Grandi momenti di Franz Krauspenhaar

“Grandi momenti”: Krauspenhaar nichilista

Grandi momenti (Neo edizioni, 2016) è l’ultimo romanzo di Franz Krauspenhaar (Le cose come stanno, Era mio padre, Biscotti selvaggi). Narrato in prima persona e al tempo presente, è categorizzabile come romanzo psicologico.

I grandi momenti “prima” e “dopo”

Il grande spartiacque della vita di Franco Scelsit, classe 1960,e protagonista di Grandi momenti, è l’infarto subito l’anno precedente alla narrazione. Su quella vita trascorsa fra libri autentici ma dalle basse tirature, romanzi best seller ma pubblicati sotto pseudonimo, donne occasionali, bevute con amici e corse in macchine di lusso, Franco si ritrova a riflettere nel periodo attuale, dominato dalla convalescenza da un collasso che gli è quasi costato la vita.

In questo lungo presente, fatto di visite, ginnastica riabilitativa, birra ghiacciata durante le “cardiopizze” (cene insieme agli altri ospiti dell’ospedale, tutti infartuati), le giornate passano così, senza senso, con l’unico vero aggancio alla vita costituito dalle domande che, inevitabilmente, vengono a sorgere dopo un evento del genere.

Ciò che colpisce della narrazione di Grandi momenti è la stranezza di quello che si definisce in gergo come “arco di trasformazione del personaggio”: la prassi prevede che a inizio storia il protagonista abbia un difetto principe che gli impedisce di uscire dallo stallo in cui si trova; solo durante lo svolgimento della trama, poi, riesce a trovare uno sbocco dal suo vicolo cieco e a superare l’asperità che gli si è presentata. Ecco, in Grandi momenti questo arco di trasformazione risulta distorto, quantomeno dimidiato e parziale. Franco Scelsit, uomo palesemente in crisi di mezza età e sull’orlo della depressione più cupa, non sembra essere in grado di uscire dal suo fatal flaw: piuttosto il post infarto lo conduce a riflettere, a portare alla luce questo suo malessere prima indecifrabile; malessere persistente anche nel “prima”, quando l’uomo lo scaricava comprando auto di lusso (una Jaguar tanto agognata e poi distrutta, perché non è con oggetti materiali che si esce dalla depressione) e dissipando soldi.

Fransco Scelsit, l’uomo del Novecento

Il mal di vivere montaliano di Franco Scelsit sembra invincibile, come risulta da diversi tentativi (andati a male) di autoanalisi. Si pensi ai seguenti passi, il primo a inizio romanzo e il secondo verso la fine: «Tutto ciò che tocco è malato, il morbo è la mia cifra, l’alienato è il mio ritratto». «Poche tirate e la sigaretta è finita, come finisce un sogno, un amore, una speranza, come finisce tutto».

Di frasi come queste il romanzo è pieno: sono sentenze fatalmente nichiliste, che non lasciano spazio alcuno a una speranza consolatrice, a un futuro luminoso. E che il futuro non sia luminoso per Franco Scelsit lo conferma il suo ostinato tentativo di annegare nel passato. Dalla scelta delle macchine alla frequentazione di personaggi solo over 50 (solo una certa Mara, 24 anni, sembra affacciarsi nella sua vita, ma lui la ricaccia indietro perché la differenza d’età è troppa), dall’ascolto di musica fondamentalmente vintage al rifiuto totale di usare computer e telefonino (nonostante si parli qui di uno scrittore di professione): tutto è rigorosamente “anni Ottanta”, forse nel tentativo disperato di (ri)vivere una vita e una giovinezza ormai perdute, e un periodo storico ottimista o comunque speranzoso.

Quest’assenza di speranza nel presente e il relativo rifugio in un passato “glorioso” si mischiano, a volte ma non sempre, con qualche sprazzo di ottimismo, cosparso però anch’esso di un senso di tragedia e fatalismo:

«Ma io me ne frego della società, Mario. E della politica. Questa politica è morta, si è suicidata. Io vado avanti sbagliando e riprovandoci e sbagliando ancora, come Beckett. Lo sbaglio è l’unica cosa che non mi tradisce mai. Io ho visto il baratro, ci sono caduto dentro, e sono ancora vivo. Più vivo che mai. E allora si sopravvive. Forse. Anzi, come dice un mio amico “si resiste”. Se sopravvivi al baratro, è come se fossi resuscitato».

C’è un vago richiamo all’abisso nietzscheano qui, e probabilmente non è casuale, visto il senso di nichilismo generale di Grandi momenti. Verso la fine del libro Franco decide quasi di cambiare tutto, a 50 anni suonati, e di partire per l’America. Ma anche l’America, vista trent’anni prima, è un’America diversa: «L’America è passata. È stata ed è passata. E tutto senza di me».

Eppure basterebbe forse poco per cambiare le cose, ma i propositi di costruirsi una famiglia (lui stesso afferma di volere figli, e di poter anche essere un ottimo padre), di rimettersi in gioco, di cambiare aria svaniscono nel nulla, non arrivano mai a compiersi. E resta sospesa così anche una delle frasi più belle dell’intero libro: una frase che sembra la speranza in un nuovo rinascimento, e che però non si avvera: «Si trova sempre qualcuno simile a noi. Basta un sorriso, a volte, e si divide la colpa di essere vivi».

Questo senso di peccato originario che pervade l’intera storia è tutto qui: nella colpa di essere vivi. Colpa inevitabile, e quindi tanto più schiacciante e paralizzante.

Grandi momenti è dunque uno straordinario e, al contempo, paradossale inno alla vita, che conta su una scrittura viscerale, amorale, a tratti rozza e scurrile, sicuramente non adatta a palati fini e che godono nell’aureo distacco dalla realtà. Ma chi, guardandosi intorno, vede ovunque le ombre di una crisi che non è solo economica, bensì esistenziale, non potrà che amare questo piccolo capolavoro.

Pubblicato da

David Valentini

David Valentini è nato a Roma nel 1987. Laureato in filosofia e appassionato di arte e letteratura, è scrittore, correttore di bozze e traduttore. Ha pubblicato due romanzi e il suo sogno è vincere il Premio Strega. Gestisce la pagina Facebook "Crepuscoli urbani".

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