‘Le donne di Maddalena’, il romanzo rurale di Giuseppina Mormandi

Edito Blitos EdizioniLe donne di Maddalena di Giuseppina Mormandi esplora un recente passato, fatto di dolore, segreti e donne che erano costrette a tacere. L’autrice affronta il tema della questione femminile nei primi anni del ‘900, quando la donna era un oggetto inattivo all’interno di una società patriarcale il cui utilizzo era solo al fine della procreazione. La maestria con cui Mormandi descrive le atmosfere rurali e semplici, tipiche di un piccolo paese in quell’epoca storica, trascina il lettore in un avvicendarsi di diapositive in bianco e nero, nel corso della lettura, in cui non si può fare a meno di sentirsi parte del racconto e di quel tempo non troppo lontano. Il romanzo è ambientato nell’immaginario paesino di Pietraia, intorno ai primi anni del ‘900; quando la storica levatrice viene a mancare sopraggiunge in quella piccola realtà contadina e semplice, come quasi tutti i paesi dopo la Grande Guerra, Maddalena: una ragazza bellissima discendente da una generazione di donne che aiutano a mettere al mondo bambini. La sua è un’entrata particolareLe donne di Maddalena: arriva a Pietraia a dorso di un asino con pochi averi ma con una sedia pulitissima.

 

Maddalena è la nuova Mammana: la donna che aiutava le altre donne a partorire, a celare una gravidanza indesiderata, o dava il suo sostegno a partorienti che avevano vergogna o timore del loro stato. Nonostante, all’inizio, il Paese la accolga con glacialità e indifferenza pian piano Maddalena diventa punto di riferimento per le donne di Pietraia. Confidente, amica e guida la sua figura appare essenziale per quelle donne abbandonate a una piccola e tacita realtà. Attraverso il personaggio di Maddalena ci si interfaccia con un’epoca storica che mette di fronte alle rapide trasformazioni della vita quotidiana e a quanto la donna fosse costretta ad affrontare sfide giornaliere al limite della sopravvivenza. Ma la protagonista del libro di Giuseppina Mormandi non è solo una Mammana, ma è anche una bellissima donna; alta, slanciata e con lunghi capelli neri acconciati per mezzo di lunghe trecce, la sua bellezza diventa fonte di fastidio per gli uomini di Petraia.

‘’Era nata verso la fine dell’Ottocento, di bella presenza, trecce nerissime che portava attorcigliate sulla testa a forma di corona. Di carnagione delicata, con occhi azzurri che contrastavano con la capigliatura corvina; sulle orecchie spiccavano un paio di orecchini d’oro molto particolari, raffiguranti un’ape con incisa sopra la lettera emme stilizzata’’.

Se da un lato don Alessandro, farmacista del paese, anela alla giovane quasi come fosse un sogno proibito e irraggiungibile, il parroco Don Luigi si accosta alla figura di Maddalena con aria supponente e superiore: il mestiere di Maddalena è un’ etichetta, a prescindere, e per via della sua professione, automaticamente, il parroco la considera priva di vergogna, impudente e spudorata.

Nonostante la trama segua le vicende di Maddalena, quello che colpisce del romanzo – oltre alla dovizia di particolari e all’estrema abilità descrittiva di momenti, luoghi, emozioni e atmosfere – è l’intersecarsi di varie storie nell’intero filone narrativo. La questione femminile si snoda attraverso vicende variegate che raccontano il dispiacere e il dolore di tante donne. Maddalena è ormai punto di riferimento per  la popolazione femminile di Petraia: la chiamano non solo per i parti ma per qualsiasi altro problema. La sua, però, è una missione delicata che non lascia spazio a questioni personali; spesso il suo lavoro significa anche raccogliere un fagottino, ben celato agli occhi altrui, e lasciarlo alla ruota del convento delle monache.

La grazia di Maddalena nella sua professione, fatta con discrezione, scoperchia un altro doloroso punto per le donne del passato: le ruote dell’abbandono, note come ruota degli esposti,  sinonimo di dolore, gravidanze indesiderate, povertà, violenza, miseria. L’autrice fa luce su un passato patimento che ha investito e travolto tante, troppe donne: la vergogna e la paura di una gestazione, le violenze subite da uomini di potere, un modo di vedere l’attività sessuale solo come dovere coniugale, la copulazione atta esclusivamente a scopo procreativo. L’imbarazzo di un argomento tabù come il sesso in un ambiente dominato dagli uomini; una società che marginalizzava il sesso femminile, relegandolo a una condizione di passività che le voleva come incubatrici  per la procreazione in un contesto di povertà e di eterna vergogna cucita addosso, solo per il semplice motivo di esser nata donna o di mettere al mondo altre figlie, donne, convivendo con un bruciante senso di mortificazione.

Il fulcro della trama è, però, legato alla sparizione di Maddalena; la sua scomparsa getterà l’intero Paese nella desolazione completa e nel senso di smarrimento.  Sarà proprio la sparizione della protagonista a recare un intenso colpo di scena all’interno della trama. La sua assenza segnerà la vita delle donne di Paese, facendo comprendere quanto invece la sua presenza fosse essenziale per la comunità intera. Le ipotesi sulla sparizione si avvicenderanno nei discorsi dei paesani che, attoniti, non sapranno cosa pensare di questo improvviso allontanamento. Fino a quando Maddalena farà ritorno, con un finale non scontato e sorprendente.

La trama complessa e avvincente induce il lettore a numerose riflessioni grazie anche alla narrazione in cui si intersecano diverse storie, quasi come fosse un romanzo corale. L’autrice evoca atmosfere di un passato che si intreccia a tematiche di sofferenza femminile attraverso una delicatezza narrativa ed elegante capace di cogliere sfumature di afflizione, resilienza e forza esplorando temi universali come le trasformazioni di una società, il supplizio consunto di anime mute, il potere della solidarietà femminile.

Le donne di Maddalena racconta la dura condizione femminile, l’epidemia di spagnola, l’ombra aleggiante delle ‘’ gestazioni del disonore’’, la mancanza di cultura e la povertà di ambienti rurali e semplici,  i sogni infranti di quelle donne del passato che parevano vivere solo attraverso la vita che davano ai figli. In alcuni tratti della lettura sopraggiunge, quasi involontariamente, un parallelismo con L’Amica Geniale:  in Elena Ferrante La maternità è presentata in tutta la sua complessità, non priva sentimenti negativi, angoscia e sofferenza. Le donne non hanno desiderio sessuale, ma devono subire quello degli uomini, il sesso è un dovere nei confronti dei mariti che non può mai essere negato e anche la procreazione, come nel romanzo di Mormandi, diventa l’unico appiglio alla vita.

Leggendo Le donne di Maddalena di Giuseppina Mormandi si ha come l’impressione di leggere un capolavoro tipico della poetica neorealista; riportando alla memoria antiche consuetudini dei piccoli paesi rurali, l’autrice  fa luce su un mondo dimenticato fatto di lacrime silenti e di donne che hanno combattuto portando nel loro intimo un tormento  muto ma pulsante.

‘’L’altra Metà di Giove’’ di Rossini-Lupi, cambiare la vita attraverso il passato

L’altra metà di Giove è il romanzo di Mariateresa Rossini e Jacopo Lupi edito Lupieditore che indaga le profondità dell’animo umano e, soprattutto, sottolinea quanto il passato sia fondamentale nella storia di ognuno, arrivando alcune volte condizionare in modo complesso il presente. Una lettura scorrevole che, tuttavia, attraverso il viaggio emotivo e personale del protagonista scandaglia sfumature e aspetti della vita umana che, spesso, emergono sotto forma di battaglie interiori quando meno lo si aspetta. Il filo conduttore dell’intero romanzo sembra racchiuso in un quesito che, indirettamente, si pone al lettore: le ombre e i legami del passato, il tempo che è stato, quanto possono condizionare la vita quotidiana? Partendo da questa domanda il romanzo conduce il lettore, in modo magistrale e delicato, verso una riflessione profonda: è possibile spezzare le catene che tengono prigionieri in un tempo remoto difficile metabolizzare, ed è possibile guarire emotivamente rinascendo in un nuovo presente fatto di libertà e leggerezza, emotiva soprattutto.

Il protagonista del romanzo è Giove, un giovane ragazzo universitario dal nome importante, un nome  che da bambino era stato causa di scherno ma a cui ha sempre tenuto tantissimo. Un ragazzo con, all’apparenza, una vita tranquilla: nel corso della lettura numerosi personaggi (Sun, Ambra, Cristal, Richie la Dottoressa Soul) daranno numerosi spunti di riflessione al lettore, in una trama che capitolo dopo capitolo sembra sempre aggiungere un tassello in più facendo percepire a chi si accosta alla lettura l’autenticità dell’intero romanzo. La vita di Giove scorre lenta accanto al ricordo vivido dell’amato Nonno Giulio: un personaggio emblematico, un avvocato ‘’vecchia scuola’’ dedito al suo lavoro ma con un rimpianto doloroso,  quello di non esser riuscito a salvare la moglie Rosa – che lui amava chiamare Rose – persa in una fredda giornata di primavera.

‘’Ero tanto felice in quei momenti, e la vicinanza di nonno Giulio non mi faceva sentire quella solitudine che ogni tanto percepivo. […]Spesso da piccolo, anche quando ero in compagnia, quella sensazione di mancanza, di malinconia, mi veniva a fare visita, ed era faticoso far finta di nulla, mascherarla con un sorriso per non far preoccupare i miei genitori. Con il nonno invece era diverso, riuscivo a dirgli sempre tutto, a fargli le domande che ai miei genitori non riuscivo a fare, e lui sapeva sempre come consolarmi, come farmi tornare a star bene’’.

Una vita come tante, quella di Giove, che sarà trasformata da un colpo di scena: un evento improvviso, infatti, costringerà il protagonista a fare i conti con le parti oscure e adombrate del proprio essere, nonché con la propria fragilità. A questo proposito, è possibile notare come il romanzo affronti con estrema maestria sia il tema dei legami familiari, e la loro l’influenza nel quotidiano, sia l’importanza del confronto con sé stessi: scendere, rimestare, trascendere e rinascere.

Naufragare per poi riemergere: le Costellazioni Familiari

La bellezza di questo libro, che può essere configurato in  un romanzo di formazione,  si può notare anche dalla capacità degli autori di affrontare tematiche complesse in toni delicati e liliali ma, soprattutto, è interessante riscontrare come il lettore possa immedesimarsi nelle battaglie interiori del protagonista e nel concetto di rinascita. La narrazione non è statica ma si inserisce in un contesto che se da una parte induce alla riflessione sulla base degli eventi che dovrà affrontare Giove, dall’altra esplora l’interessante concetto delle Costellazioni familiari. Il protagonista non solo andrà a confrontarsi con quelle ombre lugubri celate per troppo tempo dentro se stesso ma questa dimensione  lo ‘’investirà’’ anche in un senso più tangibile e concreto, non solo per mera astrazione; Giove, infatti, nel corso della trama sarà travolto da culmini di disperazione  ma sarà proprio grazie a questo oscuro spazio della sua vita che riuscirà a tornare in carreggiata sui binari della propria esistenza attraverso un viaggio interiore , profondo, meditato e doloroso. Accanto a lui c’è sempre la figura di Sun: complicata ma luminosa, metafora di luce in un susseguirsi di circostante tetre che oscurano la vita di Giove.

La relazione con Sun sarà essenziale per il protagonista in quanto, grazie al suo personaggio, riuscirà a giungere a una completa comprensione del proprio Io. In questo senso emerge l’interessante concetto delle Costellazioni Familiari di Bert Hellinger, tecnica di analisi e terapia che si sviluppa nell’ambito della psicologia sistemica e che riprende aspetti di altre teorie come lo psicodramma di Moreno, l’ipnosi di Milton Erickson e la psicologia della Gestalt. La pratica delle Costellazioni Familiari analizza come i legami familiari celati influenzino il quotidiano e quindi scelte e dinamiche del soggetto. Un passato che influenza il presente: le Costellazioni Familiari rendono consapevole una persona che si trova imprigionata in dinamiche cristallizzate, offrendo delle soluzioni per risolverle . Una presa di coscienza contrassegnata da metodi risolutivi per liquefare tutto ciò che di tetro si è assorbito da quel nucleo di origine che è la famiglia, arrivando a condizionare il presente della persona e impedendo il raggiungimento dell’autentica felicità.

 

‘’Emilia guardò Sun confusa, le avvicinò le labbra a un orecchio e le sussurrò: «Le Costellazioni possono aiutare a liberare i blocchi emotivi e a portare alla luce schemi familiari nascosti. Molte volte, ciò che viviamo nel tempo presente è legato a dinamiche familiari che risalgono a generazioni fa. Quando lavoriamo su questi schemi, possiamo guarire e avere relazioni più sane con noi stessi e con gli altri»’’.

 

L’altra metà di Giove. La complessità delle emozioni umane foriera di rinascita

 

Nel corso della trama il passato si presenterà al protagonista: le influenze dei legami familiari su Giove si tradurranno in conflitti che il giovane dovrà affrontare e cercare di dipanare. Uno schema che ogni lettore può aver vissuto nel corso della propria vita; la lotta interiore del protagonista diventa occasione di spunto riflessivo e, in questo senso, gli autori offrono una visione globale di tutte le emozioni sperimentate: c’è la battaglia, ma anche l’emozione, il sentimento e soprattutto la complessità. Complesso, come spesso capita di pensare, non è sinonimo di prolisso.

Il libro è un viaggio totalizzante in un mondo interiore decostruito e , in alcune pagine, quasi onirico che giunge nel finale a una costruzione cosciente  spiegando e analizzando ogni sfumatura dell’animo e dell’emotività umana. La complessità analizzata nel testo di Lupi e Rossini è sinonimo di arricchimento interiore, di propensione al dettaglio, ma non di difficoltà nel senso più funereo del termine ma di intrico che si risolve con una rinascita luminosa e abbagliante, anche se questo significa dover fare i conti con circostanze ferali e funeste. Un libro che offre una prospettiva diversa:  a volte il passato è limitante, ma la rinascita è possibile e anche la libertà.

‘’Sotto il diluvio’’, il nuovo romanzo di Giulio Natali: società e dinamiche di potere fra intrighi e politica

Il nuovo romanzo di Giulio Natali dal titolo Sotto il diluvio, edito dalla casa editrice Castelvecchi Editore, racconta le dinamiche di potere in un ambiente pacato e, all’apparenza, poco dedito alle perfidie come la provincia. Una storia corale, stimolante e contemporanea, che induce il lettore a porsi dei quesiti e a riflettere sull’attualità della narrazione.

La trama approfondisce uno degli assunti più antichi: il legame fra chi detiene il potere e chi lo subisce, rapporti conditi nella maggioranza dei casi da complessi giochi di potere. Il libro è ambientato a Colle Filippo, un piccolo paese sito nelle Marche. Una città di provincia, tacita e dormiente, dove è la classe politica, da lungo tempo, a dominare su ogni progetto  della città. L’atmosfera sonnacchiosa di Colle Filippo è squarciata da una tragedia: la morte  improvvisa e inaspettata di Oreste De Ritis, sindaco della città da trent’anni. La dipartita di De Ritis non provoca solo dispiacere e cordoglio nei cittadini della piccola provincia, ma un vero e proprio senso di smarrimento, confusione e sgomento.

Dopo trent’anni di mandato l’ormai spirato sindaco ha, pian piano, anestetizzato la volontà, le idee, le aspirazioni  e le ambizioni di ogni cittadino; quasi come se li avesse disabituati ad avere un proprio pensiero addomesticandoli e, a conti fatti, trattandoli più come sudditi che come cittadini liberi. Interessante anche l’uso del linguaggio, da parte dell’autore, per sottolineare questa completa riverenza, quasi sconfinante nell’alienazione, dei residenti di Colle Filippo: il sindaco Oreste De Ritis li ha plasmati a non chiedere mai ‘’perché?’’ ma’per favore’’.Un modo di fare che sottolinea come la sua figura abbia piegato, in trent’anni, i cittadini al consenso silente. La morte del Primo cittadino obbliga la popolazione a ridestarsi dal sonno, avendo sperimentato una condizione di accondiscendenza;  probabilmente era quasi più facile rimanere in una stasi accettata, che non obbligasse a decidere, invece che agire.

 

Sotto il diluvio. Elezioni, intrighi e apatia: la storia di una società

La particolarità del romanzo sta nel fatto che non c’è un vero e proprio protagonista della trama, essendo un romanzo corale, ma tutti diventano essenziali per la costruzione della narrazione. La scrittura scorrevole e limpida dell’autore pone l’accento sulla staticità dei personaggi, avvolti da una coltre di apatia e quasi desensibilizzati anche in vista del nuovo assetto della città. Dopo la morte del Sindaco urgono nuove elezioni: i contendenti che si sfidano per accaparrarsi il posto del compianto Primo cittadino sono tre. Fra questi Oscar De Ritis, nipote di Oreste, e figlio del fratello Pasquale.

Tutti e tre i contendenti vogliono rompere con l’amministrazione passata ma, nonostante tutto, quel passato ritornerà. La vecchia politica continua ad aleggiare nella silente provincia, specchio di una società attuale che sopravvive, tira a campare, affidandosi al politico di turno che non pensa al bene di coloro i quali amministra ma, esclusivamente, agli interessi personali. Un affresco noto, dove il potere  è in mano a pochi ‘’eletti’’ e la sua gestione data a persone  affidabili i quali elargiscono favori; trame in cui si intersecano corruzioni e intrighi, dove Colle Filippo diventa metafora della gestione politica tipica del Bel Paese.

Lo stile di Giulio Natali non si perde in descrizioni o dissertazioni, ma va dritto al punto: un dipinto che disegna i contorni della società e dei suoi difetti, purtroppo ancora attuali. La critica a una Politica sempre più lontana dai veri problemi è evidente: se da una parte chi dovrebbe detenere ordine e potere è superficiale, dall’altra il cittadino medio non si interessa più alla politica in quanto  politikḗ (“che attiene alla pόlis”, la città-Stato) come la stessa etimologia del termine suggerisce.

C’è una sorta di allontanamento, di stanchezza, per cui non si pretende più dalla classe politica ma ci si accontenta, quasi rassegnati. Mentre, un’altra parte, attende il favoritismo, la ‘’buona parola’’ dall’amico di turno per raccattare agi;  il tutto condito da gineprai intricati di giochi di potere e malevolenza. La sonnacchiosa rassegnazione di questa cittadina di provincia induce a una riflessione concreta: la cristallizzazione delle coscienze che sembra sempre più dilagante.

La strategia conservatrice del gattopardismo

Seppur nella trama di Sotto il diluvio sia evidente come si provi a rompere col passato, la società presentata dall’autore sembra essere sempre più schiacciata da un tempo remoto troppo presente. Il gattopardismo, tuttavia, è una sfumatura sottile nella trama che l’autore utilizza anche per tracciare, indirettamente, i tempi moderni nella società attuale.

Se è vero che in teoria si è predisposti al cambiamento, è altrettanto certo che la strategia conservatrice prevale sul progetto di rinnovamento. Basti pensare a numerose aree che, oggi, sono ancora radicate a dinamiche passate: affinché ‘’tutto cambi perché niente possa cambiare’’ . Seppur sembri azzardato, sovviene un parallelismo con un racconto: ‘’ ll reparto numero 6 ‘’ di Čechov.  Sotto il diluvio di Giulio Natali, in chiave moderna, critica il sistema dormiente di una politica tacita e dei cittadini-sudditi rassegnati alla loro sorte, così come Čechov poneva una critica sociale al sistema sanitario russo del tempo, inneggiando al progresso scientifico, medico e umano.

Protagonista è il primario dell’ospedale, uomo onesto ma ignavo e incapace di esprimere le proprie idee che vive all’interno del reparto, quasi come fosse la struttura una bolla ovattata, senza interessarsi minimamente del degrado in cui quest’ultima vige. Il primario, persona che dovrebbe tutelare e proteggere la dignità di pazienti fragili, è cullato dall’indifferenza verso gli stessi; così come il Sindaco e la classe politica di Natali non si curano del popolo ma anzi lo anestetizzano.

Due racconti diversi, due denunce sociali differenti ma con un filo che si unisce al centro: gli intrighi e la tranquillità di chi detiene il potere segnano la vita della classe più debole, nel caso di Natali di un intero paese. Quella scritta dall’autore è la storia di un popolo che non riesce a cambiare: la storia di una società che rimane prostrata al proprio passato. Sotto il diluvio offre un’immagine nitida e attuale che la maestria di Giulio Natali ha impresso su carta come una fotografia imperitura.

‘’Le lettere a Nora’’ di Andrea Carloni: l’audace scambio epistolare fra James Joyce e Nora Barnacle

‘’Le lettere a Nora’’ è il libro di Andrea Carloni pubblicato da Alter Ego Edizioni in cui l’autore racconta il legame carnale di James Joyce con Nora Barnacle attraverso un intenso scambio epistolare dalle passionali sfumature erotiche. Se tanto si conosce su James Joyce, molto poco si sa sulla figura che è stata fonte di ispirazione e passione dello scrittore; l’incontro fra Nora e James risale al 10 giugno 1904 ma la relazione fra i due inizia il successivo 16 giugno.

Questa data, in seguito, è stata poi scelta dallo stesso Joyce per ambientare il suo più celebre romanzo, Ulisse, che si svolge appunto in una sola giornata a Dublino. La data ha poi raggiunto una certa notorietà tanto da esser celebrata in tutto il mondo come Bloomsday. Il copioso scambio epistolare fra Nora e James permette al lettore di entrare nell’intimità di un rapporto controverso e sopra le righe, ma soprattutto di captare al meglio chi, davvero, possa essere stata Nora Barnacle nonostante le informazioni su di lei siano esigue. Andrea Carloni nell’introduzione di ‘’Le lettere a Nora’’ scrive:

 Nora la vittima, Nora l’innamorata, Nora l’ingenua, Nora la ribelle, Nora l’ignorante, Nora l’emancipata, Nora la sacrificata…

Ma chi era Nora?

Una personalità controversa, ribelle, emancipata, di spirito semplice, ma sensuale. E così, l’autore nella prefazione che introduce l’intenso scambio epistolare fra i due amanti, raffigura Nora come una donna dallo stile di scrittura fluente ma istintiva, che non si cura della forma come della sintassi o dell’ortografia; un modo di scrivere che rimanda al flusso di coscienza di Molly Bloom, come lo stesso Andrea Carloni sottolinea. Figura eterea e, al contempo, libidinosa l’autore sottolinea come Joyce amasse di Nora l’anima semplice e la capacità di stare accanto a lui nonostante le incombenze, le difficoltà economiche e la lontananza. Ed è proprio per la lontananza che Nora acconsente a uno scambio di missive erotiche,  avendo timore che James potesse supplire all’assenza di lei frequentando prostitute.

 

La tenerezza di uno scambio epistolare intriso di erotismo

 

L’amore fra James Joyce e Nora Barnacle è viscerale, selvaggio, carnale, possessivo; un rapporto considerato osceno per il tempo ma che comunque non si basa esclusivamente sull’effimera libidine perché, nello scambio epistolare, i due amanti si raccontano, l’un l’altro, porzioni di vita; debiti, incombenze, delusione, malattie, l’amore. Ogni tassello si posiziona in un sfondo tinteggiato di erotico che rende la narrazione globale e fluente, facendo carpire al lettore chi davvero sono stati questi due amanti teneri e selvatici che, 120 anni fa, tenevano in vita il loro amore attraverso il potere delle parole e della fantasia. Il carteggio, infatti, appartiene agli anni in cui Nora Barnacle e James Joyce non erano, fisicamente, insieme. Nello specifico, le lettere riportate nel libro di Andrea Carloni vanno da giugno a ottobre 1904: l’incontro e la frequentazione dei due, prima di lasciare l’Irlanda.

La corrispondenza si sposta poi dal 1909 al 1912, quando la coppia si è stabilita a Trieste e si separa per alcune visite a Dublino. Infine, il carteggio copre l’arco di tempo dell’ Agosto 1917, quando Nora si trasferisce a Zurigo prima di James. È  interessante notare come l’autore si concentri anche sul tema dei viaggi che diventa protagonista indiretto degli scambi epistolari fra i due; la lontananza è sia combustibile che alimenta lo scambio epistolare generoso che unguento saliente che lenisce la pena dell’assenza. I viaggi, i trasferimenti, le città: tutto raccontato con dovizia, attraverso uno stile scorrevole e un linguaggio semplice e diretto.

Andrea Carloni

La dualità di Nora e l’imperituro legame viscerale con Joyce

 

Nora non è una donna amante delle faccende domestiche, non è  Estia  la dea del focolare e della famiglia; eppure è una buona moglie e una buona madre che all’occorrenza sa farsi bramare da Joyce e divenire l’oggetto dei suoi desideri. Una delle prime lettere riportate nel libro di Andrea Carloni, datata fine luglio 1904, sottolinea come la mescolanza di emozioni contrastanti, l’erotismo e un viscerale senso di appartenenza imbevuto da una evidente connessione mentale legasse Nora e James:

 

‘’[Fine luglio 1904] 60 Shelbourne Road, Dublino

Mia particolarmente imbronciata Nora, ti avevo detto che ti avrei scritto. Ora scrivimi tu e dimmi che diavolo avevi l’altra sera. Sono sicuro che qualcosa non andava. Mi sembrava tu fossi dispiaciuta per qualcosa che non era accaduta – che sarebbe cosa molto da te. Ho cercato di consolare la mia mano da allora ma senza riuscirci. Dove sarai sabato sera, domenica sera, lunedì sera, dato che non potrò vederti? Adesso, adieu, carissima. Ti bacio quella fossetta miracolosa sul collo, il Tuo Cristiano Fratello di Lussuria.

J.A.J.

Quando tornerai di nuovo lascia i bronci a casa – pure i corsetti’’

 

Si noti  come Joyce utilizzi l’appellativo ironico e allo stesso tempo moderno ‘’Fratello di lussuria’’: un linguaggio estremamente contemporaneo e intimo, riflesso di una relazione sfaccettata ed eclettica. Nell’agosto del 1904, invece, Nora scriverà al suo James:

 

‘’[…] Mi sembra di essere sempre in tua compagnia nelle più svariate circostanze possibili parlare con te camminare con te incontrarmi con te improvvisamente in posti differenti finché inizio a chiedermi se il mio spirito se ne vada dal mio corpo nel sonno e vada a cercarti, e per di più trovarti o forse questa è solo una fantasia[…]’’

 

Una passionalità concreta che si riconosce nella visione carnale, angelica ed erotica, al contempo, che Joyce ha della sua donna e che si scorge anche nelle descrizioni che lo scrittore fa di Nora, come in questa lettera dell’agosto 1909:

‘’Ti ricordi i tre aggettivi che ho usato ne I morti per parlare del tuo corpo? Sono questi: “musicale e strano e profumato”.

Sono trascorsi 120 anni da queste lettere ma il libro di Andrea Carloni appare come la fotografia di un amore senza tempo: nonostante il fluire dei giorni,  le difficoltà della vita e la lontananza imposta questi due amanti –  quasi come eterni bambini  – continuano a giocare al gioco dell’amore; un amore passionale, tenero, energico, erotico, eclettico trasmesso attraverso la maestria dell’autore, la cura, la traduzione e l’utilizzo di  un linguaggio contemporaneo che racconta un’esistenza libera e un rapporto conteso fra dimensione eterea e passionalità.

‘Ho chiuso con te’, il romanzo di Emanuela Esposito Amato tra noir e dramma

Ho chiuso con te è il nuovo romanzo della scrittrice napoletana Emanuela Esposito Amato, pubblicato da Guida Editori. Il libro esplora le diverse sfaccettature delle dinamiche familiari, e nello specifico il rapporto tra due sorelle, ma anche la ricerca della propria identità, in un’atmosfera che vira dal genere noir al thriller.

Un romanzo scorrevole che, tuttavia, non è privo di momenti di tensione e pathos inducendo a profonde e intime riflessioni. Protagoniste sono due gemelle, unite dall’amore per l’arte, Lola e Nina, tristemente segnate da una tragedia che le colpisce fin dall’infanzia: la tragica morte dei genitori che segnerà per sempre i loro destini.

Il passare del tempo porterà Lola a trasferirsi a Parigi per inseguire il suo sogno, quello di diventare un’affermata stilista nel mondo della moda. Nina, invece, resterà nella sua terra impartendo lezioni di pittura e barcamenandosi fra emozioni esplosive e tacite, al contempo, in un’esistenza che sarà segnata da un incontro emblematico. Due donne diverse legate da un fato tragico fin dall’infanzia che, dopo anni di indifferenza reciproca, si incontreranno nuovamente; Lola, infatti, è costretta a tornare nella sua terra di origine per via di una notizia – ancora una volta – drammatica.

Se da un lato si ha un ‘’luogo narrante’’, un territorio dell’anima che offre una prospettiva inconsueta, dall’altro un riferimento interessante diventa la percorrenza dell’’’Uno, nessuno, centomila’’ di pirandelliana memoria che percorre l’intero romanzo: la dicotomia identità-maschera si intreccia per poi portare a porsi, indirettamente, un quesito: chi si è, davvero, dietro la maschera che ci si ostina a indossare?

Certamente l’impianto narrativo messo a punto da Emanuela Esposito contribuisce a rendere la storia avvincente e la lettura fluida chiara, toccante a identificare Ho chiuso con te come un libro che ha un ostile riconoscibile, per cui non conta solo la trama.

Il gioco delle maschere come strumento che occulta l’Io reale

Nulla è come sembra: strutturalmente il romanzo è pervaso dal topos della maschera pirandelliana e il messaggio dell’autrice, in questo caso, sembra molto chiaro: ogni essere umano indossa una parvenza in base alla circostanza in cui è costretto a barcamenarsi. Il mondo è un teatro, il soggetto un attore camaleontico: in Ho chiuso con te ogni personaggio emerge per quello che è nella sua essenza, e non per quello che cerca di essere o che crede di essere nel grande gioco delle maschere. In questo caso, prima fra tutti, sarà Lola a far sì che la sua maschera si disgreghi: sgretolata la parvenza parigina dovrà fare  conti con una realtà ben diversa e più cruda. Il testo che fin dall’inizio fa presagire al lettore una spaccatura quasi irrisolvibile giungerà a una ricostruzione dell’identità delle due protagoniste, dopo aver affrontato i fantasmi del passato, riscoprendo un legame solido e incondizionato fra le due sorelle. Un romanzo introspettivo che si interseca fra passato e presente affrontando realtà drammatiche e donando al lettore diversi spunti di riflessione su tematiche contemporanee ed emotive.

‘Peccato originale’, il nuovo libro del Prof. Salvatore Di Bartolo: il conformismo dell’Occidente moderno

Peccato originale’ è il nuovo libro del Professor Salvatore Di Bartolo, edito La Bussola, con prefazione del giornalista Nicola Porro. Un affresco lucido e tagliente sul conformismo di cui l’Occidente moderno è sempre più permeato. L’autore sottolinea come il revisionismo sull’identità e sui valori occidentali stia sempre più espandendosi, annaspando nelle acque ideologiche del politicamente corretto. Nell’antica Roma si chiamava damnatio memoriae, pena attuata contro i nemici del Senato Romano; probabilmente, l’antenata della moderna cancel culture sempre più dilagante nei tempi moderni.

 

 

L’autore, che compare sulla copertina del libro, con minuzia e ironia ne traccia l’incidenza analizzando, fra le altre cose, la fenomenologia del ‘’politicamente corretto’’ su più fronti.  Oggi l’ideologia woke, che è la matrice ideologica della cancel culture, sta espandendosi  esponenzialmente tendendo a condannare il passato sulla base di una sensibilità contemporanea; già George Orwell, in ‘1984’, profetizzava una sorta di cultura della cancellazione. Ma oltre una crisi valoriale che sbeffeggia, quasi, i valori dell’Occidente l’autore pone l’accento su una questione ben precisa: tutti i mali che affliggono il pianeta sembra quasi siano da imputare alla civiltà occidentale.

Da qui il titolo emblematico e profetico del libro: ‘Peccato originale’. Sviscerando le nuove ideologie che predicano inclusione, il Professor Di Bartolo fa luce su qualcosa di illuminante: il maschio bianco, occidentale ed etero, è accusato di essere fautore di guerre, disuguaglianze sociali o  cambiamento climatico solo per la sua genesi. Automaticamente ne porta il fardello, una zavorra pungente in cui il senso di colpa nasce dalla sola evidenza di appartenere all’Occidente e quindi, di conseguenza, essere carnefice di tutte le altre civiltà. Le condotte occidentali sono quasi considerate come  nemiche da combattere, non elastiche, non più utili: demolite dall’imperversare delle nuove ideologie dominanti che ne scardinano l’essenza.

Di Bartolo riflette – e fa riflettere il lettore che si approccia ai suoi scritti –  su un quesito preciso: è davvero giusto ripulirsi le coscienze, nei confronti delle altre civiltà, rinnegando la propria identità e le proprie origini?

 

Ideologie dominanti e omologazione: uno sguardo ai tempi moderni

 

Il libro del Professor Salvatore Di Bartolo analizza le varie ideologie dominanti del nostro tempo ponendo, all’interno dello scritto, un decalogo per ognuna di esse: dalla teoria gender, all’ecologismo passando per la cancel culture. Tutto confluisce in un macro-idealismo che ha come obiettivo quello di pungolare un senso di colpa nell’uomo occidentale  per via di un antico e glorioso passato. Un ‘Peccato originale’, per l’appunto, che bisogna punire recidendo le proprie radici. Nel tempo del revisionismo e delle concezioni che sono terreno fertile per lo sviluppo di una logica del pensiero unico, diventa pericoloso non accorgersi che questa modalità di riflessione può portare all’eliminazione totale del pensiero critico e, ancora più dettagliatamente, a una omologazione stantia, nonché vuota e pressappochista.

L’intento dell’autore è quindi mostrare al lettore che si approccia all’opera come sia importante fermarsi a riflettere adottando un pensiero complesso: non si tratta di combattere il diverso, ma di non rinnegare la propria essenza per mode consunte, idealismi-trend che in realtà veicolano  una crisi di valori. Un esempio sono le tematiche ecologiste; oggi si parla sempre più di green e nel libro, Di Bartolo, definisce l’ecologismo un nuovo marxismo in quanto dietro all’ambientalismo, spesso, si celano logiche di profitto: è facile quindi, oggi, cadere in quello che si definisce greenwashing.

L’aspetto che emerge nel corso della lettura è come sia semplice giungere a un modello preimpostato di pensiero, seguendo tali correnti, che possano portare a un crollo valoriale interno; anche su questo punto, l’autore, fa un parallelismo storico ineccepibile con l’Impero Romano crollato, principalmente, per fattori interni e variabili che anche oggi possono essere riscontrate nell’attuale società. Il rischio è plasmare i cittadini al politicamente corretto, non citandone le conseguenze negative: omologazione ed eliminazione del pensiero critico individuale.

 

Accogliere la diversità senza dimenticare la propria identità

 

Il libro del Prof. Salvatore Di Bartolo non è una crociata contro la diversità, né una lotta contro le novità moderne. Non si tratta di voler rifocillare concetti misoneisti, bensì di sottolineare che ogni uomo ha una storia, una propria identità, che deve essere coltivata, ricordata e soprattutto preservata; recidere i legami con il passato, quando si parla di cancel culture, o foraggiare un senso di colpa solo per avere natali d’Occidente significa contribuire alla non-inclusività, invece che al suo contrario.

La lettura solletica il pensiero critico ormai tacito, nel mondo moderno, e pone il lettore di fronte al pensiero complesso a cui, ormai, ci si è disabituati. L’intento dell’autore non è la repressione del diverso, né l’oppressione della libertà altrui ma, anzi, l’accoglimento della diversità senza dover rinunciare alla propria identità facendosi promotore di una libertà che significa soprattutto scelta, e non prostrazione a un pensiero che tenta di assopire le menti e, soprattutto, di creare modelli ideologici omologati e reiterati. Solo essendo coscienti delle proprie origini e dei propri valori si può apprezzare la diversità, accogliendone e ammirandone le differenze.

‘’Un’altra notte ancora’’, il libro di Domenico Cornacchia che racconta il Kilimangiaro e il viaggio di un’anima

“Un’altra notte ancora, Kilimangiaro Marangu Route” è il libro di Domenico Cornacchia pubblicato da Edizioni Efesto. Il testo nasce in seguito a un viaggio in Tanzania in cui l’autore resta quasi folgorato da questa terra così lontana ma, allo stesso tempo, accogliente nei suoi profumi, nel brusio dei suoni che la avvolgono e nei colori meravigliosi che la ammantano.

L’autore, insieme a un gruppo di amici, decide di raggiungere la vetta del Kilimangiaro; il fulcro dell’opera è proprio la narrazione di questo viaggio, meraviglioso e formativo, in cui emozioni, fatica e gioia diventano un tutt’uno mescolandosi in un vortice che culla e avvolge, al contempo, le emozioni dei viaggiatori scaturite da questa singolare esperienza. La bravura di Domenico Cornacchia consiste nel presentare al lettore un libro che, di fatto, è una guida ma che in realtà diventa pian piano un’avventura da seguire: chi si approccia alla lettura di questo libro emozionante non faticherà a immedesimarsi negli esploratori, protagonisti di un’impresa così suggestiva.

L’originalità dello scrittore risiede proprio in questa peculiarità; un libro che si distacca dalla cornice asettica della guide classiche ma, anzi, sembra accompagnare passo dopo passo il lettore attraverso la scoperta. I caldi colori dell’Africa sfumano, pagina per pagina, mescolandosi alle emozioni e alle avventure del viaggio; un cammino che non rimanda a sterili descrizioni, ma che anzi si accosta in modo intimo al lettore. E, in questo contesto, è proprio il lettore che si sente compagno di questa speciale spedizione di viaggiatori dediti all’avventura.

Il lettore come compagno d’avventura e le tappe di un viaggio straordinario

Domenico Cornacchia si concentra sì nella descrizione delle tappe del viaggio, ma anche sui dettagli minuziosi di cui ogni fase di questo lungo cammino è caratterizzata. La prima tappa del viaggio è Mandara Trail; un rifugio povero, poco curato, che accoglierà gli avventurieri durante l’impervio cammino. Il riparo trovato è molto semplice, ma assicura ai protagonisti dell’emozionante cammino un po’ di ristoro nonostante il freddo della notte e gli scarsi servizi igienici. Tuttavia, il riposo sarà apprezzato merito anche del clima sereno e delle succulente pietanze preparate dal cuoco del rifugio.

La seconda tappa raccontata dall’autore è Horombo Hut dove la magnificenza della natura si rivelerà ai viaggiatori in ogni dettaglio. Il rifugio sorge su colline pietrose con scarsa vegetazione la cui vista panoramica toglie il fiato; cielo e orizzonte si fondono in una tavolozza di colori pastello che trasmettono serenità. Alla vegetazione arida si contrappone il vociare della gente del posto con le loro tradizioni, i loro balli, la loro immensa cultura. L’autore abruzzese racconta, e presenta ai suoi lettori, la bellezza della Via Lattea che si rivelerà ai protagonisti in tutta la sua grandiosità. Lo scrittore interseca magistralmente immagini, suoni, natura, colori e cultura in un unico quadro che diventa, agli occhi del lettore, una grande opera variopinta in cui non si può non rimanere estasiati dalla meraviglia: uno stupore che proviene dalla bellezza dell’esplorazione e dall’importanza della diversità come valore e arricchimento. La natura selvaggia, a questo punto del libro, farà da sfondo all’emozione palpabile dell’autore che si rivelerà  in modo puro e autentico al lettore che avrà deciso di seguirlo in questo viaggio meraviglioso.

 Un’altra notte ancora non una semplice guida: consigli, emozioni e un parallelismo con il Viaggio dell’eroe

L’autore, all’interno del testo, dà consigli su come affrontare la scalata, parla del lessico e della lingua concentrandosi sulla terminologia più utilizzata; stila un prezioso decalogo sull’attrezzatura e gli oggetti da avere qualora ci si volesse avventurare in un’esperienza simile e descrive anche aspetti più pratici come costi, abbigliamento, usi e consigli medici con contributi di esperti. Ma oltre l’aspetto pratico colpisce il forte impatto emozionale; la penna dello scrittore, infatti, sembra quasi ‘’trasportare’’ in quei mondi lontani e inalterati chi si accosta alla lettura del libro.

Il mondo lontanissimo e incontaminato, il freddo notturno e la canicola del mattino, diventano tratti essenziali per immergersi nelle profondità del proprio Io. Quello di Domenico Cornacchia non è solo una viaggio verso una terra vergine, la cui potenza non risiede solo nella posizione geografica che la contraddistingue ma, specialmente, nel flusso emozionale che emana; il percorso dell’autore è soprattutto un viaggio dentro sé stesso e il proprio essere. La chiamata all’avventura sembra quasi quello che, in letteratura comparata, viene definito monomito o ‘Viaggio dell’eroe’: un parallelismo che sovviene alla mente del lettore che si emoziona, e accompagna l’autore, in modo automatico.

Le tappe del viaggio all’interno di un universo incontaminato rappresentano proprio i punti di un percorso personale, simili a un archetipo moderno del viaggio dell’eroe. Questa particolarità narrativa rende il libro di Domenico Cornacchia non una sterile guida fatta di elenchi, cose da fare e da vedere, né tanto meno un algido manuale per viaggiatori; ‘’Un’altra notte ancora’’ regala al lettore la visione di un mondo lontano fatto di profumi, colori, suoni di una terra ma è soprattutto un libro che racconta la vicenda di un’anima.

 

Un’altra notte ancora. Kilimangiaro Marangu Route – Il Club del Libro

Clemente Rebora, la poetica della ricerca spirituale e la lirica agonizzante soffocata dalla società capitalista

Clemente Rebora nasce a Milano il 6 gennaio 1885 dal garibaldino e massone Enrico Rebora e dalla poetessa Teresa Rinaldi. Nel 1903 intraprende gli studi di medicina che presto abbandona per seguire i corsi di lettere presso l’Accademia Scientifico-letteraria di Milano, dove si laurea nel 1910.

Fin dalla giovane età l’anima di Rebora sembra intrisa da profonde crisi spirituali; nel suo percorso accademico supera difficili momenti di depressione che lo portano sull’orlo del suicidio. Completati gli studi, dapprima, intraprende la via dell’insegnamento in istituti tecnici e scuole serali non tralasciando la passione per la scrittura; in questo periodo, infatti, collabora con numerose riviste fra cui ‘’La Voce’’, ‘’Diana’’ e ‘’Rivisita D’Italia’’.  Nel 1913 avviene il debutto letterario  con la pubblicazione del volume di poesie Frammenti lirici. Nel 1914 conosce  pianista russa Lydia Natus, l’unica donna che il amerà nel corso della sua esistenza.

Intanto scoppia la Prima Guerra Mondiale: l’episodio storico influirà nella vita di Rebora sia a livello personale che professionale, segnando la sua poetica. Dopo aver subito un trauma cranico sul Monte Calvario, a causa di una violenta esplosione, e il fermo dovuto a uno  stato di shock, il poeta milanese si riprende e annota le atroci esperienze belliche nella raccolta Poesie sparse, composta negli anni della Prima Guerra Mondiale ma pubblicata nel 1947.  Nella lirica Leggiadro vien nell’onda della sera, Rebora racconta questa sua dolorosa esperienza dove la ferita causata dallo scoppio di una granata lo porta ad errare lo porta a errare per ospedali psichiatrici e diagnosi di crisi nervose e disturbi post-traumatici da stress:

Leggiadro vien nell’onda della sera
un solitario pàlpito di stella:
a poco a poco una nube leggera
le chiude sorridendo la pupilla;

e mentre passa con veli e con piume,
nel grande azzurro tremule faville
nascono a sciami, nascono a ghirlande,
son nate in cento, sono nate in mille:

ma più io non ti vedo, stella mia.

 

Leggiadro vien nell’onda della sera ( Poesie sparse, 1947)

 

Il poeta, affascinato dalle stelle che spuntano all’imbrunire, scorge nella sera che avanza come un’onda che sommerge tutto un delicato palpito di stella: metafora di un cuore umano. L’astro che colpisce l’animo liliale dell’autore sparisce subito poiché oscurato da una nube leggera che all’etere regala faville scintillanti ma che, per sempre, ha celato ai suoi occhi l’astro amato: il palpito solitario che lo aveva colpito, adesso, lo ha abbandonato a sé stesso per sempre.

Dopo aver vagabondato da un ospedale all’altro, e in seguito a una diagnosi di infermità mentale, Rebora riprende la sua attività ma soprattutto si configura quello che, a tutti gli effetti, diventerà il tratto distintivo della sua poesia.

Rebora: le tematiche risorgimentali e la folgorazione religiosa

Nel 1922 pubblica la racconta Canti anonimi in cui Rebora si pone al cospetto di una quasi illuminazione spirituale; è una poesia di ricerca che possiede, all’interno della ritmicità e della semantica del verso, un retaggio culturale ben delineato.

Il poeta propende verso idee risorgimentali, costrutti di pensiero appresi dal retaggio paterno, e nello specifico alla figura di Giuseppe Mazzini di cui Rebora ammira le idee, intravedendo nell’operato del patriota una sorta di evangelismo laico dedito ai bisogni del popolo e alla giustizia sociale. Ma oltre le alte idee risorgimentali, la poesia di Rebora si caratterizza soprattutto come ricerca di fede e attestazione di quest’ultima.

Nel 1928, a tal proposito, il poeta subisce una folgorazione convertendosi al Cattolicesimo. Nel 1929 prende i sacramenti, mentre nel 1930 entra come novizio al Collegio Rosmini. Nel 1936, pronunciando i voti perpetui, viene ordinato sacerdote. Dall’improvvisa illuminazione religiosa nascerà la silloge Poesie religiose, i cui componimenti risalgono al periodo fra il 1936 e il 1947. Nel 1955 compone il Curriculm Vitae in cui  l’autore ripercorre la sua storia autobiografica mentre nell’ultima raccolta, Canti dell’infermità (1956), esplora l’aggravarsi della malattia che lo aveva condotto alla paralisi.

La poetica della ricerca spirituale e la critica alla società capitalista e industriale: la lirica soffocata dalla modernità

La raccolta Frammenti lirici rappresenta l’opera più vasta di Clemente Rebora  ma, soprattutto,  è la silloge in cui emerge l’attenzione del poeta verso i problemi esistenziali dell’uomo. La buona volontà, intesa come parte positiva dell’esistenza, e la depressione come contesto di connotazione negativa sono le tematiche principali che dominano la raccolta.

Ma è soprattutto la trasformazione della città che si riversa nel moderno, e il conseguente stato d’animo  dovuto al primo conflitto mondiale che imperversa nel popolo italiano, a fare da sfondo all’immagine poetica qui descritta da Rebora.

Il poeta cerca un compromesso esistenziale nell’indifferenza della vita cittadina voltata, ormai, al progresso moderno; la società industriale e il capitalismo diventano ombra della poesia autentica che Rebora immagina fagocitata da una modernità che avanza. La poesia è agonizzante: sommersa dalla società industriale e dalle masse che si piegano a un consumismo sempre più dilagante. Nella visione di Rebora, in questo senso, il poeta è adesso solo con il proprio Io; mentre cerca di non annaspare nel mare dell’opportunismo si rivolge a una visione metafisica nel tentativo di un’amara consolazione che è, in realtà, un’illusione per sopravvivere.

 

O pioggia feroce che lavi ai selciati
lordure e menzogne
nell’anime impure,
scarnifichi ad essi le rughe
e ai morti viventi, le rogne!
Quando è sole, il pattume
e le pietre dei corsi
gemme sembrano e piume,
e fra genti e lavoro
scintilla il similoro
di tutti, e s’empiono i vuoti rimorsi;
ma in oscura meraviglia
fra un terror di profezia
tu, per la tenebra nuda
della cruda grondante tua striglia,
rodi chi visse di baratto e scoria:
annaspa egli nella memoria,
o si rimescola agli altri rifiuti,
o va stordito ai rìvoli di spurghi
che tu gli spazzi via.

Pioggia feroce ( Frammenti lirici, 1913)

 

Gli antichi valori sono ormai sparsi, mentre aleggia nell’anima del mondo una profonda vacuità. Peculiarità di questa raccolta è la massiccia presenza di rimandi danteschi. Le raccolte Canti anonimi (1920-1922), le Poesie sparse pubblicate nel 1947e le Prose liriche (1915-1917) sono uno sviluppo tematico della prima opera che risente non solo del periodo bellico e dell’ansia della guerra, ma anche della rottura del rapporto con la pianista Lydia Natus.

La visione del mondo, in queste sillogi, si fa cruda; Rebora descrive l’esistenza umana come composta da infinite pieghe di infelicità e smarrimento. L’uomo, secondo queste concezioni, è costretto a vivere non solo in una condizione di isolamento ma anche in un estremo contesto di violenza dovuto a un’umanità superficiale, vuota e futile. Solo la morte rimane come consolazione; morire, per Rebora, è l’unico modo che ha l’uomo  per sfuggire alla ferocia della guerra, nonché l’unico sollievo.

Il poeta, però, conferisce alla morte anche un altro significato tutto pedagogico; la morte è l’unico mezzo che hanno i soldati, protagonisti degli atti più efferati e criminosi che si possano compiere in guerra, di comprendere l’antico concetto di Pietas; una pietà che, in vita, non potrebbero mai comprendere in quanto assoggettati alle oscure dinamiche di un mondo che ha smarrito l’etica e gli alti valori.

La visione della poetica reboriana successiva alla conversione: Poesia e Fede come compagne di sventura

La folgorazione religiosa di Rebora diventa, per il poeta milanese, una speranza a cui aggrapparsi; la fede cattolica, secondo questo nuovo modo di interiorizzare il suo percorso letterario, è la chiave della speranza utile alle angherie del mondo moderno: avere fede significa, soprattutto, essere coscienti che nonostante la perdizione terrena uno spiraglio di redenzione dell’animo umano esiste ancora.

La ricerca spirituale che muove la poetica di Clemente Rebora sembra, in un certo senso, conclusa con la conquista della fede. Un concetto che, tuttavia, farà traballare lo spirito reboriano poco dopo l’illusa certezza di aver trovato una strada spianata per la ricerca del proprio Io. In Canti dell’infermità (1956), dove l’autore è già gravemente malato, traspare tutta la sua sofferenza: colpito da ictus e affetto da paralisi, Rebora attraverso questa silloge pone al centro una profonda sofferenza fisica che sconfina nella disperazione e  che fa appurare al poeta che sia la poesia che la fede non sono altro che due compagne nella vita di un uomo. Una concezione che unisce tutta la produzione reboriana, come confermano alcuni versi contenuti in Curriculum vitae (1955):

Quando morir mi parve unico scampo,
varco d’aria al respiro a me fu il canto:
a verità condusse poesia.

Curriculum vitae, 1955

 

Nel componimento La poesia è un miele, scritta il 15 ottobre 1955, Clemente Rebora sottolinea come l’ars poetica sia arte, appunto, qui in terra ma vita in cielo.

La poesia è un miele che il poeta,
in casta cera e cella di rinuncia,
per sé si fa e pei fratelli in via;
e senza tregua l’armonia annuncia
mentre discorde sputa amaro il mondo.
Da quanto andar in cerca d’ogni parte,
in quanti fiori sosta, e va profondo
come l’ape il poeta!
L’ultime cose accoglie perché sian prime;
nettare, dolorando, dolce esprime,
che al ciel sia vita mentre è quaggiù sol arte.
Così porta bontà verso le cime,
onde in bellezza ognun scorga la mèta
che il Signor serba a chi fallendo asseta.

La poesia è un miele ( Canti dell’infermità,1956)

 

Risulta chiara, in questi versi, la tematica della fratellanza e dell’importanza della solidarietà degli uomini con Dio. Poesia e fede sono state per Rebora non solo compagne tacite di vita  ma dolci sorelle che lo hanno accompagnato, attraverso la sofferenza, in un mondo sempre più proiettato verso un futuro veloce, poco dedito all’attenzione e all’approfondimento, per lasciar spazio a una modernità che si configura nella praticità come valore essenziale e risolutivo. In questo senso Rebora è stato lungimirante: la poesia, salvo poche eccezioni, è stata soffocata dalla concezione moderna dell’uomo che si piega all’edonismo del consumo a discapito dell’autenticità della sua essenza.

 

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