Barbara Lezzi, quarantaseienne leccese, diplomata all’Istituto Tecnico “Grazia Deledda” della città barocca, impiegata, già senatrice del Movimento 5 Stelle nella XVII legislatura, vicepresidente per la commissione permanente di bilancio e membro della commissione permanente per le politiche europee, si appresta ad affrontare una delle sfide più cocenti della storia della Repubblica Italiana: Ministro del Sud nel Governo Conte, un consesso politico formato al 50% da pentastellati e al 50% dalla Lega Nord.
Barbara Lezzi ha il compito di svincolare il Meridione da una serie empia di stereotipi apparentemente anestetizzata. La storiografia nazionale ha dimostrato come il processo di annessione (intempestivo) del Regno delle due Sicilie alla Casa Sabauda abbia creato le basi di un dualismo economico in cui il Nord è ritenuto “norma di rendimento” e il Sud “anomalia di rendimento“, con una forbice sociale dilatata a favore del Settentrione. Fino al 1915 l’Italia non è mai stata Unità: Antonio Gramsci afferma come ci sia voluta la Prima Guerra Mondiale per amalgamare realmente il Paese, con scambi totali a livello linguistico e socio-culturale. Negli anni successivi il Sud è stato indebolito dalle battaglie economiche e belliche del regime fascista, per essere poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, a ogni piè sospinto verso uno sviluppo pilotato dagli States. Riforma Agraria e Cassa del Mezzogiorno furono le strategie degasperiane che portarono risultati altalenanti. Lo storico Salvatore Lupo chiarisce il dualismo di rendimento tra Nord e Sud attraverso il Pil pro-capite, eludendo le nubi di misticismo che da decenni avvolgono la Questione: «Quello dei meridionali tra il 1871 e il 2009, è cresciuto di dieci volte a fronte di una media italiana di tredici volte, e in età repubblicana è cresciuto di 6,4 volte a fronte di una media italiana del 5,6. Ciò significa che il Mezzogiorno, tra momenti di divergenza e convergenza con il Settentrione, ha partecipato del cento cinquantennale trend di sviluppo del paese nel suo complesso. […] Il Mezzogiorno va considerato, al pari di qualsiasi luogo di questo mondo, come un frammento della modernità».
Il Ministro Lezzi si ritroverà a maneggiare nodi magmatici per l’economia del Meridione: la Tap, l’affaire Xylella, il carbone a Cerano e il cancro Ilva. Questioni probanti all’interno della Questione meridionale, che confermano la debolezza politica di un vasto territorio: il popolo rifiuta l’installazione del tubone Tap a Melendugno – che porterà gas azzero in altri Paesi e nel nostro sarà solo di passaggio –, ma lo “deve” ingoiare amaramente, prendendo mazzate dinanzi al cantiere dorato. Il popolo rifiuta l’eradicazione degli ulivi infetti da Xylella, poiché convinto che questi si possano curare in loco. Il popolo muore per l’inquinamento portato dal carbone di Cerano e dagli acciai dell’Ilva e combatte silente tale condanna – perché diversamente migliaia di lavoratori vanno con il culo per terra –. Si ritrova tout court denudato di voce e dignità.
La Ministra dovrà affrontare anche un’altra piaga zampillante della sua terra: una disoccupazione che tallona il 20% e che nelle file dei giovani rischia di raddoppiare il proprio numero. Colpa anche di un fenomeno ritenuto “estinto o in forte decrescita” da molti luminari della società italiana, mentre in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia – con il foggiano in forte crescita – è una spada di Damocle perenne: la mafia. Lo storico Francesco Barbagallo ci chiarisce le idee in merito alla camaleontica problematica: «L’esclusione dei giovani dal lavoro e dal futuro in tutta Italia e specialmente nel Sud, che è un fenomeno diffuso anche in altri paesi europei, si accompagna da noi a un blocco totale della mobilità sociale. Il tramonto della politica nell’ultimo trentennio ha favorito in Italia il predominio totalizzante di una sorta di familismo dei clan, che impedisce l’affermazione delle qualità personali in qualsiasi ambito. La selezione in Italia, salvo rare eccezioni, non avviene per confronti di merito, ma per relazioni personali, familiari, di clan».
Edward Banfield sessant’anni fa sottolineava come il “familismo amorale” attanagliasse le mente dei meridionali. Oggi lo stesso sentimento si è trasformato in “familismo di clan“. Una proiezione filosofica che trova terreno fertile a causa della “disgregazione sociale” che affligge da più di un secolo il Sud, malcostume teorizzato splendidamente da Antonio Gramsci, profondo accusatore degli intellettuali meridionali, sempre pronti a valorizzare il proprio tornaconto – andando in braccio all’élite dominante – e mai a lottare per salvaguardare il bene comune.
I capitani della Lega Nord portano in saccoccia le tesi di un altro storico che ha messo bocca sulla Questione meridionale, Robert Putnam. Egli sostiene la dicotomia civic-uncivic: storicamente il Settentrione sarebbe intriso da un forte senso di civicness, grazie all’esperienza dei Comuni durante il Medioevo. Mentre, d’altro canto, il Meridione sarebbe un organismo sociale uncivic, per colpa del feudalesimo medievale e dell’autocrazia vissuta negli anni successivi.
Il “fondamentalismo politico” si può vincere, anche in Italia, con una granitica preparazione scientifica, umana e politica.
Ecco cosa chiede tutto il Sud a Barbara Lezzi: curare i mali che lo affliggono ed essere rispettato dai suoi “sputatori sadici” dell’ultimo trentennio. Per analizzare, criticare e migliorare il Sud, bisogna prima capirlo. Ad aiutarci a farlo è Carlo Levi, un vero intellettuale che fece fermare nella dissonante dolcezza di Eboli il vip dei vip, Gesù Cristo: «Le lotte e i contrasti qui sono cose vere, il pane che manca è un vero pane, la casa che manca è una vera casa, il dolore che nessuno intende un vero dolore. La tensione interna di questo mondo è la ragione della sua verità: in esso storia e mitologia, attualità e eternità sono coincidenti».