Tellurica- Pino Genovese e Alberto Timossi in mostra alla Galleria d’Arte Moderna dal 14 luglio

Da venerdì 14 luglio fino a domenica 15 ottobre, la Galleria d’Arte Moderna di Roma ospita Tellurica, mostra di Pino Genovese e Alberto Timossi. Il progetto presenta al pubblico due opere ambientali inedite, realizzate in coppia da entrambi gli artisti ed esposte insieme a un gruppo di fotografie che testimoniano momenti di cooperazione tra Genovese e Timossi, i quali, in questa circostanza, uniscono le caratteristiche dei rispettivi linguaggi.

L’esposizione si articola su tre diversi ambienti della Galleria d’Arte Moderna, andando dall’esterno all’interno. Ad aprire il percorso di visita, l’ingresso di via Crispi vede la collocazione della scultura Innesto, per poi passare alla serie fotografica visibile nel chiostro delle sculture che anticipa il chiostro-giardino, a sua volta luogo d’intervento per l’installazione Tellurica, da cui proviene il titolo del progetto. Tanto le fotografie quanto i due lavori ambientali consentono di osservare le possibilità di dialogo tra le materie distintive del lessico dei due artisti, ossia legno di recupero (Genovese) e PVC (Timossi), configurate giungendo a un suggestivo livello di uniformità che, al contempo, qualifica le soggettività.

La mostra raccorda le ricerche dei due autori a partire dalla predisposizione comune a operare nello spazio aperto, con interventi su scala ambientale. Sulla base di questa attitudine condivisa, Genovese e Timossi, per Tellurica, hanno eseguito due opere ex novo, nate dal connubio tra i loro alfabeti e ideate per conversare con il contesto che le accoglie. Nei lavori, la forza primigenia della natura si compenetra con le proprietà dell’artificio umano, modulandosi reciprocamente e in risposta all’architettura circostante. Ne deriva un’estetica composita, che rinnova aspetti disciplinari legati all’essenza stessa della scultura e alla sua declinazione in chiave installativa, riunendo dimensione arcaica e artefatto industriale, materia geofisica e materiale sintetico, modello naturale e antropizzazione.

 La mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura. A cura di Davide Silvioli.

 

 

Pino Genovese (Roma, 1953). Figlio d’arte, suo padre, lo scultore Rocco Genovese, lo segue nei primi insegnamenti del disegno e lo coinvolge nella fotografia di sue opere. Si diploma in design all’Istituto ISIA di Roma. Lavora nello studio di Lavinio, a contatto con la natura e il mare; suoi riferimenti e fonti di ispirazione. Dopo un periodo dedicato alla scultura, senza mai tralasciare il disegno, comincia a sperimentare l’installazione. La sensibilità verso la natura lo induce a creare opere che ne restituiscono una visione arcaica, ricorrendo a materiale recuperato in spiagge e nel sottobosco.

Ha esposto al Centro Luigi Di Sarro di Roma, al Museo Nitsch di Napoli, all’Area Archeologica di Satricum di Le Ferrerie (LT), all’Accademia Belgica di Roma. Suoi interventi ambientali sono in permanenza presso il Museo di Arte nella Natura di Opera Bosco, il Parco Internazionale di Scultura Contemporanea Sculture in Campo, il Parco Allestimenti di Arte Contemporanea Terra Arte.

Alberto Timossi (Napoli, 1965). Si è formato tra Genova e Carrara, dove ha frequentato la Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti. Lavora nel suo studio di Roma, dove, da qualche anno, conduce una personale ricerca sull’arte ambientale, realizzando installazioni scultoree con l’uso di materiali derivanti dall’edilizia. Dopo aver confrontato il proprio lavoro in vari contesti urbani, l’attenzione verso l’ambiente naturale, che si modifica in risposta ai processi di antropizzazione, costituisce il centro della sua pratica recente.

Ha esposto al Pastificio Cerere di Roma, alla Collezione Manzù di Ardea, al MUSMA di Matera, al Palazzo dei Consoli di Gubbio, alla Fondazione Orestiadi di Gibellina. Suoi interventi ambientali sono stati realizzati presso le cave Michelangelo di Carrara, il laghetto del Col d’Olen in Valle d’Aosta, il ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso, l’area sacra del Kothon sull’isoletta di Mozia.

‘’L’umana fragilità’’, l’analisi storico-artistica della morte nel saggio di Francesca Callipari

La morte nella sua accezione dovuta al pensiero comune è sempre stata interpretata come la fine di tutto; eppure, nella visione del mondo moderno, il tema della morte in sé sembra sempre più spesso relegarsi a spazi circoscritti: ospedali, case di cura, luoghi di sofferenza. Il  libro di Francesca Callipari, L’umana fragilità, concilia attraverso l’arte il rapporto fra uomo e morte: l’analisi artistica e socio-antropologica degli uomini con il trapasso approfondisce, oltre l’aspetto artistico legato alle grandi opere della Storia dell’Arte, anche un assetto filosofico spesso arginato per timore. Morire fa paura, così come intimorisce la perdita di qualcuno di caro; l’ignoto, il non avere risposte su cosa ci sarà dopo è,  probabilmente, la linfa che alimenta questi timori reconditi.

Ma come la stessa autrice sottolinea nel libro  riguardo al sonno eterno:

 ‘’È  la più autentica protagonista del vivere, accomunando nella stessa identica sorte ogni essere umano’’.

Se la storia di ogni uomo è diversa quello che è certo è che il finale sarà il medesimo,  per tutti. L’autrice, attraverso l’analisi storico artistica, presenta al lettore un’esperienza di riflessione che, a tratti, si potrebbe definire trascendentale: la vera felicità è da ricercarsi non sulla terra ma in un’altra dimensione, in quanto gli uomini vivono sulla terra ma non le appartengono. Un promemoria antico, che già appare nel Vangelo di Giovanni (Gv 17) come la stessa Callipari non manca di ricordare:

 “Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo’’.

La caducità dell’esistenza è argomento di disquisizione e riflessione già dall’antica Grecia, basti pensare al poeta elegiaco Mimnermo.  I temi dei suoi scritti si ispirano alla giovinezza e,  in particolar modo,  alla paura della vecchiaia e della fine come conseguenza. Il componimento ‘’Come foglie’’  ne è una conferma: le foglie diventano analogia dell’esistenza umana che  ben attesta l’arcaico e atavico timore che ogni uomo, fin dalla notte dei tempi,  custodisce nei meandri delle proprie angosce:

‘’[…]Ma le nere dèe ci stanno a fianco,

l’una con il segno della grave vecchiaia

e l’altra della morte. Fulmineo

precipita il frutto di giovinezza,

come la luce d’un giorno sulla terra.

E quando il suo tempo è dileguato

è meglio la morte che la vita’’.

 

 L’eterna lotta fra l’uomo e il suo destino imprescindibile

L’autrice Francesca Callipari, storico e critico d’arte, si sofferma proprio sull’arcaica lotta dell’uomo contro il suo destino mortale e inevitabile. La mitologia greca, in questo senso, dona diversi spunti sulle innumerevoli strategie ricercate da eroi e uomini  nell’intento di escogitare piani e tattiche  per sfuggire alla ‘’Nera Signora’’: la ninfa nereide Teti che immerge Achille nel fiume Stige per renderlo immortale, inutilmente come poi si appurerà, è simbolo della continua lotta umana per sfuggire al destino ineluttabile che investe ogni uomo; oltre che emblema chiarissimo dell’imprescindibilità di un fato che accomuna ogni essere umano. E proprio partendo da questo assunto che l’autrice dà al lettore una nuova visione, stoica ma realista: si è di passaggio, il tempo è probabilmente poco quindi tanto vale adornarlo di bellezza senza sprecarlo.

Francesca Callipari si sofferma su due periodi storici molto importanti: il Seicento e il Settecento e proprio partendo dal fato mortale, finale della storia di ognuno,  pone una riflessione sulla vita esortando a viverla pienamente, contraddizioni comprese. Le opere analizzate dall’autrice risalgono, maggiormente, al  XVII e al XVIII secolo, non perché la tematica della morte abbia un’etichetta storica fissa, semplicemente perché è proprio in questo periodo che il senso di angoscia legato alla dipartita prevale sull’arte.

Il viaggio, che connette l’angoscia esistenziale legata all’aspetto lugubre e comunemente diffuso della morte, si sofferma su dipinti, monumenti funebri, ma anche sculture che ben confermano dubbi, timori, sensazioni di precarietà esistenziale condivise in ogni tempo. Ma non solo: L’umana fragilità non è un semplice libro descrittivo ma la peculiarità del testo si riscontra soprattutto nel tentativo, ben riuscito, dell’autrice di spiegare con estrema maestria l’interesse per il macabro, i messaggi dietro le composizioni e i motivi del perché un qualcosa che fa tanto paura sia comunque argomento preponderante di cui si cercano informazioni, indipendentemente dal periodo storico. I primi due capitoli sono dedicati alla concezione della morte partendo dalla storia antica: il ruolo del trapasso  nell’antica Roma e la scissione fra morte del corpo e dell’anima fino a giungere  all’ossessione della società del Seicento che costruisce e basa la vita in virtù della fine.

‘’Verosimilmente, potremmo affermare che proprio a partire dalla seconda metà del XVII secolo si pongano, in qualche modo, le basi del pensiero moderno sulla morte. Il mutamento socio – culturale sarà ancor più evidente nel XVIII secolo, periodo caratterizzato dall’esplorazione dell’uomo per il proprio “io” e dal concetto della “morte dell’altro”.

In seguito, il culto dei morti e dei cimiteri come luogo di riposo e di tacita custodia della dipartita si andrà ad accentuare proprio nel Settecento.

 

La morte attraverso l’arte, il Seicento e il Settecento: monumenti funebri e dipinti

Nei successivi capitoli l’autrice trasporta il lettore in un viaggio fra l’onirico, l’arte e la realtà dove tempo e memento mori si incontrano in modo tangibile, raffigurati in tutta la loro concretezza in monumenti funebri, incisioni ma, anche, dipinti. Il macabro si interseca alla ‘’poetica dello stupore tipica del Barocco’’ come  l’autrice delinea, così come i tipici oggetti che ricordano il momento de trapasso ( il teschio alato, simbolo artistico per eccellenza di questo periodo) si inseriscono anche  orologi, libri, candele  che evocano sia il continuo scorrere del tempo, sia al dominio della morte sulla vita terrena.

Le tombe diventano monumenti  funebri evocativi con effigi ed epitaffi, che lodano e inneggiano le gesta del defunto. Ma ricordando la celebre Livella di Totò, il Principe Antonio De Curtis, anche nella casa dell’eterno riposo esistono divisioni di classe: la gente abbiente dalle sontuose  tombe  e le classi povere della società.

Nel Seicento, per supplire alla problematica, coloro  i quali appartenevano alle classi sociali più elevate abbandonano i cimiteri per costruire cappelle e lasciare spazio a chi è sprovvisto di loculo. Solo nel Settecento si giunge a un nuovo cambiamento che vedrà la costruzione di  tombe ricche nuovamente all’interno dei cimiteri, soprattutto da parte di una classe sociale media che non si accontenta più di rimanere nell’ombra. L’autrice prosegue nella descrizione tecnica e artistica della tipologia di tombe e monumenti funebri, così come della loro locazione.  Nelle pittura, invece, così come nelle incisioni la morte diventa provocatoria, eroica e anche erotica.

Si prosegue con l’analisi di dipinti importanti dove arte e morte collidono mescolandosi in un tripudio scenografico di cui è impossibile non percepirne la potenza; è il caso di J. Louis David: Andromaca veglia Ettore, A. Gentileschi: Giuditta e Oloferne, G. Cagnacci: La morte di Cleopatra, proseguendo con le analisi di incisioni famose la scultura e i monumenti funebri del Bernini: Monumento funebre a Urbano VIII o J. B. Pigalle: La tomba del Conte D’Harcourt, per citarne alcune.

Nel viaggio filosofico e artistico in cui l’autrice trasporta il lettore c’è spazio non solo per approfondire la conoscenza delle bellezze artistiche sotto la guida di un’esperta, ma soprattutto di riflettere su una condizione che la natura umana allontana dai pensieri, automaticamente, per natura. Ed è proprio oggi, in un periodo storico post-pandemico, in cui si è stati bombardati – mediaticamente e  non – da continue notizie sulla morte che, attraverso l’arte, si può riflettere su una tematica così discussa ma poco concepita, attraverso un modus operandi distaccato che scandaglia le pieghe interiori del lettore ‘’costringendo’’, quasi, chi si approccia al testo a fermarsi e pensare come l’arte possa essere un strumento mitigatore e, a tratti, magico la cui potenza consiste fin dalla notte dei tempi a elevare spiritualmente l’essere umano anche al di sopra dei propri timori.

 

Per maggiori info sui progetti della Dott.ssa Callipari: www.iloveitalynewsarteecultura.it

 

Desenzano del Garda celebra il centenario della nascita dell’artista pop Roy Lichtenstein

La Città di Desenzano del Garda (Bs), in occasione del centenario della sua nascita, celebra uno dei più importanti artisti americani della Pop Art internazionale: Roy Lichtenstein.
Organizzata dall’Assessorato alla Cultura e prodotta da MV Eventi, la mostra “Roy Lichtenstein: the Sixties and the history of international Pop art” sarà ospitata al Castello dal 29 aprile al 16 luglio 2023 e presenterà 60 opere di Roy Lichtenstein e di alcuni dei principali protagonisti del rinnovamento artistico degli anni Sessanta.
“La cultura Pop” afferma l’Assessore alla Cultura Pietro Avanzi “torna a riempire coi suoi colori e i suoi valori le mura del nostro castello Medievale andando a valorizzarlo ancora una volta: le opere di Roy Lichtenstein rappresentano un salto nel passato degli anni Sessanta che ci proietta all’interno della storia internazionale della Pop Art. Sono convinto che anche stavolta il pubblico risponderà alla grande nei quasi tre mesi di esposizione della mostra: non a caso abbiamo scelto un’artista globale e conosciuto in tutto il mondo, visto che stiamo entrando nel pieno della stagione turistica con tante persone provenienti da tutta Europa. Ringrazio il prezioso contributo di Matteo Vanzan, curatore e organizzatore della mostra, senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile”.
Fonte: Getty Images
Roy Lichtenstein, uno dei più importanti artisti della Pop americana, è stato protagonista indiscusso, assieme ad Andy Warhol, del ritorno alla figurazione negli anni Sessanta dopo la stagione Informale.
Le sue opere, ormai entrate nel mito, si rifanno ad un immaginario collettivo fatto di fumetti, pubblicità, personaggi della Walt Disney, piloti dell’aeronautica militare rispondendo alla necessità di spersonalizzare l’opera d’arte dai sui più intimi significati non essendo, come dichiarò lui stesso, “interessato a divulgare tematiche che insegnino qualcosa alla gente, o che cerchino, in qualche modo, di migliorare la società”.
Il percorso espositivo” spiega il curatore della mostra Matteo Vanzan “è strutturato per offrire una panoramica sull’opera di Lichtenstein e della sua celebre tecnica pittorica che, in linea con le ricerche warholiane, mira ad associare la creazione artistica ad un vero e proprio prodotto industriale partendo però sempre dal disegno, di cui abbiamo un esemplare esposto in mostra. La tecnica dei punti Ben Day, il cui nome deriva dall’illustratore e stampatore del XIX secolo Benjamin Henry Day che li ha introdotti per la prima volta, ha portato Lichtenstein ad una riconoscibilità immediata all’interno del sistema dell’arte contemporanea facendolo diventare uno degli artisti più amati del secondo Novecento”.

 

In mostra saranno presenti alcuni dei suoi lavori più conosciuti come Crack! del 1963 usato come manifesto pubblicitario per annunciare la mostra di Lichtenstein alla Leo Castelli Gallery, As I open fire del 1967, Drowing Girl del 1987 edito dal MoMA di New York e tratto dal racconto Run for Love! della DC Comic, oltre ai suoi celebri omaggi agli artisti del passato Pablo Picasso e Carlo Carrà con The red horsemen del 1975.
Di grande importanza sarà anche l’aspetto emozionale della mostra, il cui obiettivo sarà quello di trasportare il visitatore all’interno di un’epoca intramontabile attraverso la proiezione di film, documentari come Woodstock e una ricca colonna sonora fatta di brani di Beatles, Rolling Stones, Jimi Hendrix, The Who, Janis Joplin e molti altri ancora.
“A completamento dell’esposizione” conclude Vanzan “abbiamo voluto rendere omaggio ad alcune delle personalità più importanti dell’arte degli anni Sessanta come il vincitore del Gran Premio della Biennale di Venezia del 1964 Robert Rauschenberg, Andy Warhol, l’inglese Joe Tilson, Jim Dine oltre ad una parentesi dovuta sia al Nouveau Réalisme con Arman, Yves Klein e Mimmo Rotella”.

 

La mostra, aperta fino a domenica 16 luglio, avrà i seguenti orari: 29 aprile – 31 maggio: lunedì chiuso – martedì/domenica 10.00-18.00 e 1 giugno – 16 luglio: lunedì chiuso – martedì/domenica 10.00-18.30.

‘L’Umana Fragilità’ di Francesca Callipari, un libro che indaga sul rapporto dell’uomo con la morte

Dal 18 Aprile è disponibile in tutti gli store online il libro dal titolo “L’umana Fragilità” dello storico e critico d’arte Francesca Callipari. Un’analisi storico artistica ma anche socio-antropologica sul rapporto dell’uomo con la morte, che ci conduce in un viaggio introspettivo volto ad approfondire aspetti che troppo spesso tendiamo ad allontanare per paura, invogliandoci al tempo stesso a scoprire un po’ di più alcune grandi opere della Storia dell’arte.

È questo uno dei temi più diffusi dell’intera storia dell’arte e ciò si spiega non soltanto per il fatto che rappresenti uno degli aspetti ineludibili dell’esistenza ma perché, inesorabilmente, esso si intreccia con tutti gli ambiti e i valori fondamentali della civiltà. Sin dalla notte dei tempi la morte ha avuto un ruolo centrale nell’immaginario collettivo, configurandosi come pensiero estremo e tappa inevitabile per qualsiasi riflessione incentrata sulla vita e sui suoi significati. Il tema viene qui analizzato attraverso l’arte, prendendo in esame due secoli importanti e densi di cambiamenti nei quali essa è stata grande protagonista: ovvero il Seicento e il Settecento.

Un tema trattato dal punto di vista storico ma che si intreccia per forza di cose con la contemporaneità: come affermato dalla stessa autrice l’idea di questo libro è nata proprio nel periodo covid, durante il lockdown che “di colpo ci ha fatto ricordare in maniera così pressante la caducità della nostra esistenza, facendo emergere chiaramente quanto l’uomo contemporaneo sia impreparato ad accogliere la morte e quanto, anzi, la paura lo conduca al punto di negarla”.

Con un linguaggio chiaro e adatto ad ogni tipo di fruitore, Francesca Callipari procede all’analisi delle singole opere, cercando di scavare nell’interiorità degli artisti e del lettore, facendo sì che sia l’arte stessa con la sua magia a mitigare le nostre paure, invitandoci alla riflessione.

L’autrice

Laureata in Storia dell’arte moderna presso l’Università di Firenze con una tesi in Storia della miniatura medievale, è oggi critico d’arte e curatore  mostre e si occupa prevalentemente di artisti emergenti. Ha curato mostre in Italia e all’estero. È membro del Comitato di Selezione Artisti per l’Atlante dell’Arte contemporanea e membro del Comitato Internazionale curatori della Biennale di Firenze.

Ideatrice della mostra itinerante I Love Italy, si impegna nella valorizzazione e promozione del talento italiano anche attraverso la Web Tv “I Love Italy TV – Gallery”. Tra i suoi libri già pubblicati: il romanzo “L’odiato amore” (2014) vincitore del Premio Miglior “Opera Prima” al Premio Internazionale Sirio Guerrieri.

‘Tempoforma’, la personale di Rae Martini a Milano

Federico Rui Arte Contemporanea è lieta di presentare la personale di Rae MartiniTempoforma”, in cui vengono presentate 12 opere inedite dedicate a due cicli di opere recenti, i Modulari e i Sistemi di interazione. La mostra inaugura martedì 9 maggio e sarà visitabile fino al 30 giugno, dal martedì al venerdì alle 15 alle 19 (e sabato su appuntamento).

Il titolo Tempoforma nasce proprio per evidenziare la continuità tra due elementi fondamentali nella pratica dell’artista, oggi giunta ad un notevole livello di definizione: il linguaggio e il tempo, elementi processuali e formali dell’indagine di Rae Martini, risultato di un percorso sorvegliato, coerente e sperimentale che si colloca in una produzione trentennale, così spiegata dall’artista stesso: “partendo dalla lettera, poi indietro alla struttura, poi indietro alla parola, fino al segno, alla superficie (urbana), al segno del tempo, al tempo stesso e al suo scorrere. Negli attuali Modulari domina il concetto della successione temporale e della sua manifestazione”.

Attraverso una rigorosa selezione di opere appositamente realizzate per il percorso espositivo a cura di Ilaria Bignotti, la mostra da Federico Rui Arte Contemporanea introduce il pubblico per la prima volta assoluta nella ricerca di Rae Martini: i Modulari sono formati da una composizione di carte lavorate dall’artista che provengono da libri di almeno due secoli addietro. L’artista, affascinato dalla materia che essi portano con sé, segno della loro sopravvivenza all’usura del tempo, ne seleziona decine di pagine per comporre un pattern visuale formato da più elementi accostati, sulle quali poi interviene con operazioni di pittura, incollaggio, combustione: “la carta di cui sono fatti reagisce al fuoco con grande dignità, resiste, quasi come si difendesse… Il calore liquefa l’inchiostro stampato sulle pagine che in alcuni punti si trasferisce sulla tela come se quel testo volesse sopravvivere in una nuova forma, timbrandosi a nuova vita in maniera spontanea, come una memoria che si rifiuta di scomparire”, commenta l’artista. Nella loro successione, come fotogrammi di un racconto scampato alla dimenticanza, “I moduli si susseguono regolarmente, da spaziali mutano a temporali scorrendo come i secondi nei minuti, i giorni negli anni, le decadi nei secoli. Scrivo lo scorrere del tempo, ritraendolo. I Moduli hanno tutti la stessa dimensione (o durata) e la stessa “matrice”, ma nessuno è uguale ad un altro”.

Dietro all’impianto concettuale radicato nella poetica creativa di Rae Martini, si disvela “un processo di ricerca che in un certo senso ha guardato e fatto propria la grande lezione del linguaggio consegnatagli dal diluvio delle avanguardie del Novecento, dalle parole tratte con il lancio dei dadi di Guillame Apollinaire alle mappe impazzite di Alighiero & Boetti agli Atlanti ritrovati di Luigi Ghirri, a tutta quella epica della pelle dei muri che si estende lungo l’avventura europea del Nouveau Réalisme, con in testa i “predatori urbani” francesi Jacques Villeglé, Raimond Hains e François Dufrêne, in compagnia dell’italiano Mimmo Rotella”, scrive Ilaria Bignotti nel saggio in catalogo. Assieme a queste opere, in mostra sono presentati anche alcuni Sistemi di interazione che rappresentano l’ultima fase di ricerca di Rae Martini: anche questi lavori sono formati da carta antica, intrecciata in complesse reti che diventano metafora di un sistema relazionale umano, ma anche, più ampiamente, di un modo di intendere lo scorrere del tempo, l’innescarsi dei fatti, il determinarsi delle vicende, il mistero della vita. In queste ultime opere, la riflessione di Rae Martini sta abbracciando le teorie scientifiche della fisica quantistica: trovando, in queste discipline, una formula di lettura della contemporaneità vicina al suo modo di intendere il processo artistico e la riflessione concettuale che lo sostiene.

 

 Rae Martini

Rae Martini (Milano, 1976) è un artista visivo contemporaneo che opera a livello internazionale, analizzando e ricercando interazioni estetiche e concettuali tra differenti media. Partendo dalla forma mentis matematica applicata agli studi delle strutture/stili di scrittura/lettering avanzati (stylewriting) dipinti come interventi non autorizzati nello spazio pubblico urbano, appartenenti alle prime decadi della sua produzione (1989/2010), fino all’uso successivo e attuale della materia e tecnica mista (combustioni, carta antica, smalto, catrame, cemento, solvente, fotografia) utilizzata come strumento di sviluppo. Il suo lavoro recente assume il disegno scientifico del mondo come base del pensiero contemporaneo, investiga lo stato dinamico della materia e la manifestazione della successione temporale, utilizza la ripetizione dei singoli elementi lavorati e l’insieme generato come moltiplicatore comune dei temi sui quali è basata la propria ricerca. La sua opera è in collezione permanente al MUCEM – Musée de civilisations de l’Europe et de la Méditerranée, Marsiglia, Francia ed è stata esposta in numerose sedi italiane e internazionali, tra le quali il MAC-Contemporary Art Museum of San Paolo, in Brasile, il MAmBo-Museo d’arte moderna e contemporanea di Bologna e il PAC – Padiglione d’arte contemporanea di Milano. Vive e lavora a Milano.

 

____

INFORMAZIONI
Titolo mostra: Tempoforma

Artista: Rae Martini

A cura di: Ilaria Bignotti

Comunicazione e ufficio stampa: Vera Canevazzi

Luogo: Federico Rui Arte Contemporanea, via Turati 38, Milano

Opening per la stampa e il pubblico: martedì 9 maggio 2023, ore 18:00

Periodo mostra: 9 maggio – 30 giugno 2023

Orario galleria: dal martedì al venerdì, dalle 15 alle 19; sabato su appuntamento

 

I dipinti dell’artista russo Andrey Esionov rimangono nelle chiese romane

Il catalogo del progetto «Percorsi della fede. L’arte di Andrey Esionov in 7 chiese di Roma» è stato presentato martedì 21 marzo nella Chiesa di Santa Maria in Campitelli a Roma. Il volume, di 172 pagine, racconta la mostra omonima dell’artista russo Andrey Esionov, che si è tenuta da maggio a novembre 2022 in alcune delle principali basiliche e chiese della Capitale italiana.

Il libro contiene un saggio del noto critico e storico dell’arte Vittorio Sgarbi, oltre ai testi della direttrice del Pantheon Gabriella Musto, del direttore della Casa Russa a Roma Daria Pushkova, del giornalista e scrittore Francesco Bigazzi, del giornalista e presentatore Julian Makarov e di altri autori.

«Il tema del lavoro di Andrey Esionov sono i valori cristiani. La raffigurazione sembrerebbe appartenere prevalentemente al Rinascimento, ma invece è tuttora attuale. L’artista ne comprende bene l’essenza, con l’aiuto del Vangelo ci mostra la profondità del valore della nostra civiltà. E lo fa con molto talento, usando un linguaggio artistico moderno», ha affermato Alexander Avdeev, ambasciatore russo presso la Santa Sede, alla presentazione del volume.

«Siamo in un luogo particolare, forse l’unico in Europa dove la cultura è sopra ogni barriera politica – ha proseguito il direttore della Casa Russa a Roma, Daria Pushkova – proprio per questo è qui che l’arte di Andrey Esionov ha trovato il suo percorso, la sua strada verso i cuori degli italiani. E il dialogo fra i cuori, secondo me, è l’unica via giusta per la comprensione reciproca».

Il catalogo contiene anche una lettera ad Andreу Esionov dell’Arciprete Rettore del Pantheon Daniele Micheletti con la richiesta di donare al Pantheon il dipinto “La Buona Notizia” al termine della mostra. L’artista ha risposto di sì: «Il quadro è stato dipinto appositamente per la mostra del 2022, quando tutta l’Italia e l’intero mondo cattolico ha celebrato l’Anno della Famiglia. E io, ovviamente, ho considerato un onore donare la mia tela al Pantheon. Quello che è importante per un artista è che la sua opera trovi il suo posto, un suo giardino, in cui verrà conservata e dove la gente la potrà ammirare». Anche altre chiese hanno rivolto all’artista richieste analoghe.

«L’incredibile successo della mostra è stato ancor più palese quando abbiamo smontato i quadri dalle basiliche al termine dell’esposizione. Il responsabile di un’altra chiesa che non aveva avuto i dipinti all’interno del proprio edificio, ci ha chiesto di poterne esporre uno – commenta l’organizzatore della mostra, Lorenzo Zichichi, de Il Cigno GG Edizioni di Roma, che ne ha curato il catalogo, – e così «l’Annunciazione» è stata collocata durante il periodo natalizio nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli».

La presentazione del catalogo è stata accompagnata da un concerto eseguito dai giovani musicisti del Conservatorio Santa Cecilia: la soprano Desirée Giove e l’ensemble di violoncellisti sotto la direzione del M° Riccardo Martinini. Hanno eseguito le musiche di Rachmaninov, Mozart, Villa-Lobos, Bach e altri compositori.

‘Una storia nell’arte. I Marchini, tra impegno e passione’. Fino al 21 agosto 2022 a Foligno

I maestri moderni della storia dell’arte: Balla, de Chirico, De Pisis, Magritte, Picasso, Morandi insieme ai contemporanei De Dominicis, Castellani, Di Stasio, Kounellis. Sono soltanto alcuni degli oltre 50 artisti che dal Novecento fino ai giorni nostri hanno accompagnato la vicenda storica e umana di Alvaro Marchini, della sua famiglia e della galleria La Nuova Pesa di Roma. Una selezione di oltre settanta opere si potrà ammirare al CIAC di Foligno fino al 21 agosto.

La Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno presenta dal 21 maggio al 21 agosto 2022 la mostra “Una storia nell’arte. I Marchini, tra impegno e passione. Dopo l’esposizione di successo all’Accademia Nazionale di San Luca a Roma, da cui promana l’operazione culturale conclusasi lo scorso aprile, la mostra è ospitata al Centro Italiano Arte Contemporanea (CIAC). Un progetto unico e ambizioso, realizzato con la curatela di Fabio Benzi, Arnaldo Colasanti, Flavia Matitti, Italo Tomassoni e con il coordinamento di Gianni Dessì.

Grazie alla generosità di numerosi prestatori, saranno esposte a Foligno più di settanta opere selezionate fra quelle della collezione di Alvaro Marchini e della sua famiglia con una incisività specifica per l’aspetto più contemporaneo della Collezione.

Juan Gris Violin et livre 1924. olio su tela, collezione privata

La storia di Alvaro Marchini è stata scandita dall’impegno imprenditoriale e politico (comandante partigiano, medaglia d’argento della Resistenza, cofondatore della società che editò “l’Unità”, organo del Partito Comunista) e dalla passione per l’arte, che lo porta a collezionare e ad aprire nel 1959 a Roma la galleria La Nuova Pesa, con sede, prima in via Frattina e dall’autunno 1961, in via del Vantaggio. L’esperienza ricca e complessa nasce come tentativo cruciale di annodare e promuovere un’idea di possibile prassi estetica all’insegna della figurazione.

La prima stagione della galleria, tra il 1959 e il 1976, vede coinvolto un gruppo di artisti e intellettuali, da Antonello Trombadori a Renato Guttuso, da Corrado Cagli a Pier Paolo Pasolini, da Alberto Moravia a Carlo Levi, legati ad Alvaro Marchini da amicizia, oltre che da una familiarità culturale e ideologica. Anche Simona e Carla, le due giovani figlie di Alvaro, partecipano attivamente alla gestione della galleria. Chiusa La Nuova Pesa nel 1976, Alvaro Marchini continua l’attività imprenditoriale e collezionistica sino alla morte, avvenuta il 24 settembre 1985.

Un mese dopo la figlia Simona, quasi a lenirne la perdita, apre una nuova galleria nella stessa città e con lo stesso nome, ma nuovo indirizzo, via del Corso. In un’ideale continuità sentimentale, si avvia a farsi testimone del proprio tempo sino a giungere ai nostri giorni.

È sullo svolgimento della Collezione a cura della figlia Simona Marchini, spiega il curatore Italo Tomassoni, che sofferma l’attenzione della mostra di Foligno che si ricollega alla tradizione e alla vocazione del CIAC che, dalla sua istituzione (2009), è impegnato sulle figure del contemporaneo. L’area vasta sulla quale di affaccia il secondo tempo de La Nuova Pesa è frammentata e frammentaria. Fuori da ogni assiologia, le strategie si adeguano alla retorica di un individualismo sul quale pesa la tecnologia, il virtuale, la rete e tutto ciò che allontana il reale.

Simona Marchini, che incarna un tempo necessariamente altro, rispetto a quello del padre, dal 1985 al 2020 realizza quasi 250 esposizioni, uno spaccato del vero, del vissuto e di ciò che sopravvive, soprattutto a Roma, di valori artistici dispersi e difficili. Scopre realtà creative portandosi fuori tiro dal coinvolgimento ideologico che aveva caratterizzato l’attività del padre Alvaro. Evita le correnti, privilegia liberamente il soggettivo, intercetta i lacerti di un’arte divenuta labile, volatile, mutevole e che, tuttavia, rappresenta ciò che ‘passa’ l’esperimentazione estetica del suo tempo. Tutto resta dentro il panorama fluttuante di opere prese nel gioco rituale dell’autoritratto. È come se ogni lavoro si riflettesse su uno specchio che rimanda l’autore”.

Il suggestivo percorso espositivo realizzato al CIAC ricopre tutto l’arco del Novecento fino ai giorni nostri. L’esposizione segue in linea generale il criterio cronologico: insieme a una selezione dei “classici” relativi alla fase storica della Collezione, documenta la nuova ricerca artistica che rivela inedite soluzioni di figurabilità.

Il visitatore potrà ammirare, tra le altre, opere di Giacomo Balla, Georges Braque, Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Filippo De Pisis, René Magritte, Pablo Picasso, Giorgio Morandi, Renato Guttuso continuando poi con i lavori contemporanei di Carla Accardi, Luca Maria Patella, Cesare Tacchi, Mimmo Jodice, Enrico Castellani, Stefano Di Stasio, Felice Levini, Vettor Pisani, Maurizio Mochetti e Salvo.

Tra gli importanti nuclei in mostra, si segnala una significativa raccolta dei disegni magistrali di George Grosz, Otto Dix e Scipione, che si potranno ammirare in dialogo con le opere pittoriche dei grandi maestri del Novecento. Particolarmente rara è inoltre l’esposizione dell’opera su tavola di Gino De DominicisSenza titolo”, facente parte della mostra che lo stesso artista realizzò nel 1996 nella galleria La Nuova Pesa, quando, oltre ad altre opere, espose l’installazione “L’Appeso”. Altrettanto rara in una mostra è l’opera “Senza titolo” di Jannis Kounellis, un olio su tela, metallo e coltello del 2013.

La mostra “Una storia nell’arte. I Marchini, tra impegno e passione” intende rendere omaggio a chi ha dato testimonianza attiva della cura, della conservazione e della promozione dell’arte. Allo stesso tempo offre l’occasione per riflettere sul Novecento, un periodo cruciale della nostra cultura.

In occasione della mostra è stato pubblicato un catalogo edito dall’Accademia Nazionale di San Luca, con i testi introduttivi di Claudio Strinati, Segretario Generale dell’Accademia, Umberto Nazzareno Tonti, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, e Gianni Dessì, in qualità di coordinatore, nonché i saggi dei curatori Italo Tomassoni, Fabio Benzi, Flavia Matitti, Arnaldo Colasanti, una conversazione con Lucio Villari e le testimonianze di Carla e Simona Marchini.

I servizi di mostra, le visite guidate e gli approfondimenti sono a cura di Maggioli Cultura.

 

Inaugurazione mostra “Goya. I disastri della guerra”. Dal 18 maggio al 5 giugno alla Galleria delle Arti di Roma

Dopo il successo ottenuto dalla esposizione “L’Inferno di Dalì”, che ha visto la partecipazione di oltre 1.300 visitatori, la Galleria delle Arti presenta la mostra “Goya. I disastri della guerra”una selezione delle celebri incisioni dal titolo originale “Los desastres de la guerra” che Francisco Goya produce dopo essere stato inviato a Saragozza nel 1808 dal generale Palafox, al fine di documentare graficamente l’eroica difesa dell’esercito spagnolo dalle truppe napoleoniche.

L’efferatezza fu tale che il pittore decise invece di testimoniare la “intrahistoria” bellica, descrivendo i soprusi e le barbarie e condannando ogni tipo di guerra in maniera imparziale.
L’artista registra con inclemente realismo le atrocità commesse durante gli scontri e tra il 1808 ed il 1823 realizza un ciclo di disegni dai quali viene tratta una serie di 82 incisioni ad acquaforte su rame, in cui denuncia gli orrori della guerra, racconta la carestia del popolo spagnolo e critica il potere monarchico e della Chiesa attraverso immagini allegoriche e figure dalle sembianze mostruose.

La Galleria delle Arti espone una selezione di 33 tavole impresse dai rami originali incisi da Goya, che mettono in luce la figura del grande maestro in qualità di moderno fotoreporter.
L’esposizione segue l’ordine numerico delle tavole, i cui i titoli sono talvolta correlati, quasi dando origine ad un dialogo tra le stesse. Tutte le incisioni in mostra, provenienti da una collezione privata di Roma, hanno una dimensione variabile tra 155x205mm e 175x215mm.

La mostra ha l’intento di condurre il visitatore a una riflessione più ampia e profonda nei confronti delle conseguenze che la guerra ha portato e porta tutt’oggi con sé.

La mostra, a ingresso gratuito, sarà visitabile dal mercoledì alla domenica dalle ore 18.00 alle ore 21.00, fino al 5 giugno 2022.

 

GOYA. I DISASTRI DELLA GUERRA
Dal 19 maggio al 5 giugno. Dal mercoledì alla domenica dalle ore 18 alle ore 21.

c/o La Galleria delle Arti
Via dei Sabelli, 2 – 00185 Roma
Tel 375.7223987
Ingresso Gratuito

Le Opere in mostra
TAV. 1 – TRISTES PRESENTIMINETOS DE LO QUE HA DE ACONTECER
TAV. 3 – LO MISMO
TAV. 4 – LAS MUGERES DAN VALOR
TAV. 7 – ¡QUÉ VALOR!
TAV. 9 –  NO QUIEREN
TAV. 11 – NI POR ESAS
TAV. 15 – Y NO HAY REMEDIO
TAV. 26 – NO SE PUEDE MIRAR
TAV. 27 – CARIDAD
TAV. 30 – ESTRAGOS DE LA GUERRA
TAV. 32 – ¿POR QUÉ?
TAV. 34 – POR UNA NAVAJA
TAV. 35 – NO SE PUEDE SABER POR QUÉ
TAV. 36 – TAMPOCO
TAV. 37 – ESTO ES PEOR
TAV. 44 – YO LO VI
TAV. 45 – Y ESTO TAMBIÉN
TAV. 49 – CARIDAD DE UNA MUJER
TAV. 50 – ¡MADRE INFELIZ!
TAV. 52 – NO LLEGAN A TIEMPO
TAV. 55 – LO PEOR ES PEDIR
TAV. 60 – NO HAY QUIEN LOS SOCORRA
TAV. 62 – LAS CAMAS DE LA MUERTE
TAV. 66 – ¡EXTRAÑA DEVOCIÓN!
TAV. 67 – ESTA NO LO ES MENOS
TAV. 69 – NADA. ELLO DIRÁ
TAV. 71 – CONTRA EL BIEN GENERAL[
TAV. 72 – LAS RESULTAS
TAV. 74 – ¡ESTO ES LO PEOR!
TAV. 76 – EL BUITRE CARNÍVORO
TAV. 78 – SE DEFIENDE BIEN
TAV. 79 – MURIÓ LA VERDAD
TAV. 80 – ¿SI RESUCITARÁ?

Exit mobile version