‘Il grande Gatsby’ di F. S. Fitzgerald, una riflessione sulla propria generazione

Il celebre romanzo di Francis Scott Fitzgerarld, Il grande Gatsby (titolo tradotto nel 1950 da Fernanda Pivano) ha accresciuto il suo successo anche grazie alle quattro versioni cinematografiche, specialmente quella di Coppola con Robert Redford e l’ultima di Luhrmann con Di Caprio. Un’opera sulla vacuità, sull’assenza dei veri valori, degli affetti autentici, sulla solitudine, sulla noia, sul dramma del mito americano.

Anni Venti. New York. Siamo nell’età del jazz, del proibizionismo, dei nuovi ricchi, della finanza, dell’emancipazione, dell’America che sta fondando il suo mito distruggendo tutti gli altri. La storia è quella di Jay Gatsby che vuole ad ogni costo riconquistare Daisy Fay ed ogni sua azione è tesa a quell’unico scopo: l’enorme casa comprata a West Egg (toponimo inventato da F. S. Fitzgerald per Long Island) sulla sponda opposta esattamente di fronte alla casa di Daisy, le lussuose feste, tutto per riconquistare la sua adorata  che nel frattempo ha sposato il ricco Tom Buchanan.
Oltre l’amore nel romanzo si indagano ben altri sentimenti, ben altre emozioni che dipingono e definiscono a pieno i personaggi dell’America che sta crescendo. La mancanza di affetti autentici, la solitudine, l’incomunicabilità e l’indifferenza. Alle sensazionali feste di Gatsby nessuno parla, nessuno si conosce, tutti sono entusiasti di incontrare gente sconosciuta; nessuno è interessato davvero all’altro, nessuno conosce davvero Gastby e nessuno sembra nemmeno interessato a conoscerlo. Il più solo di tutti è proprio Gatsby che non partecipa alle sue feste favolose ma è sempre solo tra la folla, scruta sperando di scorgere la sua Daisy.

La solitudine del protagonista è immensa quando lo si vede per la prima volta nell’ora del crepuscolo fermo sul prato della sua villa mentre guarda con occhi fissi la luce verde che si riflette sul pontile della casa di Daisy dall’altra parte della sponda. Ed è immensa il giorno del suo funerale quando delle centinaia di persone che partecipavano alle sue feste non resta nessuno. L’ampia indifferenza caratterizza tutti i personaggi, Daisy e Tom più di tutti.

Il senso di solitudine e di indifferenza supera lo sfarzo, il lusso e la felicità che sembra investire tutta la prima parte de Il grande Gatsby. Distruggendo tutti i miti si distruggono anche gli dèi. E se gli dèi non ci sono più tutto ciò che rimane sono gli occhi del dottor T. J. Eckleburg che si scorgono su un grande cartellone pubblicitario a metà strada tra New York e West Egg. Ed è così che si resta soli, soli nei propri pensieri sconfinati che alla fine non possono non fare paura.

Una riflessione sulla propria generazione, sulle sue debolezze e perversioni (il cui linguaggio ricorda quello usato da un altro grande scrittore statunitense, Henry James) che diventa analisi autobiografica per l’ex alcolizzato e playboy Fitzgerald il quale fa i conti con se stesso e ci regala una triste ma verissima morale: il passato non può ritornare e non ci resta che la nostalgia per i tempi che furono.
Gatsby è un personaggio destinato alla sconfitta, a cadere nel dimenticatoio, e sebbene faccia pienamente parte del mondo che lo circonda, appare inadeguato a viverlo. Ma forse è grande proprio per questo, egli vive solo per un sogno: Daisy. Il suo sogno così puro che sarà la sua condanna. Ma una condanna degna della sua vita fantastica, fanatica e smisurata. Solo il faro verde sembra sopravvivere, allo stesso tempo miraggio del nuovo e dell’illusione. La luce verde è la nostra più grande illusione, promette mentre graffia e distrugge. E infine credere nella luce verde ci fa continuare a «remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato».

 

“Gomorra”, il best seller di Roberto Saviano

“Corleone, in confronto a Casal di Principe, è una città progettata da Walt Disney.” Il romanzo “Gomorra” (2o10) di Roberto Saviano, ormai arcinoto, ha venduto circa due milioni e 250.000 copie solo in Italia. Nel mondo circa 10 milioni di copie sono state acquistate per l’opera tradotta in 52 paesi che entra nella classifica dei best seller in Germania dove è saltata in cima alla classifica del settimanale Der Spiegel.

Un libro italiano di enorme successo, in cima alle classifiche, ma un libro italiano che purtroppo parla di criminalità, di violenza, di morte; lo stesso Saviano dichiarò che all’estero avevano una percezione particolare di questo triste fenomeno, considerandolo un qualcosa di “figo”, motivo per il quale il romanzo ha avuto tale successo internazionale.

Roberto Saviano porta il mondo nel regno della camorra. Ma la prima domanda che mi viene da porre è: tutto questo, questo mondo sporco che ci circonda, questo maledetto mondo che toglie vite con una leggerezza inaudita, questo mondo che si sente padrone e Dio, era realmente sconosciuto? Avevamo bisogno di un libro per sapere cosa fosse la camorra, il potere, il sistema? Forse si. No, forse no.

Il romanzo si divide in due parti. In ogni pagina Saviano porta il lettore nel regno di Casal di Principe, Giugliano, Mondragone, Campania, Napoli.  La nostra Napoli. Quel “...paradiso abitato da diavoli.” come disse il grande scrittore tedesco Goethe.

Una realtà inedita, come da molti è stata definita. Una realtà fatta di ville sfarzose, create a immagine e somiglianza delle grandi ville di Hollywood, quelle costruite per Scarface, film indimenticabile, con uno strepitoso Al Pacino. Quello che, nella mente di molti ragazzini, diventa un eroe, un mito, un uomo d’onore che vuole potere, ricchezza, donne. Un uomo da imitare. Ma questa è realtà. Non ci sono macchine da presa, cameraman, fotografi, pistole a salde. Qui il sangue è reale, dalla morte, sinonimo di Sistema, qui, non si torna indietro.

 

Gomorra di Matteo Garrone

Saviano entra nella macchina del Sistema. Lui ci è nato come tutti noi. La camorra è qui, a pochi passi, a pochi metri di distanza dalle nostre vite. Non puoi sfuggirle. Ci hanno provato Don Peppe Diana, ucciso vent’anni fa perchè non si era arreso; lui voleva difenderli quei ragazzini addescati dalla camorra con soldi, motociclette, la promessa del potere, di quella forza che si rispecchia nel desiderio di comandare, mostrarsi al mondo, a testa alta. Perchè loro sono la forza. Loro sono il potere. A quei ragazzini non ancora maggiorenni, il Sistema, mostra una sola strada da percorrere. Perché o ci entri, o sei morto. E se ci entri, non puoi più uscirne, se non con i piedi davanti. Ma la verità è anche un’altra. Ciò che viene insegnato è una realtà a cui è difficile credere. Quanti piccoli uomini abbiamo visto morire, li abbiamo sentiti parlare di una convinzione assurda, atroce, intollerabile. Per loro il solo modo di morire da uomo d’onore è con quella pistola tra le mani. Morire ammazzato ti fa morire da uomo.

Saviano, basandosi sugli atti processuali e sulle indagini della polizia, ci conduce in un mondo fatto di terre dove finiscono i rifiuti che sembrano essere sfuggiti ai controlli della polizia. Una massa di rifiuti grande il doppio del monte Everest (ogni anno, secondo una stima di Legambiente, sono quattordici milioni le tonnellate di rifiuti smaltiti illegalmente) che porta i morti per malattie tumorali ad una percentuale che non lascia parole. Aumentata del 21% rispetto al resto dell’Italia, qui nella nostra città. Nella nostra Napoli. Ci parla di montagne gravide di rifiuti tossici, campagne colme di sostanze mortali che individui senza alcuna morale hanno sparso vendendo fertilizzanti misti a rifiuti tossici. E tutto ciò accade sotto gli occhi dello Stato, quella forza che dovrebbe proteggerci, quel mondo che dovrebbe mostrare cosa sia la giustizia. Ma di giusto qui non c’è più niente.

E poi ancora lei. La droga. Cocaina, A fiumi. Scorre e cade tra le mani dei giovani come neve durante i mesi invernali nelle splendide città del Nord. Città dove la camorra arriva, città dove la camorra comanda da sempre. Dove alla camorra è lasciato comandare.

“Gli affari principali dei camorristi avvengono fuori Napoli.”

La narrazione ha un ritmo incalzante ma ad onor del vero, se si vuole essere obiettivi, Saviano ci aiuta a capire il fenomeno, raccontandoci i luoghi ed i nomi delle persone coinvolte Tuttavia, la  la sequenza narrativa  appare piuttosto confusionaria, basata su un certo rigore documentaristico dove emerge solo un grande impegno sociale volto a far conoscere giustamente ciò che accade in Terra Felix. Non una straordinaria vena narrativa quindi per quello che ormai è diventato “un’intoccabile” ed “incriticabile” esponente dell’opinione pubblica.

Il romanzo di Saviano diventa presto un film. Immagini che mostrano quella realtà raccontata. Perché si sa, le immagini hanno più forza, o almeno per questi ragazzini è così. Si lasciano ammaliare da un mondo che mostra e da potere. Che da tutto e in un secondo priva di tutto. E poi la serie televisiva andata prodotta da Sky Italia e andata in onda a partire dal 6 maggio 2014 e confermata per una seconda stagione. Criticata e amata perchè mostra una verità scomoda che non da tutti è stata compresa. Giorni fa mi è capitato di assistere ad una scena che ancora mi lascia senza parola. Ragazzini che potevano avere non più di 16 anni, con una pistola giocattolo rivolta verso i passanti sparavano piombini soprattutto sulle donne chiamandosi con i nomi della serie televisiva. Per quanto sia difficile da ammettere, le immagini colpiscono più delle parole. Ma quella verità che non è stata compresa è che non c’è nulla di onorevole nello sparare, nell’avere una pistola tra le mani, nel rubare, nell’uccidere, nel togliere una vita ad una bambino, una donna, un uomo. Nulla può renderci meno uomini dell’imitare questo mondo. Il Sistema.

Saviano è stato criticato dall’allora in carica Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi  in merito alla capacità del libro di avere dato troppa pubblicità alla mafia danneggiando l’immagine internazionale dell’Italia. Ma l’Italia si danneggia da sola quando consente di vincere alla camorra, alla mafia, al silenzio, all’omertà perché come ha affermato Saviano stesso: <<Non siamo il Paese di Riina, ma quello di Falcone>>.

Il romanzo vince numerosi riconoscimenti. Premio Viareggio, premio Giancarlo Siani, premio Lo straniero, premio Elsa Morante, premio Stephen Dedalus, premio Tropea, premio Vittorini per l’impegno civile, premio Nazionale Enzo Biagi.

Lo scrittore napoletano vive con una scorta sempre accanto. La sua seconda famiglia, come l’autore l’ha più volte definita. I nomi, le denunce, inserite nel libro lo hanno portato ad una vita di clausura, nascosto dal mondo per aver detto una verità che, a mio parere, non era poi tanto sconosciuta.

Siamo qui, con la possibilità di scegliere, di mostrare una realtà e una verità diverse da questo maledetto Sistema. Abbiamo la possibilità di ribellarci a tutto questo. Qualcuno ha detto che c’è sempre una possibilità. Forse questo qualcuno ha visto cosa succede quando entri nel sistema. Quando ci entri, ancora una volta, non puoi più uscirne.

“Dopo aver visto decine di morti ammazzati, imbrattati del loro sangue che si mescola allo sporco, esalanti odori nauseabondi, guardati con curiosità o indifferenza professionale, scansati come rifiuti pericolosi o commentati da urla convulse, ne ho ricavato una sola certezza, un pensiero tanto elementare che rasenta l’idiozia: la morte fa schifo.”

‘La moglie magica’, la violenza sulle donne raccontata da Sveva Casati Modigliani

A piccoli passi e in punta di piedi entriamo, con “La moglie magica”, in una realtà quotidiana. Violenza, soprusi, gelosia e ossessione. Nulla di queste parole può legarsi a ciò che dovrebbe essere un amore. Dolcezza, protezione, forza, comprensione, sostegno. Questo dovrebbe essere, questo non è quasi mai.

Mariangela è protagonista de La moglie magica. Una giovane donna che presto lascia il suo paesino d’origine per la promessa di un amore eterno, ricco di forza e speranza. Un amore che si consuma ben presto, un amore che la consuma senza lasciarle scampo. Lascia la provincia per la Milano bene e si trasferisce in un’elegante palazzina liberty di Via Eustachi. La sua bellezza, spensieratezza e voglia di vivere. conquistano molto presto tutti gli abitanti del palazzo. I suoi occhi, quella “magia” a essa legati, nascondo un segreto, nascondono dolore. Ma questo dolore a un nome e mani e gesti e parole ben precise. Tutto nasce da lui, Paolo. Un marito che le aveva promesso una vita agiata, che le aveva giurato fedeltà e rispetto “finchè morte non vi separi”.

Ma le cose cambiano in fretta. L’amore, se mai lo sia stato, si trasforma in ossessione. Una gelosia senza confini che sfocia in una violenza brutale. Perché la violenza non potrà mai essere definita in un modo diverso. Non sarà mai possibile accostare questa parola ad altra che abbia un significato diverso dalla brutalità.

Ed è così che accade. Come se osservassimo una scena da lontano. Quasi come se la cosa non ci appartenesse. Come se quello schiaffo non fosse per noi. Un piccolo colpo, poi un altro e un altro ancora. Fino a quando ciò che un tempo eravamo non esiste più. Siamo oggetti, lo diventiamo, la nostra voglia di vivere, la nostra forza, non esistono più. Siamo niente. E Mariangela lo sa. Quel soprannome che ha accompagnato la sua vita, “magia”, fin dalla prima infanzia, ormai non esiste più. Le parole si susseguono, Mariangela non ha più forza. Paolo ha preso la sua vita stringendola e annientandola dopo quel primo gesto di atroce crudeltà.

Cosa spinge una donna ad accettare in silenzio uno schiaffo, un pugno, un calcio, una mazza da baseball…; è forse paura di reagire, di ribellarci? O forse di restare sole? Forse crediamo che quello sia amore? Ma quale amore è sinonimo di violenza? Non lo so, forse non lo capirò mai. Ma poi qualcosa cambia. Mariangela cambia. Un ultimo gesto. Quell’ultimo atto di sopruso verso un’anima dolce, delicata, pronta a vivere la vita fino all’ultimo istante, fino a quell’ultimo respiro. Ora è pronta a combattere, a riprendersi quel soprannome e con esso la sua vita.

Sveva Casati Modigliani (“Singolare femminile”, “Qualcosa di buono”, “Donna d’onore”), pseudonimo di Bice Cairati, entra ancora una volta nell’universo femminile. In quel mondo che a molti ancora sembra incomprensibile ma che richiede solo rispetto. Ancora un romanzo in vetta alle classifiche, ancora un mondo da sfogliare, vivere, per capire, per non commettere gli stessi errori, per imparare cosa sia l’amore, cosa sia la vita.

Accusata di aver scritto una storia breve, poco incisiva e non emozionante come i suoi precedenti lavori, l’autrice ha affermato al Salone del libro di Torino che, nelle sue intenzioni il libro doveva essere molto più lungo ma poi, man mano che scriveva,le è risultato troppo doloroso e faticoso parlare  della sua protagonista, questa donna maltrattata, averci a che fare ogni giorno, che non è riuscita ad andare a fondo, a raccontare ogni aspetto della sua triste e attualissima storia. Ha addirittura pensato di non finirlo, fino a quando non ha avuto “l’illuminazione” del finale. Questione di sensibilità. Questo racconta La moglie magica.

Concludiamo con una citazione che tutti dovremmo tenere sempre in mente. Parole che portano in se una verità che non tutti sono pronti a comprendere. Una verità che Mariangela capirà prima che sia troppo tardi: La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci. (Isaac Asimov, Fondazione, 1951)

 

“Non ora, non qui”, di Erri De Luca

“Molti particolari non formano un ricordo, molti ricordi non costituiscono un passato.” Torniamo indietro nel tempo attraverso le parole di colui che è stato definito “lo scrittore del decennio“. Erri De Luca, in “Non ora, non qui”, opera che ci sembra di comprendere a fatica nelle sue prime pagine, ci insegna in un silenzio fatto di dolci parole, l’intimità di un ricordo forse sepolto nella memoria. Il tempo è distanza, malinconia. Una malinconia che di dolce non ha più nulla. Un tempo che torna a galla dalla memoria sepolta. Quella memoria che, forse, spesso, cerchiamo di cancellare.

Un bambino di nove anni, il dopoguerra, le difficoltà della vita, una vita crudele che non ha rispetto per niente e nessuno. Un trasloco che lo porta lontano, un primo passaggio verso quell’età adulta che una volta giunta, cerchiamo di allontanare con tutte le nostre forze. Una povertà che si cerca di combattere, di capovolgere. Vista e vissuta da lontano con la sola certezza di essere strappato dalle proprie radici, dalla propria vita, dalla sua Napoli. E poi lei. Una madre che sembra non comprendere. Un figlio lasciato a se stesso, a quelle parole che non vogliono uscire accanto a quel mondo che non sembra volerlo accettare per quello che è.

“Così si snodava il reparto familiare: genitori preceduti dalla figlia e seguiti con lieve ritardo da me.

La difficoltà nel parlare porta con se una fatica incontrollabile di avvicinarsi al mondo.  Perchè questo mondo non ammette quella sensibilità, non ora, non in questo momento. Forse mai. “Non ora, non qui.

Da bambino non ammettevo il passato.” De Luca, con quella dolcezza, quella sensibilità che ci porta ad amare ogni sua parola, ci riporta indietro. A quel rapporto materno che ha condizionato le nostre vite. A quelle paure che ci hanno reso più forti o forse solo più soli. Una solitudine difficile da combattere, impossibile da comprendere.

L’opera prima dell’autore napoletano, ci mostra una madre e un figlio, una foto, un’immagine che nella nostra mente sembra essere sbiadita, ma che diventa più chiara pagina dopo pagina, parola dopo parola. Una donna frustrata dalla propria condizione, dalla propria vita, una donna che non riesce a capire, una donna sola.

Ancora una volta ci siamo noi nelle parole dello scrittore napoletano. Siamo nei suoi protagonisti, una madre e un figlio. Siamo nelle immagini che la nostra mente crea legata ad ogni frase. Siamo nella sua malinconia, nella sua dolcezza, in una morte che sembra giungere lenta e ancora una volta legata al volto materno. Siamo in quei ricordi. In quel legame che non può spezzarsi. Siamo la madre. Siamo il figlio.

Amarezza, tristezza, bellezza. Elementi ricorrenti nelle opere di De Luca, il cui talento sta nel riuscire a coinvolgere tutti, a prescindere dall’età, dal livello di istruzione e dal ceto sociale, ma senza autocompiacenza. “Non ora, non qui” sussurra ai lettori, attraverso una scrittura colta che si nutre di filosofia che per qualcuno può risultare noiosa ma che ci fa comprendere il senso delle parole usate dallo scrittore che riflette sulla società moderna e su quello che conserviamo dentro. In questo senso il romanzo di De Luca è democratico e spiazzante nel finale.

E poi ancora un’immagine. Un finestrino di un autobus; è da li che il nostro protagonista osserva la propria madre. Ora ha sessant’anni. Torna indietro e noi con lui. Un racconto che entra nel racconto. Un momento in cui madre e figlio giungono ad essere coetanei, ma legati da quell’incomprensione che durerà fino all’ultimo istante, fino a quell’ultima parola.

Un romanzo che si presenta con una forza indistruttibile. Una lacrima che scende dopo quell’ultima frase.; è così, è inutile negarlo. Erri De Luca è lo scrittore del millennio.

“Avevi ragione, molte delle cose che mi sono accadute furono errori di tempo e di luogo, cose da dire: non ora, non qui.”

 

Ken Follett, il paladino delle minoranze

“Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima, il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola come una trappola da sacrificio, è quindi venuto il momento di cantare una esequie al passato.” (Ken Follett, “I pilastri della terra”).

Ken Follett nasce a Cardiff, nel Galles, il 5 giugno 1949. Primo figlio di Martin Follett, un ispettore delle tasse, e di Lavinia Veenie, ha tre fratelli. Fin da piccolo un interesse che va oltre la sua immaginazione lo spinge ad amare la lettura. Si trasferisce a Londra con la famiglia all’età di dieci anni, vincendo l’ammissione allo University College di Londra, dove studia filosofia e inizia ad impegnarsi nella politica di centro-sinistra. Si sposa con Mary nel 1968, e nello stesso anno nasce suo figlio Emanuele.
Dopo aver intrapreso un corso di giornalismo, inizia a lavorare come apprendista reporter a Cardiff nel South Wales Echo. Tre anni dopo sarà di ritorno a Londra per lavorare nell’Evening News, il telegiornale della sera. La sua passione per la lettura lo porta a iniziare a scrivere romanzi la sera e nei fine settimana come hobby.

Il successo arriva lentamente, e con la pubblicazione di “La cruna del lago” nel 1978un thriller ambientato durante la seconda guerra mondiale, che riscuote un enorme successo. Il libro vince l’Edgar Award e diventa un film per il grande schermo che vede come protagonisti Donald Sutherland e Kate Nelligan.
Verso la fine del 1970, viene coinvolto nelle attività del partito laburista britannico. Durante il suo impegno politico, conosce Barbara Hubbard, un deputato del Parlamento nelle file laburiste che in seguito diventerà ministro della cultura nel governo di Gordon Brown. Ken e Barbara si sposano nel 1984. La coppia vive tra Londra e Stevenage (Hertfordshire), insieme a una vasta schiera di figli avuti nei matrimoni precedenti. Follett è un grande estimatore di Shakespeare, e spesso è possibile incontrarlo alle rappresentazioni tenute dalla Royal Shakespeare Company di Londra. Adora la musica e suona il basso in una band dal nome Damn Right I Got the Blues.

Analizzando le opere di Follett si possono individuare quattro fasi ben distinte. La prima fase comprende “La Cruna dell’ago” e i cinque libri che lo seguono. Ciò che al loro interno troviamo spazia dalla prima guerra mondiale, con l’opera “L’uomo di Pietroburgo”,all’Iran e all’Afghanistan con “Sulle ali delle aquile” e “Un letto di leoni”. Un cambiamento, una varietà che si fonda sull’elemento cronologico e geografico.
La seconda fase comprende quattro romanzi storici scritti sul finire degli anni ’80. L’intricato e appassionante “I pilastri della terra”, ambientato nell’Inghilterra medievale, si svolge parallelamente alla costruzione di una cattedrale, affiancando alla storia della chiesa la vita di svariati personaggi. “Notte sull’acqua” narra le vicende dei viaggiatori che abbandonano l’Inghilterra sull’ultimo volo di linea del Clipper, idrovolante di lusso diretto negli Stati Uniti alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale.“Una fortuna pericolosa” è ambientato nella Londravittoriana, e “Un luogo chiamato libertà” nelle colonie inglesi nord-americane ai tempi della rivoluzione americana. Cambia ancora genere nei tardi anni novanta, con un paio di libri ambientati nel presente usando le tecnologie avanzate come filo conduttore. “Il martello dell’Eden” si focalizza sul terremoto come arma di terrore, mentre “Il terzo gemello” sugli aspetti oscuri delle biotecnologie. Ritornando allo spionaggio in “Codice a zero”, Ken Follett ambienta il romanzo ai tempi del lancio del primo satellite americano.

“Le gazze ladre” e “Il volo del calabrone” vengono invece collocati cronologicamente durante la seconda guerra mondiale. “Nel bianco” è un thriller ambientato ai giorni nostri, in cui un gruppo di terroristi cerca di trafugare un virus da un laboratorio. Il 18 settembre 2007, esce in antemprima mondiale, in Italia, “Mondo senza fine”, seguito ideale de “I pilastri della terra”. Il 28 settembre 2010 è la volta de “La caduta dei giganti”, primo romanzo della cosiddetta “Trilogia del secolo”, che ripercorre tutti i principali fatti storici del Novecento. Il secondo volume, intitolato “L’inverno del mondo”, è uscito in Italia l’11 settembre 2012. La terza ed ultima parte era stata prevista per il 16 settembre 2014.

Ken Follett ha venduto più di 150 milioni di copie dei suoi libri in tutto il mondo.L’elemento che emerge nelle opere dello scrittore e che rispecchia la sua forte personalità, è la componente politica, il suo modo di osservare il mondo e ciò che lo circonda. Chi dovrebbe guidarlo e in che modo. Idee politiche che ritroviamo soprattutto ne “La caduta dei giganti” e “L’inverno del mondo”. In essi tutti i personaggi positivi si identificano con le idee di centro-sinistra, mentre i conservatori non sono in alcun modo giudicati in modo positivo dallo scrittore.
I protagonisti della “Trilogia del secolo” si presentano infatti quali famiglie di minatori e di sindacalisti galles che lottano per i propri diritti contro i proprietari delle miniere, descritti come dei profittatori capitalisti. All’interno di queste opere, oltre ad una profonda critica al fascismo, troviamo anche un’aperta accusa contro il comunismo che, animato da nobili ideali, si trasforma in una dittatura anti-democratica attraverso l’uso della violenza.

Ken Follett porta nelle sue opere la lotta per l’emancipazione femminile, il socialismo, quelli che verranno dall’autore visti come i soli modi per aspirare e giungere un giorno ad una vita migliore. Il punto di vista analizzato da Follett è quindi quello delle minoranze, se così possono essere definite, che lottano per andare avanti, restare a galla, sopravvivere.

“Il socialismo non vuole la rivoluzione, perché l’hanno già provata altri popoli e abbiamo visto che non funziona. Però vuole un cambiamento, e subito”. Parole di buon senso quelle del riformista Follett che, tralasciando l’aspetto sociale/politico delle sue opere, si è dimostrato un grande conoscitore e divulgatore storico.

 

Di Gabriella Monaco.

 

Storia di una ladra di libri, di Markus Zusak

Markus Zusak

“Ci sono crimini peggiori del bruciare libri. Uno di questi è non leggerli.” Cit. Josif Brodskij

Nella Germania nazista del 1939  venivano commessi entrambi i crimini. I nazisti, coloro che decidevano chi dovesse vivere, chi dovesse morire, avevano annullato in ogni uomo quella voglia di aprire gli occhi al mattino, quel desiderio di continuare a vivere.

Ma in quel luogo che in qualche modo celebra la morte, accanto alla tomba del fratello più piccolo, Liesel Meminger trova ciò che rende ancora la vita degna di essere vissuta. Un segreto da custodire, un oggetto da nascondere, pagine dietro le quali trovare quella forza portata via perchè l’unica colpa era quella di non appartenere alla “razza ariana”.

Eccolo lì. Un libricino forse abbandonato forse dimenticato, un porto sicuro dove la speranza vive ancora. Liesel lo raccoglie, lo ruba e lo porta con sè. Eccola lì prova tangibile, tra le sue mani gelate più che dal freddo e dalla nave, da una condizione forse ancora oggi incomprensibile. La prova che le parole, un libro, possono risvegliare l’anima, accarezzarla, farla vibrare.

Datemi un libro e sopporterò il mondo.”Cit. Giovanni Soriano, Finché c’è vita non c’è speranza, 2010

E’ così che ha inizio la storia di un amore senza limiti ne confini. La storia d’amore e passione che lega la nostra protagonista alle parole, magiche, potenti, forti, che bruciano e sconvolgono l’anima. In quel mondo dove tutto appare senza senso, dove chi comanda non lascia spazio per comprendere e capire, Leisel sente di avere ancora qualcosa a cui aggrapparsi.

Grazie al padre adottivo che le insegna a leggere, la nostra coraggiosa piccola donna, affronta i roghi nazisti per salvare ciò che resta di vero, puro. Ciò che mai potrà essere cancellato, nemmeno da un fuoco tanto stupido quanto potente. Proprio come  solo la mente umana può essere. Qualcuno ha detto che il più crudele di tutti i predatori è proprio l’uomo. Come potremmo mai negarlo dopo esserci immersi in queste pagine che rappresentano pura poesia, puro amore.

La nostra eroina inizia così il suo cammino verso la salvezza. Presto si ritroverà a rubare i libri dalla biblioteca della moglie del sindaco e a intervenire ogni volta ce ne sia uno in pericolo.

Leggendo queste pagine mi sono chiesta se potrei mai vivere così. Guardando il mio bene più prezioso bruciare, ardere con la sola colpa di…portarmi ad interrogarmi sulla vita, sugli uomini, sul mondo. Poi arriva quella domanda. Avrei la forza di combattere come la dolce Leisel? Forse no. Forse…

Ma ogni istante diventa sempre più difficile da affrontare. Ogni minuto che passa, la paura del sopraggiungere di una morte quasi certa avvolge l’animo del lettore. La vita di Leisel diventa sempre più difficile, ma accanto a lei restano quei compagni di viaggio, quegli angeli custodi. E quando la sua famiglia “fittizia” nasconde un ebreo in cantina, il suo mondo diventa sempre più piccolo e, allo stesso tempo, più grande, curioso, forte, pronto ad esplorare, a capire. Ma cosa c’è da capire in un mondo dove chi decide per la vita e la morte di ogni essere vivente è un “uomo” convinto di appartenere ad una “razza” superiore, l’unica che debba essere salvata. La sola che debba portare alla procreazione della specie umana. La razza ariana.

Le parole che scorrono in queste pagine sono una storia d’amore incondizionata verso le parole stesse. Pagine e pagine di puro amore per la salvezza, la forza, la passione che solo i libri possono scaturire. La bambina accumula libri, accumula parole, accumula ricchezza contro l’ignoranza umana. Contro la sua stupidità. Ma, si sa, l’uomo più è stupido più è pericoloso.

Lo scrittore australiano Markus Zusak, già pluripremiato autore di libri per ragazzi, con questo romanzo rivela un talento promettente nella narrativa per adulti.

La rivisitazione cinematografica ha lasciato perplessi molti critici. Ha emozionato e ha lasciato domande irrisolte. Come accade tante volte, c’è chi ha amato l’opera e chi l’ha ritenuta appena sopra la sufficienza. Ma a questo punto credo che sia una sola la realtà da poter affermare. Le parole scritte, le pagine di un libro, entrano nell’anima di ognuno noi come solo pochi film sono e saranno in grado di fare negli anni avvenire.

Storia di una ladra di libri è una vibrante e avvincente storia d’amore che ha per protagonista la letteratura.

“La biblioteca che probabilmente ogni bibliofilo e, in genere, ogni persona colta hanno sognato almeno una volta nella vita di visitare, è la biblioteca virtuale dei libri perduti, quella biblioteca, cioè, fatta con i testi che sono andati distrutti a causa dell’incuria o della stoltezza umana, e di cui ci è rimasto soltanto un titolo, qualche frammento o niente del tutto.”

Giovanni Soriano, Malomondo, 2013

Di Gabriella Monaco

Che fine ha fatto Mr. Y, di Scarlett Thomas

Scarlett Thomas

“Tiro fuori il libro da sotto il cuscino e mi metto a leggerlo adagio dall’inizio. Rileggo alcune volte la prima riga: ’Alla fine probabilmente non sarò nessuno, ma all’inizio ero conosciuto come Mr Y’.”

Il romanzo “Che fine ha fatto Mr. Y” ,pubblicato per la prima volta nel 2006 e tradotto in Italia nel 2007, porta la firma della scrittrice inglese Scarlett Thomas (“Il giro più pazzo del mondo”, “Il nostro tragico universo”). In un intreccio che lega la suspense di un thriller con le visioni della fantascienza, quest’opera porta in se un misto di filosofia, fisica, scienza e letteratura.

Ariel Manto, studentessa di filosofia della British University,  sta preparando una tesi sugli esperimenti mentali con il suo professore, Saul Burlem. Le sue ricerche la condurranno e la vedranno partecipe di una serie di strane avventure. Momenti inspiegabili anche per la più razionale delle menti avvolgeranno le pagine di questo libro e la vita di Ariel. A scomparire per primo è il suo professore, poi l’università crollerà davanti ai suoi occhi, infine in un negozio di libri usati si imbatterà in una copia di un libro rarissimo e maledetto: “Che fine ha fatto Mr. Y”scritto da Thomas Lumas, uno scienziato del XIX secolo che compiva esperimenti sui poteri della mente umana; il libro è in grado di trasportare chi lo legge nella “Troposfera”, una dimensione fittizia del pensiero che ci fa pensare alla “dottrina delle idee” di Platone. Ariel si imbatterà così nella formula che le permetterà di viaggiare nel tempo e nello spazio attraverso la mente umana. Il solo modo per poter fuggire da quel “luogo” è attraverso una parola-chiave presente nello stesso libro.

La nostra protagonista, e noi con lei, giunge così all’ interno della Troposfera, riuscendo a penetrare l’inaccessibilità della mente umana. E così quel libro, quall’antico manoscritto, rivela ad Ariel la sua maledizione. Una maledizione che colpirà chiunque ne entrerà in possesso attraverso la propria morte.

Ho intrapreso la lettura di questo romanzo con un sorriso beffardo sul volto. Una sfida lanciata a queste pagine con forse l’inconscio desiderio di vederla avverata questa maledizione. E in un pomeriggio d’inverno sono stata accontentata perchè, giunta a metà del libr,o mi sono assopita per la troppa stanchezza per ritrovarmi accanto ad Ariel, in quel mondo sovrannaturale, assurdo, privo di qualsiasi razionalità. Mi sono ritrovata in un luogo oscuro e tenebroso dal quale non sono riuscita ad uscire senza pronunciare quella parola-chiave che da poco avevo appreso attraverso le parole di quella che, a mio parere, è una grande scrittrice. Ero lì, con Ariel, nella Troposfera e non sapevo come uscirne.

Il risveglio è stato strano, pieno di dubbi e domande a cui ancora oggi non so dare una risposta. Forse quelle pagine hanno portato la mia mente a prendere il volo. Forse quelle parole mi hanno colpita così tanto, da portarmi dentro un mondo fantastico senza senso alcuno. Non lo so, non credo di volere una risposta che sia razionale. Questo romanzo è tutto, fuorchè razionale. Ero lì, ne sono uscita. So solo questo.

Prima che decidiate di aprire quelle pagine, ponetevi dunque una sola domanda. Siete pronti per vagare in quelle realtà parallele, a scivolare verso l’ignoto, a conoscere mondi sconosciuti? Siete pronti a scoprire cosa si nasconde dentro la mente umana?

Un libro unico nel suo genere, per gli amanti del mistero e della suspence, e anche per chi volesse appronfondire alcune nozioni di scienza e di filosofia, materie di cui l’autrice sembra essere davvero una profonda conoscitrice, soprattutto per quanto riguardlo il post-strutturalismo e la fenomenologia.Il pensiero umano (e il suo linguaggio) è il vero protagonista del romanzo.

 

“La mente umana è più penetrante che conseguente, abbraccia più di quanto possa legare.”

Luc de Clapiers de Vauvenargues, Riflessioni e massime, 1746

Di Gabriella Monaco

 

Le cronache di Narnia, C.S. Lewis

C. S. Lewis

“Un libro non merita di essere letto a dieci anni se non merita di essere letto anche a cinquanta.” 

Una realtà evidente, una sacrosanta verità. Così le parole dello scrittore britannico Clive Staples Lewis, docente di lingua e letteratura inglese presso la prestigiosa Università di Oxford e amico di Tolkien ( a differenza di Lewis non inserisce la religione nei suoi romanzi), ci portano ad aprire quelle prime pagine che rappresentano pura magia. Il fantasy “Le cronache di Narnia”(2005) appassiona e offre una precisa mappa del Cristianesimo ( Lewis era protestante e anglicano), riflettendo sulla sofferenza nel mondo, sul concetto di pietà, sulla redenzione e sul libero arbitrio.

1153 pagine che portano mille e più avventure da vivere accanto alla piccola e dolce Lucy, al forte e coraggioso Peter, a Susan, forse troppo legata alla realtà, una realtà che, di magico, non ha più nulla, e a nostro Edmund che ci porterà a crescere con lui.

La prima volta che ho aperto queste splendido romanzo, non ero sicura di cosa avrei trovato. Una favola? Un libro per bambini? Una storia fantastica? Un romanzo che ripeteva storie già narrate? Battaglie tra bene e male? La verità è che, ancora oggi, a distanza di…un pò di tempo, non sono in grado di spiegare con piena razionalità cosa è fuori uscito da quelle pagine.

Magia, ecco. Pura magia. Ogni parola, ogni immagine che scaturisce da quelle pagine, entrano nel cuore di chi mai, saprà abbandonare una realtà che, forse, appartiene solo ai bambini.

In una Inghilterra colpita dagli eventi, tragici, della seconda guerra mondiale, quattro fratelli si ritroveranno a vivere milioni di splendide avventure nel fantastico mondo di Narnia. Accanto a loro, come un angelo, una guida, con saggezza e dolcezza, ci sarà lui, Aslan. La sola pronuncia del suo nome porta un sorriso dolce e malinconico, per quel leone che ognuno di noi vorrebbe stringere tra le sue braccia, proprio come è pronta a fare la piccola Lucy. Perchè lei crede, lo farà per sempre. Lei è li, aspetta quella magia che sente in ogni respiro accanto ad ogni strana creatura che incontra dopo aver attraversato quell’armadio.

E così, che l’avventura abbia inizio. Una battaglia tra il bene e il male. La forza della purezza, una spinta verso l’alto, sempre più su, “Verso l’infinito e oltre“.

Con parole semplici e dirette, Lewis ci culla, ci allontana da un mondo che è sempre più crudele, un mondo che non lascia spazio alla fantasia, al gioco, alla dolcezza…a un semplice e dolce, lasciarsi trasportare dalla magia. Ancora una volta. Pura e semplice magia.

Ma Lewis fa anche riflettere, seppur con una buona dose di humour e leggerezza, il lettore giungendo alla conclusione che “le nostre scelte sono il nostro destino”. E non potrebbe essere altrimenti dato che sono tematiche che affrontiamo ogni giorno.

1153 pagine, infinite parole, avventure uniche, irripetibili, che bruciano, che ardono di una forza pronta a portare con se anche il più incredulo degli uomini. La mia sfida per voi? Chiunque, in qualsiasi momento della propria vita, sarà pronto ad avvicinarsi a questo romanzo, ne uscirà pronto a correre verso una sola direzione. Chi, sarà pronto a incominciare questa grande avventura, non potrà fare a meno di desiderare, con ogni parte del proprio corpo di raggiungere ed essere portato, in quel mondo fantastico. Luoghi sconosciuti in cui gli alberi cantano, gli orsi sono amici con cui giocare, e i fauni, i leoni, un topo pronto con il suo esercito a difendere il proprio mondo, usurpato da una regina senza cuore.

Ma, in fondo, non è questa la nostra realtà? In questo mondo, non lottiamo costantemente per riprenderci ciò che ci è stato portato via da chi ormai sente solo l’odore del denaro, il desiderio di possesso. Non ci svegliamo ogni giorno sperando che tutto sia diverso? Che il bene, almeno una volta, solo questa volta, possa vincere con un sorriso stampato sul nostro volto?

E allora cominciamo. Narnia, Aslan, il rumore del vento. Chiudi gli occhi e sì pronto a…volare.

La riproduzione cinematografica, di Andrew Adamson, è uscita nelle sale nel 2005, portando negli anni a seguire, altri due capitoli, altre due grandi avventure vissute dai quattro fratelli. Luci ed effetti speciali, ancora magia. Perchè è questa quella che potremmo considerare come parola chiave per questo splendido romanzo. Ancora una volta. Magia…

E ora, a lui, ad Aslan, le ultime parole… “Le cose non avvengono mai due volte nello stesso modo.”

Di Gabriella Monaco.

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