La schiava dei Tudor (Libromania, 2013) è il secondo romanzo della scrittrice casertana Isabella Izzo, ambientato nell’Inghilterra del 1500 durante l’epoca dei Tudor. I temi trattati sono principalmente la schiavitù, la sete di potere, le convenzioni sociali dell’epoca, l’amore spesso ostacolato, il dolore per la perdita delle persone a noi care. La protagonista del romanzo è Dayla, giovane schiava rapita da un paesino rurale africano per essere deportata insieme alla sua famiglia. La ragazzavedrà moriread uno ad uno, davanti ai suoi occhi, tutte le persone a cui vuole bene, uccise dalla disperazione e dalle mani insanguinate degli schiavisti.
Rimasta sola al mondo viene venduta a una ricca famiglia inglese, che la costringerà a subire quotidiani soprusi e violenze fisiche. Tuttavia la vera vita di Dayla comincia solo dopo essere arrivata al monastero di Whitby e aver incontrato padre Simeon, che ordirà un piano per liberarla dalla schiavitù organizzando la sua presunta morte. Da quel momento in poi Dayla scomparirà, per lasciare spazio a Jim, la sua nuova identità maschile. Per poter alloggiare al monastero, infatti, dovrà presentarsi come un ragazzo, e dati i suoi quattordici anni appena e i suoi lineamenti ancora androgini ci riuscirà senza destare grandi sospetti. Lì tra padre Simeon, padre Geremia e i suoi nuovi amici Masala, Cristof e Anna vivrà finalmente una vera e spensierata adolescenza, dopo aver patito numerose violenze e abusi nel suo passato ancora recente. Fra lei e Masala nascerà col tempo un’attrazione che andrà oltre l’amicizia, anche quando la vera identità di Dayla sarà ancora celata agli occhi di tutti. Solo dopo essere uscita allo scoperto la ragazza sarà libera di vivere il suo amore, andando incontro a mille ostacoli tra i quali le volontà di Lord De Wilton, padre di Masala, e del fratello maggiore Cristof, che voglionovederlo prendere i voti e trascorrere la vita dentro le mura di un monastero.
La schiava dei Tudor è un romanzo ricco di colpi di scena e di intrighi, sia di potere, orditi dal vescovo e da padre Dannis per destituire padre Simeon dalla sua carica, sia passionali, una donna infatti è nascosta nei sotterranei del monastero e nasconde un oscuro segreto. La parte migliore dell’intera trama sembra essere, più che la storia d’amore fra i protagonisti, trattata superficialmente e con scene troppo melense e poco realistiche: la tragica storia di Margaret, diventata pazza per la perdita di sua figlia e allontanatasi così anche dal suo grande amore. È ben architettato anche l’espediente della morte del cane Billo, appartenente alla famiglia di Masala, che cade da una rupe e si schianta contro gli scogli per essere poi risucchiato dal mare. La scena anticipa la fine tragica della protagonista, una tecnica che sembra mutuata da Anna Karenina, dove la morte di Anna viene predetta all’inizio del romanzo dal suicidio di un uomo lanciatosi sotto un treno. Isabella Izzo alterna momenti di lentezza, soprattutto nella prima parte, a scene di incredibile velocità. Si fa fatica, infatti, a tenere il filo degli ultimi capitoli e dei colpi di scena finali, che avvengono a distanza di una pagina l’uno dall’altro e che, naturalmente, non hanno il tempo di sedimentare nella mente del lettore e non vengono approfonditi con la dovuta maestria. Il romanzo sembra quindi molto approssimativo nel finale, come se l’autrice avesse avuto una gran fretta di concludere.
Un altro punto a sfavore deriva dal titolo, La schiava dei Tudor, appunto, che non riflette per nulla la natura del romanzo. Di Tudor c’è poco o niente, solo l’ambientazione e il periodo storico, ma il titolo suggeriva invece un legame più stretto fra la dinastia Tudor e la protagonista, un’illusione che lascia l’amaro in bocca dopo aver concluso il romanzo. A disturbare la lettura contribuiscono anche i numerosi errori ortografici e di sintassi come “non c’è la faccio più”, oppure “scommetto che neanche mio padre non lo sapeva!” (due negazioni all’interno della stessa frase affermano). La schiava dei Tudor appare quindi come un tentativo malriuscito di romanzo storico, se l’autrice avesse curato di più la stesura delle varie parti del libro avrebbe dato maggior risalto all’idea base della trama, che non era per nulla male, soprattutto il tema della schiavitù che all’inizio della lettura prometteva bene, e se avesse curato di più la forma (ovviamente il problema dell’editing non è da imputare solo a lei ma anche alla casa editrice <<Libromania>>) allora sarebbe venuto fuori un romanzo di spessore maggiore, ma così non è stato.