‘Suicide Squad’: terzo fallimento per la DC Comics

Suicide Squad (Warner Bros, 2016) è un film di David Ayer, terza pellicola sull’universo della DC Comics dopo L’uomo d’acciaio (2013) e Batman vs Superman- Dawn of Justice (2016), un filone che vuole ricalcare il modello della Marvel, senza però aver ottenuto ancora lo stesso successo.

Il cast di Suicide Squad è corale ed è uno dei punti di forza sul quale è stata basata la pubblicità antecedente all’uscita nelle sale del film, il 5 Agosto 2016: Will Smith, Jared Leto, Margot Robbie, Joel Kinnaman, Viola Davis, Jai Courtney, Jay Hernandez, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Ike Barinholtz, Scott Eastwood e Cara Delevingne. La trama è incentrata sulla formazione, da parte dell’agente governativo Amanda Waller, di una squadra speciale per combattere in azioni ad alto rischio, formata solo da pericolosi criminali: l’ex-psichiatra Harley Quinn, il cecchino assassino Deadshot, l’ex-gangster pirocinetico El Diablo, il ladro Capitan Boomerang, il mostruoso cannibale Killer Croc e il mercenario Slipknot. Se i criminali dovessero ribellarsi e provare a scappare verrebbero uccisi immediatamente da una micro bomba impiantata nel loro collo, qualora invece la missione andasse a buon fine otterrebbero uno sconto della pena di dieci anni. Quello che però Amanda Waller non ha tenuto in conto è che la strega chiamata ‘L’incantatrice’, un’altra delle possibili reclute della Suicide Squad, potesse ribellarsi decidendo di vendicarsi su tutta l’umanità.

Suicide Squad: alte aspettative e aspre critiche

Suicide Squad è stato un film molto atteso ma che purtroppo ha deluso le aspettative della critica, che lo ha recensito negativamente descrivendolo come il peggior film dell’estate, nonostante gli alti incassi ottenuti sin dal primo weekend di programmazione (380 milioni di dollari). Le maggiori critiche sono state rivolte alla trama, pressoché inesistente, al montaggio molto confuso e alla psicologia dei personaggi, parecchio incerta. Suicide Squad doveva essere un film cupo ma con un tocco di comicità, due elementi che non sono stati ben amalgamati all’interno della storia, rendendolo un film ricco di potenzialità non sfruttate: né davvero cupo, né davvero comico. Anche il punto forte della pubblicità che ha preceduto l’uscita nelle sale della pellicola, ovvero l’attesa performance di Jared Leto nei panni di Joker (che porta sulle spalle il peso del suo predecessore Heath Ledger nella trilogia di Christopher Nolan) risulta deludente, riducendosi a poche scene che nulla hanno a che fare con la trama generale del film. L’unica interpretazione degna di nota è quella di Margot Robbie nei panni di Harley Quinn, un mix di follia, comicità e assoluta devozione verso il suo compagno (Joker) che diverte e commuove al tempo stesso, elevandosi di una spanna al di sopra di tutti gli altri personaggi.  E anche della trama stessa del film, che si dimentica non appena finiti i titoli di coda.

Giochi Paralimpici Rio 2016: tutte le medaglie italiane

Ieri 18 settembre, all’ 1:00 ora locale sono stati celebrati gli ultimi istanti di questa edizione dei Giochi Paralimpici. Per l’ultima volta il Maracanà ha avuto l’occasione di farci immergere nel colorato e armonioso mondo carioca. Sono stati undici, i meravigliosi giorni, in cui abbiamo avuto la fortuna di ammirare un fantasmagorico spettacolo. Gli atleti con sudore, energia e una strepitosa forza d’animo si sono sfidati per vedere garrire il proprio vessillo sul podio.

Il paese che ha visto più volte issare la propria bandiera, è stata la Cina, che ha portato a casa 239 medaglie, posizionandosi prima nel medagliere. Dietro di lei la Gran Bretagna, L’Ucraina, gli USA, l’Austria, la Germania, i Paesi Bassi, il Brasile e l’Italia, che dopo 40 anni entra a far parte di nuovo delle migliori dieci posizionandosi al nono posto. A seguirla, la Polonia.

Giochi Paralimpici 2016: l’Italia fa il pieno di medaglie

Dopo un tiepido esordio è arrivato il trionfo dalla delegazione azzurra, che ha conquistato  39 encomi, mantenendo così la promessa di migliorare i risultati dei Giochi Paralimpici londinesi.

Il primo a dare inizio alle danze è stato Francesco Bettella che, insieme al compagno Federico Morlacchi, hanno decorato il medagliere. Successivamente Giovanni Achenza e Michele Ferrarin  fregiato il medagliere di un bronzo e di un argento, nel triathlon. La medaglia numero 4 è arrivata dalla nostra portabandiera, Martina Caironi, nel salto in lungo, che sale sul secondo gradino del podio, dopo aver eguagliato e superato il suo record personale. Un altro argento e due bronzi vengono raccolti nel nuoto, rispettivamente con Cecilia Camellini, Giulia Ghiretti e Vincenzo Boni. Federico Morlacchi ha ulteriormente impreziosito il medagliere, vincendo il primo Oro della sua Carriera, nei 200m misti. Giulia Ghiretti invece ha collezionato il suo secondo bronzo. Altri encomi sono arrivati nel nuoto, con l’ argento di Bettella e di Ajola Trimi, il bronzo di Ferem Morelli, l’oro di Francesco Bocciardo e del consacrato campione Morlacchi.

Trionfo nel ciclismo e medagliere sempre più ricco

L’altro sport che ha regalo più medaglie all’Italia è stato il ciclismo, capitanato dall’instancabile Alex Zanardi, che ha guadagnato un oro nel crono, un argento nella prova in linea della Handbike e un oro nella staffetta con Podestà-Mazzone. 3 medaglie d’oro sono arrivate da Vincenzo Podestà, Luca Mazzone e Paolo Cecchetto, 2 argenti  da Mazzone, 2 bronzi da Francesca Porcellato e uno da Giancarlo Masini, Fabio Anobile e Andrea Tarlao.

Il medagliere azzurro si è arricchito ulteriormente con l’Oro della giovane promessa della scherma Bebe Vio, e con il bronzo del fioretto femminile a squadre. Disco d’argento per Tapaia. Anche il tiro con l’arco ha centrato due medaglie, con Simonelli e la squadra Mijno-Airoldi. Oro anche per Assunta Legnante nel lancio del peso. Ancora due bronzi nel tennistavolo: uno vinto da Kalem singolarmente e l’altro conquistato in squadra con Rossi.

La raccolta di encomi ha continuato ad impreziosirsi grazie all’atletica, con un bronzo di Alvise de Vidi, un oro di Caironi e un argento di Contraffatto, che hanno chiuso il medagliere paralimpico. Un’altra pagina dello sport è stata scritta: questo evento sportivo si è trasformato in un grande investimento per il futuro, all’insegna dello slogan “YES I CAN”, rendendo l’impossibile, possibile.

I Giochi Paralimpici finiscono per rimanere: ci auguriamo infatti che l’imponente energia che si è sprigionata, possa trasmettersi a tutti e perdurare nel tempo senza dispersi mai, in attesa di potenziarsi a Tokyo 2020.

Addio a Carlo Azeglio Ciampi, Presidente sobrio e galantuomo

Si è spento oggi all’età di 95 anni a Roma l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi da tutti ricordato come il “presidente della sobrietà”. Nato a Livorno nel 1920, Ciampi si laurea a Pisa prima in lettere e successivamente in giurisprudenza. Ed è proprio all’università che conosce la moglie Franca Pilla a cui resta legato per ben 70 anni. Durante la sua vita ricopre incarichi molto importanti: è governatore della Banca d’Italia per 14 anni, dal ‘79-93, presidente del consiglio per circa un anno, dal ‘93-94, e infine il decimo presidente della Repubblica per ben due mandati, dal 1999 al 2006. Durante il suo mandato è stato tra i promotori dell’entrata dell’Italia nell’euro. Uno dei punti chiave del suo mandato è la sua lotta per l’identità nazionale, lo stesso infatti affermava con fierezza: “Io voglio fare il mio giro d’Italia” mantenendo la promessa di visitare tutti i comuni.

Ciampi: tra i Presidenti più amati della Repubblica italiana

Considerato non come un politico “puro”, ma come il “nonno d’Italia” per la sua inclinazione naturale nel lavorare e trattare con la gente, in poco tempo Carlo Azeglio Ciampi ha ottenuto un enorme consenso. Il presidente emerito della Repubblica ha tenuto l’ultimo discorso nella sua Livorno, un commiato per la sua città natale, risultando per la prima volta in pubblico visibilmente commosso. La politica non è mai stata di importanza vitale per Ciampi, tifoso scaramantico del Livorno, uomo schietto, lungimirante e mai presuntuoso, che succedette al Quirinale ad uno dei Presidenti meno amati, Oscar Luigi Scalfaro, il 18 maggio 1999, in un momento storico molto difficile per l’Italia, che usciva a pezzi dalle vicende di Tangentopoli ed era ad un passo dal tracollo finanziario.

Gran parte dei rappresentanti dello Stato e del governo hanno espresso il loro grande dispiacere come si è appreso dalla tv e dai social: l’attuale presidente Mattarella ha mostrato tutta la sua stima nei confronti dell’uomo che prima ricopriva il suo stesso ruolo dichiarando: “Gli italiani non dimenticheranno mai il presidente Ciampi”; un grande italiano, grazie a lui a testa alta in Europa”. Non è mancato il pensiero del premier Renzi che lo ha descritto come “un uomo delle istituzioni che ha servito l’Italia con passione. Anche Papa Francesco ha espresso il proprio rammarico in un messaggio alla vedova ricordandolo con le seguenti parole: “Carlo Azeglio Ciampi ricoprì le pubbliche responsabilità con signorile discrezione e forte senso dello Stato”. I funerali di Carlo Azeglio Ciampi per volere della famiglia, si svolgeranno in forma privata lunedì 19 settembre a Roma.

Carlo Azeglio Ciampi è stato senza dubbio uno dei più grandi e amati Presidenti che abbia avuto l’Italia nella sua storia repubblicana: un uomo onesto, sobrio, competente, testimone di un’Europa mai nata. Rese possibile l’ingresso nell’Euro, convinto di fare gli interessi dell’Italia, ma purtroppo i fatti non gli hanno dato ragione. Tuttavia è ancora presto per poterne dare un giudizio storico.

‘L’estate addosso’, il banale teen road movie di Gabriele Muccino

Lo scorso 14 settembre nei cinema italiani è uscito L’estate addosso, la nuova commedia scritta e diretta dal regista Gabriele Muccino, così sostenendo Cinema2day, iniziativa ideata dal Ministero dei Beni culturali, con l’obiettivo di «riavvicinare le persone alla magia delle sale», offrendo la visione su grande schermo con il biglietto a 2 euro ogni secondo mercoledì del mese.

Dopo diversi lavori cinematografici comprensivi dei due ultimi flop Quello che so sull’amore e Padri e figlie, Muccino ha sentito il bisogno di un film «piccolo e leggero», come lui stesso ha dichiarato, e, non a caso, l’estate diventa la cornice ideale del racconto del suo lavoro ispirato alla vita reale. L’estate addosso, il cui titolo è tratto dall’omonima canzone di Jovanotti, è un film che ha il sapore di eternità di certe vacanze estive giovanili e, non a caso, il regista si è servito di un cast di giovani promesse ma di talento: Brando Pacitto, Matilda Lutz, Taylor Frey e Joseph Haro. In relazione ai suoi precedenti films, quasi tutti stranieri, anche quest’ultimo, che rappresenta il decimo della carriera del regista, non si distacca da uno stile tutto “mucciniano”: protagonisti che non sanno bene chi sono, dove vanno e cosa vogliono dalla vita, ci sono le inquadrature dall’alto, i dialoghi gridati, la rabbia e l’euforia, le panoramiche a 360°.

L’estate addosso racconta ancora una volta e banalmente, di quattro adolescenti e di un viaggio dopo la maturità. Il protagonista è Marco (interpretato da Pacitto), un ragazzo romano che ha appena finito il liceo e che si pone tante domande sul proprio futuro, ma a seguito di un incidente con lo scooter ottiene dall’assicurazione una somma di denaro che gli consentirà di fare un viaggio estivo a San Francisco, in California. Il diciottenne non sarà solo, a sua insaputa, anche Maria (Lutz), la sua compagna di scuola e con cui non va molto d’accordo poiché la considera “bigotta” e noiosa, partirà con lui e, insieme, saranno ospiti di una coppia gay. L’estate addosso parla anche di omosessualità e di come possa essere difficile, soprattutto da ragazzi, comunicare a se stessi e agli altri il proprio orientamento. Ognuno dei protagonisti vivrà un amore non corrisposto. Sarà l’onda dell’ebbrezza della libertà e delle emozioni estive esagerate vissute dai due giovani protagonisti ad inseguire tutte le scene in modo non organico. Una estate che sembra non finire ma che lascia i segni indelebili in un gruppo di giovani adolescenti che, tra una realtà di sogni, di domande esistenziali, riscoprono loro stessi attraverso un viaggio, segnando il passaggio dall’adolescenza verso la vita adulta. Gabriele Muccino non riesce proprio ad abbandonare luoghi comuni e vecchi cliché sull’adolescenza, puntando su noiosi monologhi esistenziali senza mai provare a scavare nella psicologia dei personaggi come ad esempio ha fatto in maniera esemplare un altro film recente che racconta con poesia e profondità l’adolescenza: Noi siamo infinito (2013) di Chbosky.

L’estate addosso è un teen road movie che presenta molti buchi narrativi e dove il tempo sembra essere sospeso, dal ritmo agile, la cui regia è innamorata dei personaggi che si setono invincbili e in diritto di compiere qualsasi stupidaggine in virtù della loro giovinezza, e dei luoghi che ritrae, da New Orleans a Cuba, lasciando addosso allo spettatore un senso di nostalgia.

Venezia 2016, vince ‘The woman who left’ di Lav Diaz

Cala il sipario su Venezia 2016, che ha visto la vittoria del prolisso film filippino The woman who left di Lav Diaz, film meno comtemplativo rispetto ai precedenti di Diaz, ma che si avvale di una narrazione più netta di tendenza documentaristica, per raccontare una dramma di fede, perdono, vendetta e redenzione, e per dirci ancora una volta che la “vita è un processo di continuo confronto con il dolore”. La storia è quella di Horacia, una donna che ha trascorso gli ultimi trent’anni in galera per un crimine non commesso. Ma nel 1997 il vero assassino esce allo scoperto e confessa; si scopre allora che Horacia fu incastrata dal suo ex-ragazzo. Tuttavia la donna non si è trovata male in carcere: tutti le hanno voluto bene poiché ha sempre aiutato tutti incondizionatamente. Anche una come lei, però, fa fatica a reggere il peso del male ricevuto ed ecco che da sorpresa qual è nel ritrovarsi fuori, diventa vendicativa e comincia il suo viaggio alla ricerca dell’uomo che le ha rubato trent’anni di vita.

“Dedico questo film al popolo filippino e alla sua lotta quotidiana. Il mio è un cinema libero, non mi faccio limitare da confini temporali. La cultura filippina è altamente disfunzionale, per questo nei miei lavori mostro il senso di spaesamento del mio popolo”, ha affermato Lav Diaz dopo aver ricevuto l’ambito premio per la sua ultima fatica, la quale, rispetto ad alcune sue precedenti (Century of birthing su tutte), non è di certo la più riuscita.

Venezia 2016: tutti i premi e il fallimento dei film italiani

Venezia 2016, giunta alla sua 73esima edizione, si è aperta con un musical La La Land, di Damien Chazelle, con Emma Stone, che si è aggiudicata la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile e Ryan Gosling e chiusa con un western, The Magnificent Seven, di Antoine Fuqua con Denzel Whashington, Chris Patt e Ethan Hawke, passando per i grandi nomi della cinematografia mondiale: da Wim Wenders con Les beaux jours d’Aranjuex che tratta di amore e libertà, a Pablo Larrain con il biopic Jackie, cui è andato il premio per la miglior sceneggiatura, in cui Natalie Portman veste gli abiti da vedova di Jacqueline Kennedy, a Terrence Malick   con Voyage of time, documentario sul senso della vita, con la voce narrante di Cate Blanchett, fino a Emir Kusturica con il frenetico On the Milky Road (con una Monica Bellucci che scopriamo saper recitare meglio in serbo che in italiano) e ad Andrei Konchalovsky con Rai (Paradise), cui è andato il Leone d’argento per la miglior regia, ex aequo con Untamed di Amat Escalante e François Ozon con il film in costume Frantz.

Il Gran Premio della Giuria di Veneza 2016 è andato a Tom Ford con il suo thriller Nocturnal Animals mentre l’universo distopico di The Bad Batch di Ana Lily Amirpour si è aggudicato il Premio Speciale della Giuria. Miglior attore è risultato l’argentino Oscar Martinez, protagonista del racconto di El Ciudadano, straordinario nella sua interpretazione di un premio Nobel per la letteratura che decide di tornare nella sua piccola cittadina natia. Il Premio Mastroianni per il miglior attore/attrice emergente è andato alla tedesca Paula Beer, protagonista di Frantz; mentre il premio Luigi De Laurentiis alla miglior opera prima a The last of us, di Ala Eddine Slim. Sono rimasti a mani vuoti i film italiani: Spira Mirabilis (probabilmente unica pellicola tra le italiane degna di figurare al Festival), Piuma e Questi giorni; come i favoriti alla vigilia: Une Vie di Stephan Brizé e Arrival di Denis Villeneuve. L’Italia si  si è dovuta accontentare della vittoria come miglior film nella sezione Orizzonti andata al documentario antropologico Liberami, di Federica di Giacomo, che racconta della pratica degli esorcismi da parte di Padre Cataldo, tra i sacerdoti più richiesti in Sicilia.

L’impressione che si è avuto di Venezia 2016 è che è stato un Festival, la cui giuria, presieduta da Sam Mendes, ha voluto premiare al contempo arte e industria, cercando di non scontentare nessuno. La débacle della rappresentativa italiana dovrebbe indurre a riflettere sulle problematiche relative alla nostra produzione.

 

Giochi Paralimpici, al via la XV edizione

Rio de Janeiro 2016: la festa continua. Alle 22:00 ore locali un gremito Maracanà riaccenderà le luci per l’inaugurazione della XV edizione dei Giochi Paralimpici. Saranno 4300 i candidati che tenteranno di scrivere un altro pezzo di storia, nei medesimi impianti, dove hanno avuto luogo le Olimpiadi. 161 paesi si confronteranno in 23 discipline.Grande assente sarà la Russia che è stata esonerata dalla competizione sportiva per il doping. 101 sono gli atleti italiani che lotteranno per portare in alto il tricolore. La “carica 101”, denominata così per l’occasione,sarà capeggiata  da Martina Caironi, la nostra portabandiera. La campionessa mondiale ed europea nei 100m t42, cercherà di replicare a Rio l’oro conquistato a Londra.

L’Italia a caccia di medaglie

Il Presidente del Cip (Comitato italiano paralimpico), Luca Pancalli  dice di voler fare meglio di Londra, “rompendo gli argini in modo che, lo tsunami paralimpico possa invadere il territorio italiano”.

Molti infatti, sono i protagonisti che intendono centrare l’obiettivo medaglie: Alex Zanardi, vuole  arricchire il suo medagliere nel handbike. Agli antipodi, la giovanissima fiorettista Beatrice Maria Vio, che punta ad impreziosire ancor di più un palmares di titoli

Grandi  aspettative si hanno per la celeberrima Giusi Versace, per Assunta Legnante nel lancio del peso, per Eleonora Sarti  nel tiro con l’arco, per il nuotatore Federico Morlacchi e per Ferdinando Acerbi nell’equitazione. Questi sono solo alcuni dei atleti, ma in realtà tutti meriterebbero un encomio.

Giochi Paralimpici: uno spettacolo di sport e di vita

Quello che vedremo in questi giorni, non sarà solo uno spettacolo sportivo: non ci troveremo di fronte soltanto a 4300 atleti, ma a delle stelle. Astri che brillano nel firmamento più bello e più imprevedibile, quello della vita. Oriana Fallaci diceva “chi ama la vita, non riesce ad adeguarsi, subire, farsi comandare“. Questo è ciò che hanno fatto questi “Indomiti”: si sono messi in gioco con caparbietà, hanno comandato, perchè amano la vita, hanno lottato e hanno fatto dello sport un nuovo progetto di vita.

Tra gli atleti paralimpici ci sono molte storie incredibili di persone che hanno cercato di concentrarsi su ciò che hanno, sul loro talento, piuttosto che su ciò che hanno perso e piangersi addosso.
Riuscire a partecipare alle Paralimpiadi è un grandissimo risultato per questi atleti ma in futuro si auspica che gareggino nello stesso periodo degli atleti normodotati, ovviamente separatamente. E si sa, purtroppo, che per realizzare questo è indispensabibile che, gli sponsor mettano soldi per dare il giusto spazio e far conoscere questi meravigliosi atleti a tutti, piuttosto che circoscriverli ad un evento discriminatorio.

 

 

 

Napoli: ‘le stazioni d’arte’ di Francesco Ferone

Napoli, tra le città più belle e probabilmente tra le più afflitte da stupidi stereotipi al mondo, è l’oggetto della arte del talentuoso fotografo Francesco Ferone, che con il suo lavoro sulle stazioni d’arte partenopee, mette in evidenza l’interazione che si crea tra i viaggiatori delle metropolitane e le rappresentazioni artistiche al loro interno, mostrando come questo rapporto contribuisca ad aggiungere valore alle opere stesse, creando qualcosa di unico.

Il giovane Francesco Ferone si rivolge principalmente a quanti capita quotidianamente di usare mezzi di trasporto quali le metropolitane che in una città caotica come Napoli, si rivelano spesso la scelta migliore; e ci invita a scrutare, abbandonando la fretta l’immenso patrimonio artistico che è nascosto in quei luoghi che tutti i giorni percorriamo. Ferone ci offre una città dinamica, che è sempre altro rispetto agli insopportabili luoghi comuni, una metropoli i cui abitanti, come diceva Pasolini, “sono una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg e i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso –in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte –di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia o altrimenti la modernità. È un rifiuto sorto dal cuore della collettività contro cui non c’è niente da fare”. L’artista napoletano inoltre, non ci risparmia l’aspetto umano, interiore, invitandoci a guadare dentro noi stessi, a metterci a nudo, a scattare una foto della nostra anima, per poi analizzarla.

Di seguito le fotografie rappresentative del progetto di Francesco Ferone:

“Doppio”

 

In questo scatto assistiamo alla ripetizione del pattern scelto dall’artista che va a richiamare lo sdoppiamento delle figure che scendendo le scale ed i loro riflessi creano appunto un ‘doppio’.

“Doppio 2”

Sempre nella stazione Università come la prima Fotografia, il tema e il concetto sono gli stessi, soltanto la doppia visione è qui legata alla singola figura in movimento che riflette sulla parete, stile che si avvicina alla visione ‘futurista’ della metro.

“Una separazione”

Quest’opera è presente nella stazione Toledo di Napoli e si intitola : Il teatro è vita. La vita è teatro (nome abbreviato). Si tratta di installazioni fotografiche scelte dall’artista Shirin Neshat, mentre gli scatti sono di Luciano Romano, le tematiche spaziano dal sentimento della perdita  e la separazione e la finzione tra teatro e vita. L’uomo ritratto stabilisce un rapporto di ‘separazione’ con la donna ritratta, dove la perdita materiale della propria testa, la parte del corpo deputata ai sentimenti, nella quale insiti, contrastano l’irrazionalità e la razionalità, simboleggia proprio questo. Il volto della donna avvolto dalla disperazione,crea un’ingombrante presenza all’interno dell’immagine diventando soggetto della Foto e in un certo senso volto dell’uomo. Si mescola in questo scenario il rapporto tra realtà e fantasia: le persone ritratte sui fondali sono attori,un po’ come l’uomo di passaggio che in un giorno della sua vita ha deciso di recitare il suo atto nel teatro di questa città.

Una separazione è il titolo dell’opera non soltanto per il contenuto dell’immagine ma è anche un omaggio alla cultura Iraniana, nazione d’origine dell’artista attraverso l’ammiccamento al film ‘Una separazione’ di Asghar Farhadi, che per altro tratta tematiche correlate.

“Bruciate dal fuoco”

In questo scatto la statua in basso è un omaggio alle donne della resistenza, sotto (anche se non si vede) è presente la frase palindroma ‘In girum imus nocte et consumimur igni’; è un’omaggio all’instancabile e ancestrale figura della donna e alla sua centralità nella società, intesta come madre, archetipo di ogni epoca, che le rende per l’appunto ‘bruciate’ dal fuoco della passione e della vita.

“Passaggio”

Il tema di questa fotografia (stazione Dante) è la metafora del Viaggio, inteso come quello fisico, terreno che si va ad intrecciare con quello del pendolare, i colori forti del bambino contrastano con quelli dell’opera di Kounellis, invecchiati; la volatilità della vita: Nascita e morte, giovinezza e vecchiaia.

“Sguardi 2”

Quest’opera è presente nella stazione di Rione Alto, ed ha come tematica la stessa della prima serie (Sguardi 1): l’invito a guardarsi dentro, anche attraverso gli altri, soltanto qua l’uomo è più attento a quello che gli succede intorno, “Conosci te stesso”.

“Sequenza”

Questa istallazione è situazione all’interno della stazione Vanvitelli, rappresenta la serie di Fibonacci, la successione numerica per cui ogni cifra è la somma delle due precedenti è per l’artista la sintesi dei processi di crescita organica del mondo e le figure in movimento richiamano la successione numerica, che insieme  determinano una crescita, in una visione comunitaria.

 

 

 

Addio a Gene Wilder, indimenticabile Dott. Frankestein

Si è spento il 29 agosto scorso, dopo una lunga malattia, all’età di 83 anni l’attore statunitense Gene Wilder famoso per i suoi ruoli del dottor Frankestein o “Frankestin” (così viene pronunciato da Igor il suo servo fedele) nel film Frankenstein Junior (1974) in cui interpretava l’omonimo scienziato, e per la sua fantastica interpretazione stralunata e e bizzarra di Willy Wonka proprietario della famosissima fabbrica di cioccolato (2005), che tutti i bambini volevano visitare. Con la sua simpatia, allegria e spontaneità, Gene Wilder ha segnato l’infanzia di molti perché diciamocelo, chi non sognava di vincere il biglietto d’oro per incontrarlo. Sconfitto forse un po’ troppo presto dall’alzheimer, un nemico con cui combatteva da tempo e che alla fine ha vinto portando via uno dei volti più noti del cinema degli anni 70 e con lui un pezzo della nostra spensieratezza da bambini. Ma come cita un detto antico “i migliori sono i primi ad andarsene”quindi non ci resta che dire addio ad una grande icona, che rimarrà sempre nei nostri cuori.

Jerry Silberman, questo era in realtà il suo nome, figlio di un immigrato russo, nato a Milwaukee, nel Wisconsin nel 1935, è stato non solo l’interprete principale di quel capolavoro assoluto di comicità Frankenstein Junior, pellicola cult del 1974 firmata da Mel Brooks, sebbene fosse di Wilder l’idea originaria nonché la prima stesura della sceneggiatura; Mel Brooks già vincitore di un Oscar per la sceneggiatura dell’esilarante satira del mondo teatrale Per favore, non toccate le vecchiette del 1968. Una trama geniale, un cast eccezionale (che ci regala, tra gli altri, un Marty Feldman nel ruolo di Igor, da antologia), una colonna sonora perfetta: Frankenstein Junior, parodia del classico di Mary Shelley conta su una trama geniale, un cast fantastico, una colonna sonora perfetta e battute memorabili, diventati veri e propri tormentoni: “Si può fare!!!”; “Lupu ulula. Lupululà? Là! Cosa? Lupu ululà e castello ululì! Ma come diavolo parli? È lei che ha cominciato. No, non è vero! Non insisto. È lei il padrone”; “Che lavoro schifoso! Potrebbe essere peggio. E come? Potrebbe piovere (scoppia il diluvio)”; “Igor cosa ci fai tu qui? Ho sentito dei rumori sospetti e sono sceso giù con il monta vivande, ho fatto un colpo gobbo”; “Rimetta a posto la candela”, “Frau Blücher”.

Dall’irresistibile sguardo dolce e vispo, Gene Wilder è stato tecnicamente molto abile nel mantenersi sempre lo stesso pur nella diversità, lasciandoci performances divenute celebri in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso… di Woody Allen, Mezzogiorno e mezzo di fuoco, Vagon litz con omicidi, Il gioco del giovedì, Il fratello più furbo di Scherlock Holmes, La signora in rosso, Non guardarmi, non ti sento, Scusi dov’è il West? Nel dirigere, oltre che ad interpretare i suoi film, Wilder, l’attore-feticcio di Mel Brooks, è sempre riuscito, con la sua tenerezza e malinconia, a conferire al nonsense e allo humour una profondità alquanto complessa.

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