incanto

‘Le sorti dell’incanto’, il sublime della fatiscenza di Luca Crastolla

Luca Crastolla è tra le voci poetiche italiane più interessanti nel panorama letterario attuale. Il poeta pugliese è capace di trasformare le sue fisse, come le chiama lui stesso, in versi raffinati che vogliono essere di rottura dal punto di vista stilistico.
Ne Le sorti dell’incanto, raccolta poetica edita da Gattogrigio nel 2022, Crastolla consolida questa tendenza. Tanto più esatto è il vocabolo, tanto più frastagliata è la sintassi, in quanto la versificazione, nel poeta pugliese, mantiene la sua quota nella voce, parola da cui deriva “vocabolo”. Prima che quest’ultimo si riduca a lemma e a elemento codificale, rivendica il suo ruolo di urlo”.

Le sorti dell’incanto: contenuti e stile

Come scrive Giuseppe Cerbino nella postfazione al libro, prima che quest’ultimo si riduca a lemma e a elemento codificale, rivendica il suo ruolo di “urlo”. Questo singolare aspetto permette di riconoscere nella “voce” di Luca Crastolla una naturale “vocazione” non al racconto e alla didascalia (sempre evitata con accortezza da questo poeta) ma alla “denuncia” assimilando così la lezione di grandi poeti conterranei a Crastolla come Vittorio Bodini, Vittorio Pagano, Antonio Verri e in parte Salvatore Toma.
Da questo humus di premesse germina e si sviluppa questa interessantissima plaquette pubblicata per l’editore Gattogrigio, in cui il tentativo dell’urlo per diventare canto – vale a dire il tentativo di passare dal disagio al sublime della fatiscenza– fiorisce nell “incanto” di cui Luca Crastolla, tuttavia, cerca di descrivere le “sorti” e quindi il percorso.

Il Salento di Crastolla

In questa raccolta visionaria, Crastolla non si perde in orpelli, facili emulazioni e autocompiacimenti retorici, bensì il poeta rivendica il diritto all’essenzialità e alla scarnificazione dell’articolazione verbale.

Servendosi della scomposizione della sintassi, il poeta pugliese riesce ad illuminare la parola nella sua unicità di verbo, impresa che riesce a pochissimi poeti nostrani contemporanei. Crastolla ne approfitta per scrivere del suo Sud, avvolto in un’atmosfera magica e ieratica, dove però Cristo non è passato. Il sud di Crastolla è ben lontano dai luoghi comuni: la descrizione che ne fa l’autore ricorda alcuni passaggi in prosa di Grazia Deledda che ritrae la sua Sardegna.

Si avverte disagio verso la parola definitiva, la parola nel suo problematico sinonimo di termine. La parola, insomma, reca in sé un’idea di approssimazione, e l’approssimazione è garanzia di un discorso sempre aperto; tale concetto abbraccia anche l’incanto di cui parla il poeta, perché l’incanto ha bisogno di sospensione, di penombre non di luce accecante. Come ammette Crastolla stesso, a lui non riesce di rappresentare l’areale delle intensità fragili e degli accecamenti a cui fa riferimento Giuseppe Cerbino. In questa genesi paradossale, l’incanto rima con il tremendo, con ciò che fa tremare, con ciò che si manifesta senza perdere l’ultimo velo o il penultimo.

Cos’è l’incanto?

Se l’incanto rima con il tremendo, richiama il sublime kantiano (La notte è sublime, il giorno è bello) qui piegato alla constatazione delle umane caducità. Ma se tutto cade, l’intensità è la propensione dell’indole e, insieme, l’arnese della parola con cui si dà profondità al millimetro, con cui si sdolorano gli esiti della fuggevolezza. Da questo punto di vista l’intenzione di catturare ogni singola sfumatura del nostro animo, di un luogo, di un paesaggio, per poi consegnarle all’eternità e all’universalità, è simile a quella portata avanti da Dostojevskji, sebbene in modo molto più drammaticamente mistico.
Nella poesie di Crastolla si ritrovano la sintesi di paesaggi e di immagini e una dialettica umana che fa da ponte tra il mondo del ricordo e il mondo contemporaneo, tra un mondo che si palesa e uno che si nasconde. Una testimonianza è data dalle poesie L’appezzamento ha i confini sul pube e La stretta attigua che separa dall’isola, le quali mostrano come la poesia non sta solo nel testo, semmai nel suo agire rivelando l’inespresso e l’invisibile, dando forma alle visioni alle voci di Dio e dei nostri demoni.
Ne Le sorti dell’incanto, l’idea muta in corpo, ci apre un nuovo cammino, ignoto, affascinante, inquietante. Come Verri, anche Crastolla
lotta contro il provincialismo culturale, e ambisce a confrontarsi con la grande letteratura italiana e internazionale per riuscire a racchiudere il mondo dentro una raccolta poetica, dimostrando la potenza che possiede la scrittura di creare e ricreare, perché essa non simula la vita ma è la vita stessa.
Cosa incanta? Ciò che incanta è il senso di attesa che si può percepire da un volto, un sapore, un suono, un odore, un luogo che possono lasciare l’amaro in bocca, insieme ad un senso di infinitezza e desiderio di mistero. Mistero che abita le terre percorse dal poeta, il quale le presenta al lettore con piglio antropologico, sociale, musicale, etnologico. Trasuda fascino il Salento di Crastolla, caratterizzato dal simbolismo della taranta – il ragno che morde e avvelena – e dalla potenza estatica e della musica e della danza.
Rispetto a L’ignoranza della polvere, sua prima raccolta, Crastolla qui compie un passo ulteriore, rendendo la sua raccolta più unitaria e configurandola come un dialogo tra antichità e modernità: chiama a raccolta poeti e lettori per segnalare la situazione di pericolo in cui si trova l’essere umano quando è incapace di parlare, di essere nel mondo, quando si riduce alla nozione di essere, accettata dalla filosofia occidentale che identifica l’essere con l’oggettività, ovvero, alla maniera di Heidegger, con la semplice-presenza, e il poeta stesso quando smette di essere poeta e veste i panni dell’ideologo markettaro.
La poesia stessa è incanto perché, semplicemente, accade e non va accompagnata da didascalie e rivela l’identità dell’ essere umano che, in quanto ragionevole, si sottrae alla natura, e costituisce la “guida” della condotta umana.
Ritornando al sublime, Crastolla consente di andare ad arricchire il dialogo tra sublime e modernismo, e su tutti quei tratti del sublime tradizionale che sono inglobati nel modernismo, assumendo forme diverse, ma mantenendo un legame con il passato. Ed ecco che da questo punto di vista un dialogo con il passato è possibile. Nello specifico ciò è possibile grazie al valore conoscitivo dell’esperienza sublime, dell’aspetto retorico e dell’idea di irrappresentabilità.
Non a caso gli elementi del sublime modernista che presentano delle caratteristiche inedite rispetto alla tradizione sono l’immanenza, la riscoperta del mondo reale e la ri-semantizzazione e riscrittura, oltre che di affermazione della creazione letteraria come gesto sublime, caratteristiche, chi più, chi meno, presenti nell’opera di Crastolla.

L’autore

Luca Crastolla nasce nel 1974 a Fasano dove risiede. Laureato in Scienze dell’educazione, attualmente lavora come educatore psichiatrico. Nel 2018, per Controluna Edizioni Poesie, pubblica la sua prima silloge dal titolo “L’ignoranza della polvere”. Il suo nome compare nell’antologia “Paesaggi liberi” raccolta di poesie pubblicata nel 2018 a tema la violenza sulle donne, e nel 2019 nell’antologia “Nel corpo la voce” sempre per Controluna. Il libro scelto fa parte de “I Poeti“ una collana di poesia diretta ad Andrea Casoli per Gattogrigio Editore.

Pubblicato da

Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

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