Nella prima parte è un continuo procedere per accumulo, non ci sono sviluppi nel romanzo del 2006, Avventure della ragazza cattiva dello scrittore peruviano naturalizzato spagnolo Mario Vargas Llosa, a metà fra il picaresco e la storia d’amore. Solo nella seconda parte ci si appassiona alle vicende di Lily, femme fatale trasformista e di Ricardo, anonimo interprete peruviano, un uomo medio senza ambizioni.
Nel 1950 il giovane Ricardo scopre di essere innamorato di una ragazza cattiva, una niña mala che lo fa impazzire con il suo charme ma gli dice sempre di no. Quando le loro strade si separano, Ricardo si trasferisce a Parigi. Ma anche qui la niña mala riappare, in una nuova versione: una militante del Mir in partenza per Cuba, dove verrà addestrata alla guerriglia. Da allora, nella vita di Ricardo, si alternano il lavoro di interprete e i tormenti che la ragazza cattiva gli infligge, in un crescendo che porterà il protagonista ad affrontare il suo vero sogno: scrivere. Un ritratto palpitante del mondo europeo e latinoamericano, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, un’ispirata rievocazione condotta senza nostalgie ma con lucida intensità, sostenuta da una scrittura che si fa sempre piú limpida e rarefatta. Con protagonisti ed eventi reali e altri di fantasia, che insieme congiurano a creare l’affresco illuminante di un’intera stagione.
Stai diventando una huachafita [donnetta sentimentale, n.d.r.] anche tu, niña mala, – la baciai sulle labbra. – Dimmene un’altra, un’altra, per favore.
Lily, però, non giganteggia su Ricardo, non ha fascino e carisma perversi, risulta ripetitiva e prevedibile nella sua inaffidabilità. Ed è proprio quo che risiede l’aspetto più sorprendente e riuscito del romanzo: il premio Nobel Losa non rende la protagonista l’eroina della storia, semmai il personaggio più riuscito risulta Ricardo, con la sua umanissima e comprensibile debolezza, con la sua pazienza, col suo amore che sembra non subire mai un rallentamento. Ricardo è umile, è un uomo che lavora per vivere, che ama la letteratura e le lingue straniere, soprattutto il russo. È un uomo non bello, ma costante e stabile. E sembrano risiedere proprio qui la sua forza e straordinarietà che fa da contraltare alla “banalità” della cattiva ragazza che intontisce l’uomo ordinario, destinato prima o poi a soccombere.
Vargas Llosa riesce a costruire un intreccio narrativo di grande effetto puntando sulla personalità dei personaggi, in cui lo stesso Ricardo, il Niño Bueno, racconta in prima persona le proprie pene d’amore, la sua vita costellata dalla presenza-assenza della femme fatale (“Ero sicuro che l’avrei amata sempre, per mia felicità ed anche per mia infelicità”).
L’autore peruviano tuttavia non si limita a raccontare una storia di amore e di ossessione, inducendo il lettore ad empatizzare con il protagonista, evidenzia infatti la sua capacità di emersione dalle “paludi” di un paese dell’America Latina, il Perù, ancora molto, troppo povero, afflitto da tensioni e instabilità politiche tali da non garantire condizioni di vita dignitosi per il suo popolo, arricchendo così il contenuto di questa opera di riflessioni extra sentimentali.
Llosa infatti conduce il lettore in un’Europa in pieno fermento, partendo da Parigi, città affascinante e piena di opportunità, centro nevralgico della vita culturale europea e culla delle rivolte studentesche sessantottine, per poi spostarsi in oltremanica, in una Londra hippie anni settanta, centro di avanguardia artistica, capitale mondiale di una rivoluzione psichedelica fatta di droga, rock’n’roll e amore libero, passando per per Tokio, dove all’ordine e al rigore che traspaiono dalle strade durante il giorno, si contrappone la perversione della vita notturna. Nei cangianti (come le identità di Lily), contesti storico-geografici si muovono le disavventure amorose di due protagonisti legati da un rapporto viscerale tra Europa e America Latina.