“La Cailleach era lì, uno sguardo penetrante negli occhi […]. <<Non puoi fare molto, Gwalch, ma farai tutto ciò che è in tuo potere per questa terra, Dov’è la colpa, strega, dove?>> Il viso dell’anziana donna si fece severo. <<Non è mai colpa della madre terra, ma solo degli uomini>> Bruce la fissò negli occhi senza alcun timore. <<Perché continui a chiamarmi Gwalch? Mia madre mi chiamava così…Perché come il falco puoi volare alto, verso il sole… devi solo spiegare le ali e trovare la forza per farlo>>.
Il falco di Maggio di Elisabetta Bricca è l’ultimo romanzo storico (genere poco sfruttato in Italia) della scrittrice italiana autrice di romanzi come D’amore e di ventura, pubblicato da Mondadori nel 2010, e del racconto Parigi… encore arrivato tra i finalisti del concorso letterario, indetto da Il Messaggero, Donne che fanno testo.
Il falco di Maggio, edito da La Mela Avvelenata nel 2014, tratta la storia di Bruce Cavedish, marchese irlandese dal passato difficile, che nel 1846 eredita dal nonno fortuna e titolo nobiliare e si trasferisce nella residenza di Gwalchmai, dove aveva vissuto da bambino. Il suo comportamento fuori dagli schemi lo rende inviso alla nobiltà del luogo e lo fa avvicinare alla popolazione delle sue terre, colpite da una grave carestia. Bruce non è il classico gentiluomo snob abituato ai vezzi e alle comodità; ha ricevuto una severa educazione da parte del nonno materno, che preferiva i colpi di frusta ai rimproveri verbali, e ha perso i genitori da piccolo, evento che lo ha segnato e allontanato da tutti. Con la maggiore età arriva l’indipendenza: riesce finalmente a scappare dal giogo che lo teneva costretto a subire le decisioni del nonno, Lord Hamilton. Scappa dall’Irlanda e si trasferisce in Inghilterra dai parenti del padre. Ritorna in Irlanda soltanto per ereditare il titolo. Inizialmente la gente del luogo lo vede come l’ennesimo tiranno sfruttatore venuto a togliere loro quel poco che possiedono, ma ben presto si accorgeranno tutti del proprio errore di giudizio. Lord Cavedish, infatti, prova un grande attaccamento alla sua terra e lo dimostrerà diventando membro dell’alleanza feniana, in lotta per l’indipendenza dell’Irlanda dal giogo inglese.
La storyline di Bruce Cavedish si snoda di pari passo con quella di Lord Flannagan, che tenta di far incolpare Bruce di un complotto ordito ai danni della regina di cui in realtà è lui stesso il responsabile, in accordo con il viceré. L’odio nei confronti del marchese nasce a causa dell’opinione discordante sul futuro dell’Irlanda libera: Lord Flannagan desidera razziare i raccolti e lasciare morire di fame gli irlandesi, Lord Cavedish sogna per il suo popolo un futuro diverso. È così che la guaritrice del villaggio lo ribattezzerà Gwalch, falco, per portare nuova luce al suo Paese. Insieme al riscatto per Gwalchmai, Bruce riuscirà anche a conquistare il cuore della ribelle Fionnula O’Halloran, un personaggio lontano dallo stereotipo della bellezza femminile, povera e con le mani annerite dal lavoro nei campi.
Elisabetta Bricca porta su di sé un fardello pesante da sorreggere; cerca infatti di inserirsi in quel filone di romanzi stranieri che vede tra le sue collane nomi di autrici come Kathleen E. Woodiwiss, Lisa Kleypas e Mary Balogh, tradotte in tutto il mondo. Il risultato è un romanzo avvincente ma consumato troppo in fretta, e ancor più velocemente concluso. I protagonisti sono ben delineati, ma i personaggi secondari sono poco più che accennati e vengono lasciati irrisolti gran parte degli interrogativi posti. Ad esempio Lord Hamilton e la sua follia: da cosa nasce? Di quale disturbo soffriva il marchese e cosa lo ha indotto ad essere così violento con il nipote? Lord Flannagan e le sue ambizioni politiche, a cosa è dovuto un tale risentimento nei confronti di Lord Cavedish? I personaggi negativi, con la loro parte di oscurità, sono una grande risorsa per ogni autore e andrebbero sviluppati al pari dei protagonisti, perché limitarsi a bollarli come ‘cattivi’ è riduttivo e non riesce a dare un giusto prospetto sull’intera storia. La scrittrice romana subisce evidentemente il fascino della cultura celtica, già riportata in auge nella letteratura di stampo storico dalla saga di libri di Diana Gabaldon de La straniera, e la tratta con dovizia di particolari, soprattutto soffermandosi sulla condizione della donna a quel tempo, sulla povertà della popolazione, costretta sotto il giogo inglese, e sulla fierezza degli irlandesi, che discendono da una stirpe di guerrieri. Tale concetto è ben spiegato nel seguente passo del romanzo:
“Era qualcosa che aveva nel sangue, l’eredità di sua madre che tanto amava quella natura indomita, il ruggito dell’Atlantico, il vento che sussurrava tra i fiori vermigli dell’erica. Si sentiva libera, diceva lei, lì su quel picco a ridosso dell’Atlantico, mentre lo teneva, ancora bambino, sulle ginocchia e gli tempestava il viso di baci. ‘È il sangue dei Celti’, ripeteva accarezzandogli i capelli. ‘Forse, un giorno, dovrai lasciare il Donegall ma l’eco degli antichi, dei guerrieri, dei bardi ti riporterà alla terra cui appartieni”.