‘Ritratto di fanciulla’ di Marco Forneris, tra verità storica e fantasia

Dopo “Il nodo di seta” e “L’Oro di Baghdad”, Marco Forneris presenta il terzo romanzo della serie basata sulle indagini di David Faure, in cui intreccia una trama avente come filo conduttore il recupero di opere d’arte rubate con dettagli poco conosciuti di un tragico periodo della storia italiana. Tra verità storica e fantasia, un’avvincente spy story.

Una narrazione aperta sulla scena, un inizio tra il fragore degli avvenimenti, l’orrore della guerra. Ritratto di fanciulla, l’ultimo romanzo di Marco Forneris edito dalla casa editrice barese Florestano Edizioni, si apre con un prologo: ci troviamo sull’appennino ligure il 29 Aprile 1945. La cronologia e l’ambientazione sono i primi indizi che riportano allo scenario bellico, dolorosamente noto, della lotta partigiana al nazifascismo. Non si ha nemmeno il tempo di fare supposizioni che vengono descritti otto legionari della brigata Ettore Muti giacere come «[…] spighe umane falciate da raffiche di mitraglia».

Ancora una volta la Florestano Edizioni, nata nel 2005 da un’idea di Roberta Magarelli, si conferma un’eccellenza di Bari e della Puglia. Florestano è il geniale alter-ego di Schumann, l’anima romantica per eccellenza, il fanciullo sognatore presente in ogni uomo. Nel nome di Florestano riecheggia tutto ciò che la casa editrice pubblica, con la sua produzione selezionata nei minimi dettagli, ponendosi come obiettivo, quello di rappresentare e diffondere: l’amore per la Musica, nella sua massima espressione che trascende i secoli, giungendo intatta fino a noi, e la passione per tutte quelle Arti che dalla musica traggono magia e ispirazione. Poesia, Narrativa, Saggistica e Musica si fondono nelle nostre opere, facendo di ogni libro una piccola opera d’arte.

In tal senso Ritratto di fanciulla si configura come un valido esempio di ricerca dell’arte nell’arte, un inno all’importanza della ricerca e della interdisciplinarietà, in perfetta linea con la mission della casa editrice, sempre alla ricerca di opere originali e ricche di spunti.

“Ritratto di fanciulla” è un intrigante e coinvolgente romanzo che ha come protagonista David Faure, uomo d’affari dai tanti talenti e investigatore atipico. In questa spy story si narra di un mistero da risolvere che ha origine nel passato e che riemerge improvvisamente; è una vicenda a metà strada tra realtà e immaginazione, che intreccia importanti eventi storici con un possibile complotto, nato dalla fantasia dell’autore, che determinerebbe pesanti svolte nelle politiche contemporanee. Si parla inoltre di opere d’arte trafugate e vendute sul mercato nero, che dopo essere scomparse per tanti anni finalmente ricompaiono: sono quelle preziose testimonianze della storia artistica dell’umanità rubate durante il secondo conflitto mondiale, soprattutto agli ebrei, per gonfiare le casse e l’orgoglio del Terzo Reich. Marco Forneris imbastisce una trama in cui emerge la sua bravura nelle descrizioni degli ambienti e del background dei tanti personaggi; è lampante il certosino lavoro effettuato sulle numerose fonti, che viene spiegato alla fine del romanzo nel dettaglio per distinguere la verità storica dai suoi voli di fantasia.

In questo terzo romanzo con protagonista David Faure si racconta della sua avventura vissuta in lungo e in largo per l’Europa e non solo: tra Grecia, Italia, Svizzera, Inghilterra, Argentina e Israele. Un viaggio che non si consuma solo nello spazio ma anche nel tempo: ci si sposta infatti dal 1945 – alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in particolare concentrandosi sulla fuga dei nazisti in Sudamerica una volta terminato il conflitto – passando per il 1960 e approdando al 2006.

David viene coinvolto in una storia pericolosa che ha a che vedere anche con il suo passato e con un conto in sospeso di suo padre, che era stato un partigiano sulle tracce di uno spietato agente dell’OVRA, i servizi segreti di Mussolini. Con l’intelligenza che lo ha sempre contraddistinto e grazie al suo formidabile intuito, il protagonista ci conduce nel pericoloso mondo degli agenti segreti facendoci partecipi della sua missione – condivisa con sua moglie Jacqueline, ex collaboratrice della CIA, e con una manciata di alleati – che ha lo scopo di proteggere un’opera d’arte unica nel suo genere e di riportare giustizia a delle vittime innocenti della crudeltà umana

SINOSSI DELL’OPERA. Torino, 27 aprile 1945. Un convoglio militare tedesco riesce a sfuggire alle formazioni della Resistenza che hanno appena liberato la città e si dirige con un prezioso carico verso la costa ligure, seminando morte e distruzione al suo passaggio. Sulle sue tracce un drappello di giovani partigiani che, pur non riuscendo a bloccarne la fuga, recupera in modo fortunoso una valigia dal contenuto sbalorditivo. Londra, 2006. Sarah Cosworth, nipote di un giornalista ed ex agente delle Special Operations britanniche, rinviene fra gli averi del nonno alcuni documenti provenienti da ambienti nazisti insediati in Sudamerica e un antico disegno a sanguigna di strepitosa bellezza, forse il ritratto di una giovane Isabella d’Este. Kardamyli, Novembre 2006. Patrick Fermor, anziano scrittore inglese molto legato alla famiglia di Sarah, chiede al suo vicino e amico David Faure di incontrare la donna per aiutarla a chiarire il contenuto delle lettere e l’origine del ritratto. David è un uomo d’affari italiano da poco ritiratosi in quel tranquillo angolo della Grecia, ma ha un debito con Fermor e un passato che lo ha visto spesso coinvolto in delicate indagini a livello internazionale. Accetta dunque l’incarico che, dopo Londra e l’opaco mondo che ruota intorno alle sue case d’asta, lo porterà a Venezia, nei laboratori di restauro dell’Accademia, quindi nella soffitta della sua vecchia casa di Gressoney, in una riservata banca svizzera e infine a Tel Aviv, a colloquio con un famoso cacciatore di criminali nazisti.

Le attività investigative attirano tuttavia l’attenzione di antichi nemici e mettono a rischio la vita della famiglia di David, il quale decide di recarsi in Argentina per chiudere vecchi e nuovi conti, inclusi quelli lasciati in sospeso dal padre partigiano.

BIOGRAFIA DELL’AUTORE. Marco Forneris si è laureato in informatica a Torino e ha iniziato la sua carriera di manager nella mitica Olivetti. In seguito ha ricoperto il ruolo di Chief Information Officer di alcune delle più note aziende italiane: Il Sole 24 Ore, Assicurazioni Generali, Gucci, FIAT e Telecom Italia. Ha pubblicato per Teti Editore nel 2016 “Il nodo di seta” e nel 2019 “L’Oro di Baghdad”. In parallelo alla sua attività di scrittore, si occupa di M&A e Business Development per aziende di Information Technology, Private Equity e Banche d’affari.

‘Falcone e Borsellino. Storia di amicizia e coraggio’, il libro divulgativo di Fabio Iadeluca

Fabio Iadeluca, sociologo e criminologo da sempre impegnato nel dibattito sulle mafie, con Falcone e Borsellino. Storia di amicizia e coraggio. realizza un agilissimo libro di divulgazione indirizzato direttamente ai ragazzi e pubblicato dall’editore Curcio nella collana Curcio Young. Coltivare la memoria è un’operazione tanto onerosa quanto fondamentale, soprattutto nell’anno in cui il 23 maggio ricorre l’anniversario della strage di Capaci. Il libro si apre con il discorso che Sergio Mattarella tenne a Palermo in occasione dell’anniversario delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio nel 1992. Ecco dunque che anche il Presidente citando Antonino Caponnetto sottolineava: «La mafia, teme la scuola più della Giustizia, l’istruzione toglie l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa».

L’ On. Rosy Bindi, già presidente della commissione parlamentare antimafia, firma la prefazione al libro. In questo suo breve scritto militante ricorda la profonda fiducia nelle istituzioni di due uomini eccezionalmente unici e straordinariamente umili. Il loro sacrificio è ricordato attraverso il Maxiprocesso, attraverso la legge Rognoni La Torre che ha introdotto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, attraverso il loro lavoro di sezione chirurgica all’interno delle maglie oscure della criminalità. A loro e alla loro convinzione che la mafia poteva essere sconfitta, anche quando questa sembrava rinascere dalle sue stesse radici non svelte, dobbiamo tutto. Abbiamo un debito che forse possiamo solo ripagare coltivando la memoria

Il corpo centrale del libro si divide in quattro parti. La prima e la seconda raccontano la vita di Falcone e Borsellino, la terza e la quarta si concentrano sulla presenza della mafia a Palermo, nella sua provincia e nelle altre province della Sicilia negli anni delle stragi di Capaci e di via Mariano D’Amelio. Attraverso un racconto appassionante le parti biografiche iniziano con l’infanzia e gli studi dei magistrati. Successivamente per Falcone si parla dell’incarico a Trapani, del trasferimento a Palermo, delle minacce subite. Prima di arrivare alla costruzione del Pool antimafia è citata la spesso trascurata strage di via Federico Pipitone nel luglio 1983, dove perse la vita il giudice Rocco Chinnici (fondatore dello stesso pool). La congiunzione di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e degli altri magistrati Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta permette l’avvio dei lavori e la costituzione effettiva del Pool.

Di importanza capitale nella lotta alla mafia è stata la collaborazione del “super-pentito” Tommaso Buscetta. Come scrive lo stesso autore: «[…] la vera chiave di svolta è Tommaso Buscetta. Per la mafia è un colpo mortale». Don Masino arriva in Italia dopo essere stato estradato dal Brasile nel 1984. Buscetta è un mafioso di lungo corso, traffica stupefacenti e ha numerosi rapporti oltremare. Viene per questo definito “il boss dei due mondi”. Da parte degli avversari corleonesi, la fazione mafiosa più sanguinaria con a capo Totò Riina, subisce l’assassinio di sei parenti, tra i quali due suoi figli. Grazie alle testimonianze di Buscetta che Falcone raccoglie, diventa possibile decifrare e unire i frammenti di informazione che prima non fornivano una costruzione di senso. Il racconto della vita di Falcone offre all’autore anche l’occasione di riflettere sulle dinamiche tipiche di cosa nostra come il giuramento, lo status di uomo d’onore, l’obbligo di omertà.

Su queste premesse e sulle acquisizioni frutto dell’avanzamento delle indagini si basa il Maxiprocesso che ha inizio il 10 febbraio 1986 nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo. Falcone e Borsellino, seppur sottoposti a gravosissime pressioni e minacce, riescono a redigere il documento fondamentale dell’accusa contro Cosa Nostra che consta di 8000 pagine e 40 volumi. In questi ciascuno dei 475 imputati al processo è schedato e viene chiarita la sua posizione all’interno dell’organigramma mafioso. Il maxiprocesso che stabilisce il riscatto dello Stato e della Sicilia commina pene detentive per anni totali 2665 di reclusione.

Prima di parlare della strage di Capaci ricostruendone le dinamiche, l’autore si sofferma sulla mancata nomina di Giovanni Falcone a capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, sulle lettere “del corvo”, sull’attentato all’Addaura e sull’incarico al Ministero della giustizia.

La seconda parte introduce la vita di Paolo Borsellino. Le vicende biografiche si intrecciano inevitabilmente con quelle del collega. L’autore racconta senza riserve il dolore per la morte dell’amico fraterno Giovanni. Chiude questa parte biografica la strage di via D’Amelio (19 luglio 1992) preceduta dai tentativi pregressi da parte di Cosa Nostra di uccidere il giudice Borsellino.

La terza e la quarta parte ricostruiscono analiticamente e con schemi dettagliati, talvolta fornendo anche liste nominative, la presenza della mafia sul territorio Palermitano e in generale su tutto il territorio siciliano.

Fabio Iadeluca riesce, con uno scritto agile e divulgativo, a semplificare il complicato groviglio delle mafie così che possa essere chiara la comprensione del fenomeno criminale. Conoscere è il primo passo che tutti noi possiamo compiere per coltivare la memoria e rendere onore a chi ha combattuto per gli ideali di libertà e giustizia.

 

 

Temi principali in ‘Memoriale’ di Paolo Volponi

Memoriale di Paolo Volponi si configura come il racconto della vita di un operaio durante un arco cronologico di dieci anni. Albino Saluggia è dunque protagonista e narratore delle vicende. Egli, reduce dalla guerra e dalla prigionia in Germania, attraversa profondi contrasti individuali e familiari acuiti dall’esperienza bellica e vive l’ingresso in fabbrica come l’opportunità (che si rivelerà poi falsa) di ottenere un risarcimento per i suoi mali.

Questo si concretizza nel 1946, ma immediatamente l’anno seguente si presentano problemi di salute. Saluggia entra ed esce dall’infermeria di fabbrica, a causa di una diagnosi di tubercolosi. Qui incontra il Dottor Tortora, una figura che si rivela paternalistica poiché impartisce direttive con severità e allo stesso tempo paterna poiché lo prende in cura. L’operaio negli anni successivi si divide tra sanatorio e fabbrica, nel tentativo di curare una nevrosi e tra il 1951 e il 1952 si affida alle cure del presunto Dottor Fioravanti che gli inietta un siero non altrimenti specificato. La finzione letteraria impone di credere che il resoconto sia stato scritto alla fine di questo arco cronologico, ma alcuni avverbi di tempo che compaiono nel testo, ad esempio «oggi», indicano che Albino Saluggia avrebbe potuto scrivere in diversi momenti e quindi alternare stadi di consapevolezza differenti.

Il Memoriale consiste in una narrazione a scopo auto-terapeutico, «una introspezione autoanalitica]» per certi versi simile al modello sveviano. Il protagonista non è un operaio come gli altri, difficilmente socializza, non è sindacalizzato né ha coscienza di classe, ha una sua lingua peculiare e un particolare modo di raccontare.

Rispetto agli operai di Ottieri egli risulta sconfitto, ma non solo dal lavoro di fabbrica. Saluggia non è unicamente controfigura del disagio operaio, non rappresenta solamente il dramma dell’alienazione, non incarna la rabbia sociale. Saluggia si trova al centro di un conflitto ben più ampio e cioè quello tra io, società e reale. Il suo male sembra connaturato alla sua esistenza, come nel caso di Zeno, e su questa l’autore riflette e dichiara: <<Io mi sono messo in mente di non scrivere romanzi sull’io […] proprio perché sento forte oggi l’impegno di fare un discorso in termini oggettivi, di confronto con il reale, in termini, senza presunzione alcuna, di storia>>.

La natura restituisce solo temporaneamente al protagonista un afflato salvifico perché poi finisce inevitabilmente col sovrapporsi all’idea di fabbrica corredata di tutti i suoi aspetti negativi. Se per Sarte la nausea deriva dall’errato rapporto tra soggetto e mondo delle cose e dal fatto che queste assumano tratti e sfumature umane, è proprio questo che Albino Saluggia vive. Egli mescola il reale, non distingue più i confini, lo fagocita e finisce col perdere la sua identità. Ecco che il mondo diventa antropomorfizzato:

Guardavo la campagna e fumavo; il fumo che usciva dal finestrino, tra la luce del treno e la notte azzurra, diventava una cosa viva, un animale che dovesse nascondersi tra i campi e le fratte.

La fabbrica che assorbe la vita dell’operaio sottrae a questo l’identità ed il senso del presente: «il tempo interiore del narratore, legato al mondo contadino, è circolare e mitico, viceversa il tempo della fabbrica è artificiale e alterato». La tesi di Memoriale è avvalorata da una confessione dello stesso Saluggia:

Quando io sono entrato nella fabbrica, l’orologio della nostra officina segnava l’ora 1227. Anche il tempo, come gli uomini, è diverso nella fabbrica; perde il suo giro per seguire la vita dei pezzi.

Ben lontano è però il fine ultimo di Memoriale dall’individuare nella fabbrica il capro espiatorio universale al quale imputare le lacerazioni dell’umano. La storia di Albino Saluggia non è una storia finita e le contraddizioni non si appianano.

 

Fonti 

G. Alfano, F. De Cristofaro, Il romanzo in Italia, Vol. 4: secondo Novecento, II, Carocci, Roma, 2018

«Il Menabò», a.2, 1961

 

Exit mobile version