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Il basilico raccolto all'alba

Il basilico raccolto all’alba, l’esordio di Eugènie Gènin

 

“E se fossi tu la luce per la quale la mia bocca desiderasse sbocciare?”

Il basilico raccolto all’alba ( 2015) è il romanzo erotico d’esordio della scrittrice Eugènie Gènin. L’autrice ha scelto questo nome d’arte per restare nel completo anonimato. Pseudonimo che dà adito ad alcuni spunti di riflessione: Eugènie è infatti il personaggio vittima delle capziosità sessuali vigenti nell’opera La filosofia del Boudoir del marchese De Sade. Non è una scelta da radical chic, perché a fianco di De Sade affiorano i toni scuri ma popolari dei Subsonica in un ratatouille di antico e moderno, passato presente, musica, letteratura, poesia che non creano contrasti stridenti, anzi.

La penna di Eugènie Gènin è sensuale: talvolta si denuda, altre invece s’increspa, lieve malinconica e misteriosa. La trama si dispiega come un foglio aperto avido di colori, profumi e bagni d’inchiostro. Doria è una ragazzina, ma delle ragazzine ha ben poco. Acerba ma curiosa, graziosamente legnosa ma solerte, la ragazzina sperimenta il piacere dell’autoerotismo nella bianca solitudine della propria camera da letto. E’ un viatico, un’iniziazione, o così pare al lettore, quella che Doria pratica con il suo adorato Stregatto, primo compagno di giochi sessuali. Un giorno, il gioco erotico però tocca corde ben più calde: accade alla presenza di chi, a pochi passi dalla sua stanza, dall’inizio alla fine sarà chiamato soltanto Il professore. Non sappiamo altro di lui, se non che ama le poesie di Artur Rimbaud e che introdurrà la ragazza, da cui, nonostante la virginea goffaggine, è rimasto folgorato. La classica incertezza data dall’adolescenza esploderà per manifestarsi come impudica consapevolezza femminile. Doria non è consapevole del fascino che esercita sul Professore dal quale resta subito ammaliata, sedotta, catturata. Il sesso tra i due è eccitante, doloroso, necessario apprendistato. La ragazza è un’allieva, ma quello che apprenderà non è solo legato alle pratiche sessuali, non così disinibite come si penserebbe, ma è la virtù di un erotismo consapevole, liberatorio e magmatico. Come una lava modellante si distende lungo le braccia di un vulcano acceso, l’eros toccherà Doria fino a renderla donna.

La storia non è figlia illegittima di un pornografico desiderio di dominio, pulsione che abita i prodotti editoriali di molti untorelli contemporanei, anzi. Si tratta piuttosto di un esempio di letteratura che sfata il mito della sessualità come vergognosa, violenta o immorale. L’eccitazione di una lettura incalzante e incantatrice non ce la si aspetta da un romanzo erotico di un’esordiente. La storia parrebbe semplice e banale, ma è proprio dall’essenzialità dell’intreccio che si evidenziano le caratteristiche dello stile di Gènin: quelle proprie di lirico, intenso dramma erotico. Le poesie che i due amanti recitano tra un amplesso e l’altro fanno da cornice all’inconscio e spiegano il punto in cui scatta il richiamo sessuale di Doria verso un uomo maturo, uomo che sarà presto al centro delle sue fantasie. La spinta all’eros è perciò ricondotta al motivo nascosto che suggerisce ad una donna di inoltrarsi, col corpo e con la mente, in un uomo.

Qual è l’origine della passione di Doria per il professor Montelli? La stimolazione intellettuale e l’eccitamento febbricitante che il prof. causa in lei. Egli riesce a vellicare ripetutamente le zone più intime della ragazza, e la conduce all’acme orgastico che copre l’intero suo essere: la sua pelle, il corpo, le viscere, e i pensieri come le parole: tutto ciò che il professore non vede di lei riesce a toccarlo, concedendole attimi di intensa interiorità. Come un punto G che ogni donna cerca con insistenza, Doria lo trova nella sua mente, in un groviglio di lunghe attese ed appaganti come i loro incontri, custoditi dagli estranei. Per due anni i due si incontrano, in una liguria fatta di fragranze e un mare di desideri, e il vulcano dei sensi esplode. Alla terza estate, quando la fanciulla ha compiuto 21 anni, dopo tre anni di mancate notizie dal Professore, la ragazza scompare, e al suo posto, fa trovare all’amante un plico di lettere in cui rivela la donna che oggi è divenuta, le esperienze con i coetanei, l’amore germogliato da un rapporto di -seppur tenera e tuttavia afasica- dipendenza psico-affettiva. Le lettere sono scritte, forse, con un intento a due voci: quella dell’addio si sovrappone alla speranza di destare uno sconquasso emotivo nel suo amante. Nell’uomo di cui, in tutta l’opera, non conosciamo passato, presente, neppure il suo nome di battesimo. Doria lo chiama Basilico, lo stesso balisico che la ragazza mastica durante l’intimità inebriando l’ambiente, l’amore e il suo amante.

 “Siamo i desideri che nascondiamo: pipistrelli appesi al soffitto di una grotta umida, che aspettano d’essere svegliati dallo strattone di un bagliore di luna”.

L’autrice colpisce, emoziona, alletta nel finale con sorpresa di chi legge, commuove e lascia in bocca l’amaro di un epilogo sospeso. Un romanzo come invito al coraggio di sperimentare le angolature del proprio corpo, e del contenuto emozionale che esso racchiude; un nettare sensuale e seduttivo, un piacere leggiadro e sussurrato, come una canzone all’orecchio dell’amato che si sfila una giacca e ci guarda estasiati, è impegnata a parlarci delle sue esperienze sessuali, del battesimo erotico con il suo maestro, ma mentre le elenca Doria (e forse Eugènie?) si innamora perdutamente.

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