919. Il secondo sottotitolo ci pare più appropriato, nel senso che questo libro restituisce davvero la giovinezza, momento della vita così inebriante eppure inquieto, vitale e difficile ad un tempo. Hermann Hesse scrisse questo libro a intorno ai quarant’anni, e volle pubblicarlo sotto pseudonimo per segnare una cesura con le opere precedenti, perlopiù raccolte poetiche e, oggi possiamo dirlo, minori. Con questo libro egli inaugurò quella fortunata serie di romanzi di formazione che, passando per Narciso e Boccadoro lo condurrà al Siddharta, l’opera che lo renderà per sempre un autore di culto, profeta di esistenze eccentriche ed irregolari.
Il libro fu un caso editoriale che sconvolse l’Europa: i giovani reduci dalla grande guerra si videro rappresentati così bene e con tale esattezza che credettero che l’autore, appunto sotto pseudonimo, fosse un loro coetaneo, uno come loro sopravvissuto al carnaio della trincea. L’opera fu accolta da un pressoché unanime consenso anche nel paludato milieu della cultura continentale: Thomas Mann la definì un piccolo capolavoro, rammaricandosi di non poter contattare quel misterioso autore celato sotto falso nome.
Demian è davvero un libro unico per cogliere le istanze e le inquietudini di quella generazione perduta che crebbe nell’agiatezza e nella meschinità fin de siecle, destinataria d’una cospicua eredità materiale e però compressa e soffocata da una insanabile penuria di orizzonti ideali, a cui l’olocausto della Grande Guerra si presentò come occasione fatale per vivere morendo. Il protagonista del libro, Emil Sinclair, è un giovane spaurito e vagamente nevrotico, rampollo di una famiglia benestante e conservatrice, molto cattolica, costretto dall’età ad affacciarsi alla vita adulta e alle insidie del mondo reale. Impaurito dalla durezza della strada, il giovane si rintana nella sua famiglia un po’ infantilmente, segnando una distinzione manichea tra casa sua, dove risiedono i miti belli dell’infanzia, delle feste religiose, dei fastosi pranzi e delle regole inviolabili; e il mondo, fatto di tentazioni, rischi, pericoli, paure, compagni più grandi che lo atterriscono e lo provocano. È in questo momento cruciale della sua vita che Sinclair conosce Max Demian, ragazzo più grande e più maturo, uso alle cose del mondo. L’incontro atterrisce e spaura il borghesuccio: la sua difensiva distinzione tra il mondo idilliaco della casa paterna ed il mondo meschino e terribile non regge più; Sinclair scopre che il “fuori” si compone di tante maschere, allettanti e invitanti nella loro novità.
Incomincia così ad accarezzare l’ebbrezza della vita, il senso vero di un’amicizia, le prime attrazioni fatali per le donne. Sinclair, tra tanti tentennamenti, diventa adulto. Questo libro è appunto un Bildungsroman, racconta il faticoso cammino che ciascuno deve percorrere per trovare se stesso. Scrive Hesse:
Coi miei circa diciotto anni ero allora un giovane non comune, precoce in cento cose, molto indietro ed impacciato in cento altre. Quando mi confrontavo con gli altri ero spesso superbo e pieno di me, ma altrettanto spesso ero umiliato ed abbattuto. Certe volte mi ero considerato un genio, altre un mezzo matto.
In un’epoca come la attuale, che mostra sempre più la possibilità, allettante e terribile, di poter non uscire mai dalla stanza e dall’adolescenza, fa effetto leggere un giovane come noi che alla fine preferisce alla tranquillità ipocrita prospettatagli dai genitori e dalle convenzioni il proprio personale percorso, tortuoso e difficile, ma, alla fine, anche molto più appagante. Sinclair non è fedele alla società, al ruolo che questa gli attribuisce o alle aspettative che gli altri creano su di lui: egli è fedele solo a se stesso, alla propria intima vocazione, a quello che nel libro chiama più volte, forse un po’ enfaticamente, il suo destino.
E la società di Sinclair, la società europea di prima della Grande Guerra, era stanca e malata proprio per questo motivo: perché, non riuscendo più a trasmettere, da una generazione all’altra, un portato morale solido e condiviso, si fondava su leggi e convenzioni che nessuno, nell’intimo della propria coscienza, condivideva più. Questa contraddizione alcuni la risolvono spendendo la gioventù in fatui bagordi, aderendo ad una dissolutezza conformistica e, per certi versi, tristemente obbligatoria (cosa che, in un primo momento, fa anche Demian); e questi sono poi gli stessi che, senza aver svolto nessun reale percorso di maturazione, alcuna coscienza formata verso se stessi, si adeguano, in età adulta, alla vita routinaria ed impiegatizia che lo stato liberale esige da loro, con la stessa indolenza e lo stesso gretto conformismo con cui si erano adeguati ai riti ed ai cliché del giovanilismo delle osterie. Scrive Sinclair-Hermann Hesse:
Qua e là c’erano studenti che rincasavano barcollando per le strade. Spesso avevo notato la differenza tra la loro buffa allegria e la mia vita solitaria, ora con un senso di privazione, ora con scherno. Mai però avevo sentito con tanta calma e tanta segreta energia quanto poco tutto ciò mi riguardasse, quanto lontano e morto fosse quel mondo per me. Ricordavo certi funzionari della mia città Natale, persone dignitose ed attempate che erano attaccate ai ricordi dei semestri di baldoria come al ricordo di un paradiso beato (…). Sempre cercavano la “libertà” e la “felicità” in qualche luogo alle loro spalle per timore di essere richiamati alla propria responsabilità, alla propria via. Per alcuni anni si sta allegri e si prendono sbornie per poi mettere giudizio e diventare seri impiegati dello stato. C’era molto marcio fra noi, e quella stupidità di studenti era molto meno stupida e meno grave di mille altre.
Sinclair non sa adeguarsi a quella società angusta ed opprimente, non vuole sopprimere se stesso per non dare nell’occhio, perché sarebbe più facile, per compiacere la buona società, per confondersi, nascondersi e scomparire nella quiete della massa. Sinclair vuole diventare ciò che è, realizzare tutte le sue potenzialità, battere la sua personale strada, senza accomodamenti e senza imboccare itinerari preconfezionati, che fatalmente lo appiattirebbero e lo tradirebbero. Sinclair difende, strenuamente, coraggiosamente, incessantemente, in un orizzonte di massificazione ed atono brusio, la propria voce, la propria dignità di individuo. Sinclair vuole essere se stesso, non qualcun altro; non come tutti. In questo percorso alla fine rincontra Demian, l’amico che l’aveva svezzato e poi s’era allontanato, lasciando che camminasse un po’ con le proprie gambe, lasciando che affrontasse da solo la responsabilità di aver raccolto la gravosa chiamata del destino. In questa seconda frequentazione Sinclair conosce anche la madre di Demian, che rappresenta l’immagine materna tanto inseguita, la fecondità, il calore di un corpo, la vita. Grazie a quell’amore, eccentrico eppure poetico, inseguito ma alla fine solo sfiorato, lambito, sognato, Sinclair impara anche l’arte più preziosa della vita, l’arte di amare, ed apprende che anche qui, come altrove, ciò che fa di un ragazzo un uomo è la volontà, la forza e la risolutezza della propria decisione, della propria determinazione. Così gli parla Eva, la madre di Demian:
Lei non deve abbandonarsi a desideri nei quali non crede. So che cosa desidera, ma deve poter rinunciare a questi desideri oppure desiderare appieno. Se riesce a chiedere in modo da essere sicuro dell’esaudimento sarà anche esaudito. Lei invece desidera e poi si pente ed ha paura. Tutto ciò bisogna superare.” E ancora: “L’amore non deve implorare (…) e nemmeno pretendere. L’amore deve avere la forza di diventare certezza dentro di sé. Allora non è più trascinato, ma trascina. Il suo amore, Sinclair, è trascinato da me. Quando mi dovesse trascinare, verrò. Io non voglio fare regali, voglio essere conquistata.
E poi, alla fine, c’è l’epilogo, la chiamata, la partenza dei due giovani, di tanti coetanei, verso la guerra, verso la più colossale carneficina che il mondo aveva conosciuto fino a quel momento. Leggiamo Demian e siamo elettrizzati da questi due amici, che seppero ribellarsi al mortale grigiore della loro epoca tentando un percorso esistenziale radicale e sconvolgente, misterico e trasgressivo. Ma poi vediamo che quel mondo di calma apparente, di agiatezza e fatuità che preparava la catastrofe, è così stranamente, terribilmente simile al nostro.
Ci sarà la guerra. Vedrai quanti entusiasmi. Per la gente sarà una bazza. Già ora tutti si rallegrano all’idea di menar le mani. Tanto noiosa è diventata per loro la vita! Ma vedrai, Sinclair, questo è soltanto il principio. Ci sarà forse una guerra grande, grandissima: anch’essa però sarà soltanto il principio. Incomincia un mondo nuovo, e questo sarà spaventevole per coloro che sono attaccati al vecchio. Tu che farai?
Luca Gritti-L’intellettuale dissidente