La metà del diavolo (NN editore 2016, titolo originale Derrière les panneaux, il y a des hommes) è l’ultimo libro di Joseph Incardona, il primo tradotto in italiano. È un noir teso e disperato che, fra le altre cose, getta una fievole luce sull’esistenza di un ben preciso tipo di umanità: quello che vive e lavora sulle autostrade, non-luoghi per eccellenza.
La metà del diavolo. L’altra metà, che cos’è?
Diversi sono i personaggi, alcuni dei quali nel ruolo di mera comparsa, che popolano questo romanzo, ma a tre si può dare il ruolo di comprimari: Pierre Castan, Pascal Folier, Julie Martinez. Il primo è un padre di famiglia distrutto dalla morte della figlia Lucie per mano del secondo, un serial killer di bambine; il terzo personaggio è il poliziotto incaricato di ritrovare la piccola Marie Mercier, l’ultima vittima di Pascal; quando dietro la scomparsa della ragazzina si innalza l’ombra del rapimento, le forze in gioco si gettato a caccia del rapitore.
I punti di forza di questo noir/thriller non sono tanto la trama, di per sé abbastanza poco originale, quanto piuttosto: 1) il carattere introspettivo dei personaggi, ben delineati; 2) l’atmosfera; 3) l’utilizzo di uno sviluppo alternativo per affrontare una storia che rientrerebbe, di diritto, nel genere giallo/poliziesco.
“Siamo soli con i nostri segreti”
Pierre Castan è un uomo distrutto, un fantasma rabbioso in cerca di vendetta. La vita sua e quella della (ex?) moglie Ingrid è finita con la morte della loro figlia. Da allora Ingrid è caduta in una depressione apatica dalla quale non sembra esserci possibilità di ritorno: passa le giornate ad alcolizzarsi e masturbarsi in un salotto invaso dalla sporcizia, ogni tanto si fa sodomizzare dai porta-pizza che capitano per casa. E questo è tutto il suo “ruolo” all’interno del romanzo; di fatto è un personaggio inutile ai fini dello sviluppo della trama, ma che ben rappresenta l’atmosfera nichilista di cui al punto 3. Pierre è un’anima tormentata, un uomo che ha abbandonato per dare la caccia all’assassino, e lo fa vivendo di fatto fra un autogrill e l’altro, convinto che prima o poi riuscirà a mettere le mani addosso all’uomo che ha annichilito la sua famiglia. La seguente frase viene riferita a Ingrid, ma è senza problemi applicabile anche a Pierre:
Per questo Ingrid resiste.
Soltanto per questo.
Resisterà il tempo necessario a strappargli gli occhi, la lingua, le orecchie, le dita, il naso. Il cazzo. Tutto ciò che ha approfittato di Lucie, tutto ciò che ha divorato Lucie sarà colpito piegato spezzato scuoiato dilaniato distrutto.
Sale sulle ferite.
Gli piscerà in bocca.
Cosparso di benzina e bruciato.
“Il cazzo”, dunque. Elemento quasi di scherno questo, visto che Pascal Folier, oltre a essere sociopatico, orfano e sordo, è anche impotente; e dunque non rapisce le bambine per violentarle. Il problema principale di Pascal è la solitudine: l’assenza di suoni nella sua vita si unisce con l’assenza di affetti e di emozioni. È di fatto una monade esistenziale, un alieno. Nel romanzo non lo vediamo intrattenere rapporti umani se non per mera necessità; prova più sentimenti per il suo furgone che per qualsiasi altro essere vivente; la sua estrema razionalità lo avvicina decisamente alla sociopatia. È dunque un individuo pericoloso, e bravissimo è Incardona a immedesimarsi nella sua mente, anche se a tratti si vacilla, da lettori, nel capire quali siano le sue motivazioni. Di fatto sembra rapire ragazzine per avere compagnia, ma poi non si fa problemi a chiuderle in una ghiacciaia o a scioglierle nell’acido per far scomparire le prove. È in ogni caso un personaggio diabolicamente affascinante.
Julie Martinez è forse, fra i tre, il meno azzeccato: è una donna forte, “cazzuta”, emotivamente fragile ma in grado di recuperare questa mancanza con una grande motivazione. Però sembra sfuggire a tratti quali sono i suoi obiettivi nella vita oltre a quelli lavorativi. La vediamo cedere solo quando, incapace di controllarsi e consapevole di star rischiando anche la vita nell’indagine, si lascia andare sessualmente (ma non emotivamente, almeno non del tutto) col suo compagno di squadra Thierry Gaspard.
Ciò che accomuna questi individui (e gli altri personaggi: la veggente Tìa Sonora, la prostituta transessuale Lola, il manager di autogrill Gérard Lucino, le varie comparse) è in una sorta di disperazione, di senso di sconfitta dalla vita assimilabile, per vie traverse, a quel grande non-luogo che è l’autostrada. E qui arriviamo al punto 2.
Non-luoghi, non-vite, non-senso
Non c’è nessun dio, Pierre.
Nessun riferimento al di là di noi stessi.
Non c’è nessuna macchinazione, nessun deus ex machina.
Qualcuno ha preso tua figlia perché il mondo è in movimento.
Il male esiste ma non è il Diavolo: questo ci dice Incardona ne La metà del diavolo. In un mondo senza Dio, in cui regnano non la Legge e il Disegno divino, bensì l’entropia e il caos totale, è l’essere umano il male, o meglio quella vitalità interna che porta avanti le sue azioni, e che può sdoppiarsi in qualsiasi momento: «Come spiegarle che, oltrepassata una determinata soglia di sofferenza, ci si trasforma in una scheggia impazzita, non c’è più nessun legame sociale, nessuna legge, più niente da rispettare se non la propria sete di vendetta. […] Distruggere. Vendicarsi. Far male. Purificare». Ecco il male cos’è: la mancanza di empatia da una parte, la voglia di distruzione dall’altra. È un male che terrorizza per la sua insensatezza e per l’impossibilità di redenzione che rappresenta. Senza Dio, a chi si può chiedere aiuto? Perché, ci dice altrove Incardona, «Dio è morto».
La caccia all’assassino, la caccia allo stile
La caccia è dunque al centro del romanzo La metà del diavolo, ma interessa poco a Incardona mostrare prove, referti medici, indagini ecc. Anziché puntare sul giallo, si butta sul nero, mostrandoci come la vendetta e la giustizia si confondano quando di mezzo c’è la disperazione. Allora le intuizioni e i colpi di scena tipici del primo genere vengono soppiantati da elementi introspettivi, ambientazioni squallide, vite bruciate e un senso di redenzione che si aspetta fino alla fine ma che proprio non arriva.
Se questo elemento rende peculiare La metà del Diavolo, d’altro canto è difficile mantenere la giusta tensione per 270 pagine. L’autore/narratore si intromette pesantemente, coi suoi giudizi e la sua visione del mondo, dialoga coi personaggi, dà loro consigli pur sapendo che non possono ascoltarlo, si diverte sadicamente col lettore anticipando alcune morti. La struttura scricchiola appena quando, dopo l’ennesima digressione dalla trama, Incardona vuole trasmetterci, ancora una volta, un senso di estraneità.
Ma questo è decisamente un difettuccio che gli si può perdonare.