Papi e Santi marchigiani a Castel Sant’Angelo dal 3 ottobre al 2 marzo 2025

Domani apre la grande mostra “Papi e Santi marchigiani a Castel Sant’Angelo”, che il pubblico potrà scoprire, inclusa nel biglietto d’ingresso al Castello, dal 3 ottobre 2024 fino al 2 marzo 2025, nella suggestiva cornice delle Sale dell’Armeria Superiore. Un’esposizione ricca di materiali, documenti e testimonianze, molti dei quali provenienti dal territorio marchigiano, opere del tutto inedite o poco note, che testimonia la connessione di Roma – città Eterna dei Papi dove passato e presente appaiono indissolubilmente legati – e del suo patrimonio storico, artistico e culturale con le Marche.

 La mostra è promossa dalla Regione Marche, dall’ATIM Agenzia per il Turismo e per l’Internazionalizzazione delle Marche, con la collaborazione della Direzione generale Musei del Ministero della Cultura e dell’istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma, con il patrocinio di Giubileo 2025 e Conferenza Episcopale Marchigiana. Prodotta e organizzata da C.O.R. Creare Organizzare Realizzare di Alessandro Nicosia con la curatela di Marco Pizzo e di Maria Cristina Bettini.

 Le Marche, tra storia e cultura, hanno tessuto nel corso dei secoli un legame profondo con la Chiesa cattolica. Il loro passato, intimamente connesso con lo Stato Pontificio, dominio temporale dei papi, ha contribuito a plasmare l’identità e il tessuto sociale della regione. L’autorità e l’influenza della Chiesa hanno permeato molteplici aspetti della società marchigiana, guidando le istituzioni, ispirando opere d’arte sacra e delineando le pratiche culturali e spirituali della popolazione. Le Marche rappresentano un crocevia di storia e fede, dove il patrimonio religioso si fonde armoniosamente con il tessuto della vita quotidiana, caratterizzando le radici culturali della regione e rafforzandone il ruolo centrale nella storia ecclesiastica dell’Italia.

 L’obiettivo è quello di far affiorare l’intreccio tra arte, cultura e spiritualità, il profondo e persistente legame con il territorio marchigiano, coinvolgendo e catturando la curiosità di turisti, amatori e devoti verso la scoperta di questi luoghi.

Le figure dei santi marchigiani sono riuscite a caratterizzare perfettamente le istanze del loro tempo divenendo punti di riferimento religioso e artistico come, ad esempio, San Nicola da Tolentino.

 “La mostra ‘Papi e Santi marchigiani a Castel Sant’Angelo’ – dichiara Francesco Acquaroli, presidente della Regione Marche – offre un viaggio straordinario attraverso la storia, l’arte e la spiritualità che unisce il territorio marchigiano alla Città Eterna. L’esposizione, che si snoda tra documenti preziosi e opere inedite, celebra il legame profondo tra le Marche e la Chiesa cattolica, rivelando l’influenza che i papi e i santi nati in questa regione hanno avuto nel plasmare la cultura ecclesiastica e artistica italiana. Un’occasione imperdibile per immergersi in una storia di fede e arte in un museo prestigioso come Castel Sant’Angelo, ma anche un’importante vetrina per la promozione del territorio marchigiano. Attraverso il dialogo tra arte sacra e storia ecclesiastica, questa esposizione invita infatti i visitatori ad esplorare la nostra regione per scoprirne le radici culturali e spirituali. Abbiamo dunque un’opportunità unica per valorizzare il patrimonio delle Marche, attirando l’attenzione di turisti, studiosi e appassionati d’arte verso un territorio ricco di tradizioni, paesaggi e cultura, favorendo così la crescita del turismo e la conoscenza delle sue eccellenze”.

 Prosegue S.E.R. Mons. Rino FisichellaPro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione e incaricato da Papa Francesco all’organizzazione del Giubileo 2025: “Mentre mi congratulo per la lodevole iniziativa, auspico che i visitatori possano trasformarsi ‘Pellegrini di Speranza’ e che nel loro cammino verso la Porta Santa possano essere edificati dalle eminenti personalità che questa mostra desidera raccontare”.

 “Questa mostra nasce dalla storia e dalla straordinaria fecondità spirituale e culturale della terra marchigiana – spiega S.E.R. Mons. Nazzareno Marconipresidente della Conferenza Episcopale Marchigiana – Le Marche sono cristiane grazie a Roma ma, essendo una terra feconda e grata, hanno ben presto preso a restituire a Roma una grande ricchezza di fede, di cultura, di vita cristiana. È così che fin dal IV secolo dalle Marche cristiane sono sorti i primi santi la cui fama ha raggiunto Roma, come San Marcellino di Ancona citato da San Gregorio Magno. Ancora di più nel Medioevo, le Marche hanno restituito a Roma il dono della fede attraverso nuove vie di pellegrinaggio dove già dalla fine del 1200, sono giunti nell’Urbe, i primi grandi papi marchigiani. Poi ‘dal cielo’ il 10 dicembre 1294 avveniva la ‘Venuta’ della Santa Casa a Loreto. Giunta dal cielo la Santa Casa darà origine ad una terza strada di legame tra Roma e le Marche, una via più celeste che terrestre, segnata dai passi dei pellegrini e sulla quale i papi ed i santi marchigiani prenderanno ad andare e venire da Roma: La via Lauretana”.

Dichiara Massimo Osanna, Direttore Generale Musei, nella prefazione al catalogo della Mostra: “Nella precipua ottica di lettura e interpretazione delle realtà territoriali, la mostra guarda al panorama di abbazie, monasteri e luoghi di pellegrinaggio della regione e entra al suo interno, per rivelarne le storie, in un intrigante intreccio di voci, volti, tradizioni e memorie antiche che riescono ad attualizzarne la potente portata e a diffonderne il messaggio, dialogando sapientemente con la contemporaneità. E così le figure dei nove papi, alle quali le Marche hanno conferito i natali, vengono analizzate attraverso i tratti più caratteristici e significativi del rapporto tra territorio e fede, tratteggiando un quadro inedito e affascinante”.

 La mostra sarà divisa in 3 sezioni: nella prima vedremo il racconto dei papi (età medievale, età moderna, Risorgimento) attraverso biografie ed elementi che li contraddistinguono come ritratti, medaglie, oggetti legati alla loro committenza. Come nel caso del tabernacolo di El Greco legato alla figura del Papa Sisto V. Nella seconda i santi e i beati (San Marcellino, San Nicola da Tolentino, il Beato Sante, San Giacomo della Marca, Santa Camilla Battista da Varano, San Giuseppe da Copertino, Santa Veronica Giuliani, Santa Maria Goretti) attraverso incisioni, quadri, oggetti di culto e di valore spirituale come le preziose pagine dell’Evangelario di San Marcellino risalente al VI secolo. Nella terza gli itinerari sacri delle Marche: eremi, oratori, santuari, abbazie, rinomate chiese e cattedrali, splendide testimonianze dell’arte romanica e rinascimentale. Questa sezione sarà illustrata anche attraverso mappe, piante e disegni antichi, spesso poco conosciuti o totalmente inediti. Quella che per noi appare la meta di un viaggio era un tempo la tappa di un più complesso itinerario dell’anima, ricerca di luoghi sacri, ma anche di luoghi di riflessione e connessione interiore.

 Il percorso sarà narrato attraverso documenti provenienti da una vasta gamma di fonti, che spaziano dalle istituzioni pubbliche alle organizzazioni religiose, dai prestatori privati ai collezionisti. Ogni sezione del percorso sarà arricchita dall’esposizione di opere d’arte autentiche, manufatti originali, reperti archeologici, documenti storici, fotografie e filmati, offrendo ai visitatori un’esperienza ricca di conoscenze ed emozioni. Allo stesso modo le figure dei santi saranno documentate oltre che da profili biografici anche da suggestioni spirituali tratte dai loro scritti o da processi di santificazione che ne hanno fatto affiorare la ‘modernità’. Si pensi ad esempio alla figura di Santa Maria Goretti, divenuta espressione nel XX secolo della spiritualità dei padri passionisti di San Leonardo della Croce, che sarà presente in mostra con la rara reliquia della sua veste.

La visita dei loro ‘luoghi’ e il pellegrinaggio sulle loro tombe diventa quindi un cammino verso la conoscenza di una cultura antica ancora in grado di parlare ai contemporanei.

 

Presentazione a Tivoli del libro ‘La Fuorilegge’ di Marina Flocco

Il 31 luglio scorso in occasione della cena annuale per augurare a tutti i soci una meritata pausa estiva del Rotary Club Guidonia Montecelio in collaborazione con il Rotary Club Roma Centenario è stato presentato il libro “La Fuorilegge” scritto dall’Avvocato Marina Flocco e già vincitrice del “Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica” e del “Premio Internazionale Letteratura Menotti Art Festival di Spoleto”.

La serata si è svolta con la presentazione all’interno di una sala del noto ed elegante ristorante tiburtino “Sibilla”, per poi proseguire con una deliziosa cena nel giardino esterno ai piedi del tempio di Vesta. Ricordiamo che questa location ha visto festeggiare gli
eventi più importanti di numerose personalità eccellenti, come Federico Guglielmo III re di Prussia, Gabriele D’Annunzio e Pietro Mascagni, solo per citarne alcuni.

L’evento presentato dalla giornalista Eleonora Francescucci, ha visto protagonisti al tavolo centrale oltre all’autrice Marina Flocco, anche l’Avvocato Michele De Stefano, Presidente del Rotary Club di Guidonia Montecelio. Quest’incontro è stata l’occasione per mettere in luce l’attualità degli argomenti trattati, anche se in chiave distopica, stimolando un ampio dibattito con tutti i partecipanti. Alla serata ha partecipato la Dottoressa Serena Persiani Acerbo, Presidente del Rotary Club Roma Centenario, Don Andrea Pasquali, Direttore della Caritas della Diocesi di Tivoli e alcuni Dirigenti del Distretto Rotary 2080.

Fra i vari argomenti trattati l’autrice Marina Flocco ha dichiarato «Durante la presentazione ho sottolineato l’urgenza di trasparenza nell’informazione, soprattutto da parte delle istituzioni nei confronti dei cittadini e il ruolo chiave di avvocati e giornalisti nel rispetto
della legalità a garanzia della libertà di tutti. Non a caso, ho fatto un espresso richiamo alla recentissima sentenza del 17 luglio 2024 della Corte di Giustizia Europea che ha accolto il ricorso di privati cittadini ed europarlamentari sulla mancata trasparenza in merito ai
contratti per l’acquisto dei vaccini contro il COVID stipulati tra Commissione Europea e aziende farmaceutiche, con particolare riferimento alle clausole sulla responsabilità degli effetti collaterali da vaccino. Oggi più che mai il giornalismo d’inchiesta è l’unico che può garantire che questo processo venga attuato come accaduto con l’inchiesta pubblicata.

New York Times il 3 maggio 2024 dal Premio Pulitzer 2021 con il suo team Apoorva Mandavilli giornalista specializzata in temi scientifici e medici, che ha messo in luce il totale abbandono patito dalle vittime di gravi effetti collaterali dei vaccini, perché considerati visionari, con sintomi definiti psicosomatici, o peggio ancora etichettati come “Novax”, nonostante fossero favorevoli ai vaccini. Mi auguro che la lettura de “La fuorilegge” costituisca lo stimolo per porsi sempre domande alla ricerca della verità».

Concetti ribaditi da Eleonora Francescucci, moderatrice dell’evento, la quale ha commentato «Quando sono stata contattata dall’Avvocato Flocco per partecipare come moderatrice alla presentazione del suo libro, ho subito accettato perché ho avuto modo di
leggere questo romanzo appena pubblicato e mi ricordo di esserne rimasta molto entusiasta. A distanza di quasi due anni, mi sono resa conto durante questo incontro di quanto le persone siano ancora “sensibili” all’argomento covid. Mi ha fatto molto piacere
l’interazione degli ospiti e si è creata una bella atmosfera di incontro e dialogo, che non sempre si riesce ad ottenere durante le presentazioni di libri».

La fuorilegge: sinossi

Anno 2024. Il decreto legge “Vita Nova” impone l’impianto di un microchip al momento della nascita. Anno 2028. Un evento straordinario cambia il corso della storia. Anno 2049. Il Governo Centrale ha formato una nuova classe di Giudici. Non ci sono più avvocati e giornalisti. Né ghetti e disuguaglianze.

Quando arriva la notizia della morte di Giulia Montale, una donna che aveva sempre lottato per una giustizia libera da condizionamenti, normativi e politici, il Giudice Erminia Accardi, il più giovane Board Member dell’O.G.G., l’Organizzazione Globale di Giustizia, viene designata supervisore al progetto di rinascita della scuola forense, in cui sarà forgiata una nuova classe di avvocati, ristabilendo un apparente equilibrio nel diritto.

Ma, incredibilmente, proprio Erminia Accardi, il giudice più cinico e riluttante al progetto, sarà costretta dalle incongruenze storiche, tra aiuti inaspettati e fantasmi del passato, a navigare tra le pieghe oscure del sistema e scoprirà l’anello debole della catena che lega magistratura e Governo Centrale. L’accelerazione degli eventi sarà inevitabile quando si accorgeranno che uno dei migliori giudici ha tradito, riuscendo a disvelare verità nascoste e a smantellare in tre settimane un ordinamento costruito su false informazioni e libertà fondamentali violate in quasi 30 anni di storia.

L’autrice

Marina Flocco, nata nel borgo medievale di Atessa, cresciuta a Pescara, vive e lavora nella Città Eterna. Svolge la professione di avvocato da quasi 30 anni, é fortemente impegnata nel sociale e lavora molto pro bono. Coordina l’osservatorio del Centro Studi
Giuridici del Sindacato Nazionale Antiusura, é stata docente e formatore e collabora con numerose associazioni di volontariato. Rotariana del Club Roma Centenario ha partecipato a molti progetti di service ed iniziative in favore dei più deboli. Ha la passione per i cani e, per questo, é diventata operatrice cinofila, partecipando con Harlock al progetto “Prenditi cura di me” organizzato con la Uisp all’interno delle carceri. Attenta osservatrice del mondo, ha sempre amato viaggiare. Collabora abitualmente con
importanti testate di informazione giuridica. E’ riuscita a coniugare egregiamente l’intensa attività professionale col ruolo di moglie e di madre di tre splendidi ragazzi. Ha scritto alcuni racconti e sta lavorando ad un altro romanzo. “La fuorilegge” è il suo romanzo
d’esordio.

CISAT, settore dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli ospita l’unica Scuola di Specializzazione e Formazione in Psicoarteterapia

Il CISAT – settore dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (www.istitalianodicultura.org) – ospita l’unica Scuola di Specializzazione e Formazione in Psicoarteterapia esistente in Italia e riconosciuta ed è una struttura scientifica in costante, creativa e dinamica crescita: in essa operano giovani e brillanti studiosi accanto ad esperti di riconosciuta fama internazionale, affiancando in un continuo e fecondo interscambio la ricerca scientifica alla psicoterapia sul campo. Il CISAT opera infatti a livello internazionale, in contatto con le più prestigiose istituzioni scientifiche mondiali, nei campi della formazione, della psicoterapia, della ricerca e della didattica, sia ‘in sede’ che ‘a distanza’.

Molti in effetti sono in Italia le scuole ed i corsi di scrittura creativa, i laboratorî di pittura e scultura a fini terapeutici o riabilitativi, ed altre iniziative simili; come pure gli psicologi, gli psicoterapeuti e gli psichiatri che adoperano l’arte in forma per così dire ‘ancillare’, idest come una tecnica fra le altre nell’ambito di una teoria e di una prassi diverse, che nulla hanno a che vedere con l’Arteterapia.

Il CISAT è invece l’unica istituzione riconosciuta nel nostro Paese che pratichi l’Arteterapia come una teoria ed una prassi psicoterapeutica a tutti gli effetti ed autonoma, sviluppando questa disciplina come una scuola di psicoterapia tout court: la Psicoarteterapia, curata non da scrittori o pittori o scultori o da psicologi di altre scuole, ma da specialisti in questo particolare tipo di psicoterapia.

In tal senso, attraverso il suo caposcuola, Roberto Pasanisi, il CISAT ha fondato dal 1994 l’Arteterapia come psicologia clinica, ovvero come psicoterapia d’avanguardia: la Psicoarteterapia secondo il modello CISAT – Pasanisi.

Il CISAT organizza annualmente un convegno internazionale interdisciplinare di psicologia, psicoterapia, arteterapia e letteratura, patrocinato da varî enti e con l’adesione e il riconoscimento della Presidenza della Repubblica: «In occasione del vostro terzo congresso interdisciplinare il Presidente della Repubblica esprime apprezzamento all’Istituto Italiano di Cultura di Napoli ONLUS per il valore culturale e sociale della manifestazione. L’iniziativa contribuisce a diffondere e far conoscere in Italia l’Arteterapia, una delle nuove frontiere dell’approccio psicoterapeutico a livello internazionale» (telegramma del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del 2006).

Un Comitato scientifico internazionale, composto da personalità di chiara fama in campo scientifico ed accademico, coordina e organizza le attività e i corsi del CISAT e ne è la garanzia qualitativa: prof.ssa Margherita Lizzini (Presidente onorario – psicoterapeuta ad indirizzo analitico – già Presidente dell’A.R.P.A.D.); prof. Roberto Pasanisi (Presidente – psicologo clinico, psicoterapeuta e psicoanalista – Direttore, CISAT –  psicoarteterapeuta didatta – già direttore dei Dipartimenti e docente, Polo Universitario “Principe di Napoli”); prof. Steve Carter (professore di Lingua e letteratura inglese all’Università della California, Bakersfield, U.S.A.); prof. Massimo Cocchi (professore di Alimenti e Nutrizione Umana presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Bologna); prof. Giovanni Dotoli (professore emerito di Lingua e letteratura francese all’Università “Aldo Moro” di Bari e docente all’Università della Sorbona di Parigi); prof. Constantin Frosin (professore di Lingua e Letteratura Francese all’Università “Danubius” di Galati, Romania) in memoriam; prof. Antonio Illiano (professore emerito di Lingua e Letteratura italiana alla University of North Carolina at Chapel Hill, U.S.A.); dott. Massimo Lanzaro (psichiatra – psicoterapeuta, dirigente medico, ASL Napoli 2 Nord; già primario, Royal Free Hospital, Londra); dott. Pasquale Montalto (psicologo – psicoterapeuta ad indirizzo analitico esistenziale); dott. Rossano Onano (psichiatra); dott. Francesco Paolo Palaia (ASL 8, Vibo Valentia); prof. Vittorio Pellegrino (neuropsichiatra – già Primario del Dipartimento di Salute mentale del Distretto 51 – già docente all’Università di Napoli “Federico II”) in memoriam; prof. Robin Philipp (psichiatra – Consultant Occupational and Public Health Physician and Director, Centre for Health in Employment and the Environment Department of Occupational Medicine, Bristol Royal Infirmary, Bristol, Gran Bretagna); dott.ssa Maria Rosaria Riccio (psicologa – psicoterapeuta ad indirizzo gestaltista); prof. Guy Roux (neuropsichiatra – arteterapeuta – Presidente della SIPE [Société Internationale d’Art-Thérapie] – già docente alla Université Paris V, France); prof. Mario Selvaggio (professore di Lingua e letteratura francese all’Università di Cagliari); prof. Jean-Luc Sudres (Maître de Conférences in Psicologia, psicopatologo, Segretario Generale della Société Internationale de Psychopathologie de l’Expression et d’Art-thérapie [SIPE], UFR di Psicologia, Università di Tolosa “le Mirail”, Francia); prof. Mario Susko (già ordinario all’Università di Sarajevo; professore di Letteratura americana alla State University of New York, Nassau, U.S.A.); prof.ssa Magdalena Tyszkiewicz (Psychiatric Center in Gdynia, Polonia); prof. Násos Vaghenás (professore di Teoria e critica letteraria all’Università di Atene, Grecia); prof. Nguyen Van Hoan (professore di Letteratura italiana e di Letteratura vietnamita all’Università di Hanoi, Vietnam) in memoriam; prof.ssa Wanda Żuchowicz (Psychiatric Center in Gdynia, Polonia).

Strega 2024, tra età fragili, storielle ruffiane e figuracce

Non vogliamo girarci intorno e diciamo schiettamente che la vittoria annunciata (avrebbe meritato “Invernale” di Dario Voltolini) del romanzo della scrittrice abruzzese Donatella di Pietrantonio, L’età fragile, pubblicato da Einaudi e già vincitore dello Strega giovani, è in linea con la qualità libraria italiana degli ultimi decenni: abbastanza mediocre.

Anche quest’anno il Premio Strega è partito sotto l’egida dell’analfabetismo funzionale, esordendo con una dichiarazione quanto mai imbarazzante e irrispettosa del Presidente della Fondazione Bellonci Stefano Petrocchi, il quale a chi, ha fatto giustamente notare l’assurdità del regolamento del Premio Strega, con 81 libri proposti da leggere in 30 giorni, ha risposto citando nientemeno il film “American Fiction”, premiato agli Oscar 2024. American Fiction è un film satirico sull’assurdità del momento storico in cui viviamo; American Fiction di una cultura ancella dell’ideologia, dove non conta la qualità dell’opera ma il ruolo sociale dell’autore, dove la retorica dell’inclusività è diventata strategia di marketing, per cui nelle librerie ci sono le etichette sugli scaffali con la scritta “libri scritti da donne”.

E infatti il protagonista viene invitato – in quanto nero, – a far parte della giuria del premio in questione; dove ascolta boriosi intellettuali lanciarsi in lodi che sono concentrati di retorica, mentre i giurati si lamentano della grossa mole di libri che tocca loro leggere, arrivando ad un accordo per leggere solo le prime 100 pagine di ogni volume.

Eterogenesi dei fini. La medesima situazione del Premio Strega, ben illustrata dal Presidente della Fondazione Bellonci l quale dimostra, secondo lui, che tutti sanno che i giurati dei premi non leggono davvero i libri, e solo chi ha una concezione “stupida” della lettura può pensare il contrario.

il Direttore ha seguitato nel vantarsi di quanto il Premio Strega sia “inclusivo”, di quante donne siano candidate e non da oggi, dimostrando ancora che chi ha dato adito a quel modo di pensare è esattamente l’oggetto della satira di “American Fiction”,

Incredibile ma vero. Come è vero che ha vinto un libro la cui autrice, certamente ha un ruolo sociale importante nella comunicazione e nei salotti italiani che contano. Senza trascurare il fatto che è una donna.

L’età fragile è un romanzo modesto, dispersivo, contorto e involuto soprattutto a causa dell’insistenza dell’autrice di concentrarsi spesso su piccoli concetti cominciati e mai portati a termine.

Anche l’operazione di spostamento della narrazione dallo “sfondo” al “primo piano”, risulta poco convincente e inefficace giacché Di Pietrantonio usa sempre la prima persona singolare e il presente indicativo e il passato prossimo.

La tecnica narrativa adottata da Donatella Di Pietrantonio si rifà alle forme del new journalism americano che confida nell’io-narrante per la resa della storia per raccontare un dramma famigliare e il difficile rapporto dell’“io narrante” madre con l’inquieta figlia Amanda, che si trova nell’età fragile, appunto.

La vicenda famigliare si unisce alla lotta per la difesa del proprio territorio dalla speculazione edilizia. Anche in questo romanzo è presente l’Abruzzo dell’autrice, la novità, tuttavia, rispetto ai precedenti romanzi, è nello spostamento dello sfondo dall’asse città-paese a quello paese-bosco di montagna, luogo ideale dove si consumano fatti oscuri e dare in questo modo una pennellata noir alla storia.

Ma Di Pietrantonio mischia troppi generi (addirittura nella parte finale fa capolino il fantasy) perché ne possa prevalere uno in maniera risolutiva, come se l’autrice volesse dire che in fondo l’esito della storia non può avere un senso.

Senza dubbio ancora una volta l’autrice dimostra l’impossibilità di tagliare il cordone ombelicale con la propria terra, presentando personaggi bizzarri che appaiono e scompaiono, con i quali è difficile empatizzare.

L’età fragile è uno sfogo di mugugni, recriminazioni, incomprensioni. Un groviglio espositivo con diverse forzature. Perché una ragazza di venti anni che non studia, non lavora, dorme tutto il giorno per poi vagare per casali altrui è fragile? Se la causa della fragilità di sua madre Lucia è da trovare in un fatto di cronaca nera (avvenuto nel 1997 per mano di un pastore macedone che uccise due ragazze padovane), non si riesce a capire i motivi della “fragilità” di Amanda che sembra essere la classica ragazza svogliata che sublima il proprio malessere.

Inoltre l’esperienza personale del rapporto con la propria madre in un determinato momento storico fa testo solo per la persona che lo racconta. Le variabili sono molte: la geografia, la società, la cultura, l’economia, la politica. Il contesto dell’Età fragile è diverso da quello di oggi e di conseguenza la storia narrata non può configurarsi come un modello universale, come una memoria collettiva profonda.

Insomma anche quest’anno il Premio Strega conferma la sua vocazione al gioco remunerativo e al familismo e non lo si può considerare un metro con cui misurare la reale qualità letteraria italiana. Il non apprezzare molti libri di oggi, spacciati dai grandi giornali nazionali come capolavori, non è solo una questione di stile e di trame dispersive, ma di rifiuto delle mode nella scelta delle tematiche trattate con retorica e superficialità, al servizio di storie quotidiane ripiegate su se stesse, intrise quasi sempre di autobiografismo e ruffianeria.

 

“Mi sono un monumento eretto non di mano umana…” Il salotto letterario dedicato a Puškin

Giovedì 20 giugno alle ore 18:30 presso la Casa Russa a Roma si terrà il terzo salotto letterario-musicale. Questa volta l’incontro sarà dedicato al 225º anniversario della nascita del grande poeta russo Aleksandr Puškin, fondatore della lingua letteraria russa moderna.

Il significato del lavoro del poeta russo per la letteratura mondiale racconterà Vadim Polonskij, esperto dell’Accademia Russa delle Scienze, direttore dell’Istituto di Letteratura Mondiale A.M. Gor’kij. Da parte italiana, al salotto letterario-musicale parteciperà Giuseppe Ghini, professore universitario, slavista e scrittore, curatore e traduttore dell’edizione italiana recente del poema di Puškin “Evgenij Onegin” (2021). Le romanze e le poesie del poeta su musiche di Michail Glinka, Pëtr Čajkovskij, Aleksandr Dargomyžskij, Sergej Rachmaninov, Anton Rubinštejn, Aleksandr Vlasov saranno eseguite dalle vincitrici dei concorsi internazionali le soprano Elizaveta Smirnova, Maria Smirnova e Natalia Pavlova, discendente di Aleksandr Puškin. Al pianoforte Sebastiano Brusco.

Come ha affermato Giuseppe Ghini,

Puškin ha disegnato personaggi che sono divenuti modelli con cui un russo colto non può non confrontarsi. Questo è vero soprattutto per tutto il periodo – fino al 1905 – in cui in Russia praticamente non esiste altro che la letteratura: impedita ogni altra forma di riflessione pubblica – filosofica, sociologica, politica – la letteratura e la critica letteraria diventano tutto, e gli scrittori sono “pensatori” nel senso più ampio. Per esempio, Onegin incarna, con i suoi pro e i suoi contro, la figura dell’“uomo superfluo” nella particolare realizzazione che assume al tempo della servitù della gleba: però il tema della distanza tra potere e cultura, la responsabilità dell’intellettuale engagé o dedito all’otium, sono questioni non aggirabili. Molto concretamente, leggendo la letteratura russa ti accorgi che spesso risuonano parole dell’Onegin, che alcuni personaggi disputano con gli eroi del romanzo di Puškin.

Le opere di Pushkin sono incredibilmente varie: odi classiche, poesie romantiche, lirica d’amore e civile, romanzi in versi, drammi storici, narrativa realistica, favole, racconti, fiabe e appunti di viaggio.

In programma anche le famose Lettere di Tat’jana e Onegin dall’omonimo poema, opere di Wolfgang Amadeus Mozart, Francesco Paolo Tosti, Franz Schubert, Fryderyk Chopin, un brano musicale della contessa Zinaida Volkonskaja, che fu all’origine della tradizione dei Salotti Letterari. Il pubblico avrà la possibilità di recitare le poesie del grande poeta russo.

L’ingresso è libero, la prenotazione tramite il link  https://forms.gle/S3j6ngU3n4iEPhhG7  o al numero 06 888 16 333 è obbligatoria.

 

Piazza Benedetto Cairoli, 6 – 00186 Roma

Si prega di esibire un documento di identità all’entrata.

‘Da Lubiana a Trieste, la pietra di Aurisina del Carso e dell’Istria in Italia e nel mondo’ fino al 14 luglio a Trieste

Inaugurata  lo scorso 18 maggio 2024 al Magazzino 26 di Trieste una delle più estese ed articolate mostre dedicate alla Pietra di Aurisina, del Carso e dell’Istria: Da Lubiana a Trieste, la pietra di Aurisina del Carso e dell’Istria in Italia e nel mondo”.

Un viaggio materico nella cultura della pietra che permetterà al visitatore di approfondirne la storia, l’uso nell’architettura e nell’arte, al quale si affiancano visite guidate, escursioni, approfondimenti culturali, laboratori, performance.

La mostra è organizzata da Gruppo Ermada Flavio Vidonis in coorganizzazione con il Comune di Trieste e con il sostegno della Regione FVG.

La mostra

L’esposizione, suddivisa in più sezioni nei due padiglioni su vari percorsi (sala Nathan e sala Sbisà) del Magazzino 26 in Porto Vecchio parte dalla storia imprenditoriale e dalla vita di Gustav Tönnies, nato nel 1814 (nel 2024 anniversario della nascita), figlio di un carpentiere navale svedese nella città di Stralsund in Pomerania (Germania). Fu falegname, fabbricante, costruttore, industriale e commerciante, probabilmente il più importante commerciante della Carniola della seconda metà dell’Ottocento. Ha lasciato un importante segno della storia europea. Prima di approdare alla monarchia austriaca, Gustav Tönnies lavorò nella sua nativa Svezia, in Norvegia, in Francia, in Svizzera e in Russia.

Lo scopo della mostra è quello di presentare la pietra carsica e istriana, che ha svolto un ruolo importante nello sviluppo economico e sociale della regione. Nei percorsi espositivi se ne può apprezzare l’uso in architettura, nelle costruzioni, nell’arte, nell’artigianato attraverso fotografie, progetti, plastici, manufatti, installazioni e modellini. Un viaggio che la pietra ha intrapreso nel tempo, approdando in tutto il mondo.

Un ruolo chiave in questo sviluppo ha avuto la costruzione della Ferrovia Sud Vienna – Trieste. Con i collegamenti ferroviari e marittimi, Trieste divenne il principale porto del Mediterraneo orientale, che aprì la strada dall’Europa settentrionale e centrale all’Estremo Oriente e all’America in Occidente con collegamenti via Gibilterra e il nuovo Canale di Suez.

Trieste visse l’epoca d’oro del suo sviluppo economico. Dopo il 1383, quando passò sotto l’autorità della monarchia asburgica; nel 1719, quando acquisì lo status di porto franco doganale, nel 1849, quando gli fu concesso uno speciale collegamento diretto con Vienna, conobbe uno sviluppo straordinario fino agli inizi della Prima Guerra Mondiale. Il numero degli abitanti passò da 60.000 a 240.000 e divenne un centro commerciale e finanziario internazionale.

Lubiana esiste già dai tempi delle province illiriche all’inizio del XIX secolo. Il Congresso di Lubiana del 1822, con una linea ferroviaria e un collegamento con Vienna e Trieste, acquistò sempre più importanza, e il terremoto del 1895 non fece altro che accelerare il suo ruolo di centro regionale della Carniola.

Il Carso con la sua pietra, estratta in numerose cave superficiali locali, con la nuova ferrovia ha avuto la possibilità di vendere la pietra in tutto il mondo. Aurisina e Monrupino ne hanno approfittato e con la modernizzazione della produzione queste cave sono diventate le più grandi cave della monarchia austro-ungarica. La pietra carsica divenne un “prodotto di moda” di quell’epoca. Anche molti edifici pubblici, parlamenti, teatri d’opera, stazioni ferroviarie, uffici postali, banche, assicurazioni, istituzioni culturali, scuole, ospedali, caserme, chiese ed edifici residenziali contenevano elementi di pietra carsica.

 

Giovedì 30 maggio – Magazzino 26 Trieste – Sala Nathan ore 10.30 (conferenza) la “Memoria della città di Carrara: dal bagascio ai giorni nostri“ a cura di Walter Danesi Jr. – Museo Fantiscritti Carrara in un incontro moderato dalla dott.ssa Francesca Bianchi

Venerdì 31 maggio – Magazzino 26 Trieste – dalle ore 17.30 alle ore 18.30 (conferenza) “Parco della Rimembranza, memoria inclusiva” a cura del Presidente dell’Associazione Parleranno le Pietre interverranno il Generale Lucio Rossi Baresca e Mauro Depetroni del Gruppo Ermada Flavio Vidonis

 Sabato 1 giugno – Magazzino 26 Trieste – ore 11.00 fino alle 12.00 Sala Nathan (conferenza in italiano e sloveno)  “Pietra carsica, visione storica dello sviluppo della lavorazione della pietra e delle sue prospettive – Il ruolo della famiglia di Gustav Tönnies Kraški kamen, zgodovinski pogled na razvoj kamnarstva in njegove perspektive – Vloga družine Gustava Tönniesa”  prof. dr. Janez Koželj, “Pietra ed Architettura di Max Fabiani Kamen in arhitektura Maksa Fabiania” geologa Jasmina Rijavec “l’Azienda Marmor Sežana” mag. Matevž Novak, “Pietra Carsica Kraški kamen” Stojan Jakopič, Il secolo della famiglia Tonnies Stoletje družine Tonnies” Sig.ra Majda Božeglav Japelj, Galleria Costiera di Pirano Obalne galerije Piran “La pietra nell’arte forma viva”” Kamen v umetnosti Forma Viva” Irena Klančišar Scuola professionale superiore, materiali di progettazione del programma – “la pietra andrà bene” Višja strokovna šola, program oblikovanje materialov – kamen bo ga.

Sabato 1 giugno  – Magazzino 26 Trieste –  ore 15.00  visita guidata alla Mostra a cura di Massimo Romita

Sabato 1 giugno  – Magazzino 26 Trieste –  ore 17.30 presentazione del Catalogo e dello Spazio Mostra “Arcani di Pietra” dell’artista Claudia Raza intervengono i critici Giancarlo Bonomo e Raffaella Rita Ferrari.

Mercoledì 29 e giovedì 30 maggio – Visita Guidata di Aquileia la visita di Aquileia sarà un’esperienza a 360° lungo un itinerario archeologico e storico, durante il quale, con l’ausilio di una guida autorizzata FVG verrà dato spazio anche ai materiali che hanno reso celebre il sito di Aquileia, tra i quali non può mancare la nostra Pietra di Aurisina. Oltre al Complesso Basilicale con le sue cripte e le sale principali, avremo modo di esplorare le rovine della città romana, il decumano di “Aratria Galla”, sito nei pressi del Foro che rappresentava, in tutta la sua monumentalità, il cuore della città e le banchine portuali. Il decumano di Aratria Galla, attualmente visibile da Via Giulia Augusta, la strada di ingresso ad Aquileia che taglia il Foro e ricalca l’andamento del cardo massimo della città romana, è stato rimesso in luce negli anni ’70 per un tratto di circa cento metri. Non dimentichiamo, infine, di visitare il Cimitero degli Eroi.  Le visite guidate in collaborazione con il Comune di Trieste e il Comune di Aquileia sono curate dall’Associazione PerCarso e NET Srls

 

Il Bosco degli scrittori torna al Salone del Libro di Torino

Dopo il successo delle ultime edizioni, il Bosco degli scrittori torna a protagonista al Salone Internazionale del Libro di Torino. Dal 9 al 13 maggio 2024, il grande spazio verde ideato da Aboca Edizioni in collaborazione con il National Biodiversity Future Center (NBFC) sarà allestito al Lingotto, nel Padiglione Oval (stand W06-X05), dove durante la fiera diventerà il punto di riferimento per il dibattito culturale sui temi della natura, della salute e della scienza.  Un luogo unico, un grande polo attrattivo dedicato alla cultura della biodiversità all’interno della più importante manifestazione editoriale italiana.

IL PROGETTO

Uno spazio di circa 400 metri quadri, verde e vivente, che tra terra, rocce e specchi d’acqua accoglierà migliaia di piante, un sottobosco di cespugli e arbusti e una vera foresta di alberi a medio e alto fusto. Oltre a ospitare l’area espositiva dedicata alle pubblicazioni di Aboca Edizioni, il Bosco degli scrittori sarà dotato di uno spazio dedicato all’accoglienza e di un auditorium da 120 posti coperto da una volta vegetale: in questo spazio-incontri verde, avvolti dagli alberi, si alterneranno ogni giorno autori e autrici, italiani e internazionali. In 5 giorni circa 40 appuntamenti vedranno coinvolti scrittori, filosofi, scienziati e tante voci di primo piano del panorama letterario e scientifico, uomini e donne che possono contribuire alla riflessione attorno ai grandi temi ambientali e di salute.

L’allestimento quest’anno includerà anche minerali, reperti fossili e un frammento di meteorite: è un invito ad abbandonare la prospettiva antropocentrica e a spingere lo sguardo oltre l’umano, per comprendere come sul Pianeta sia tutto interconnesso e come la nostra salute e la nostra felicità dipendano dal delicato equilibrio dell’ecosistema.

Questi temi sono anche le premesse su cui si fonda l’attività di Aboca Edizioni: la casa editrice è nata proprio per portare nel panorama editoriale un contributo di eco-alfabetizzazione, e per ricercare e proporre, sia da un punto di vista scientifico che economico e sociale, possibili percorsi di cambiamento e sviluppo.

Il Bosco degli scrittori è sviluppato da Aboca in stretta collaborazione con il National Biodiversity Future Center, progetto coordinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’ambito del PNRR – Next Generation  Eu per promuovere la ricerca e la comunicazione sul tema della biodiversità.

 

L’allestimento è interamente realizzato con elementi naturali verdi, con materiali riciclati o di recupero, e tutte le piante utilizzate nello stand saranno successivamente impiegate per piantumazioni selettive, andando a contribuire alla rigenerazione di aree degradate.

 

IL PROGRAMMA

 

Tra i grandi nomi previsti in programma spiccano Eshkol Nevo, Stefano Mancuso, Sandro Veronesi, Giovanna Mezzogiorno, Vasco Brondi, Chiara Tagliaferri, Michele Serra, Telmo Pievani, Aldo Cazzullo, Rosella Postorino, Maurizio De Giovanni, Laura Calosso, Antonio Pascale, Daniele Mencarelli, Francesca Santolini, Nicola Gardini…

Non mancheranno gli incontri per le scuole e per le famiglie, e tra gli appuntamenti firmati da Aboca Edizioni spiccano le anteprime di La natura lo fa meglio (e prima), esordio dello scienziato Giorgio Volpi ed Economia vegetale dell’economista Luigino Bruni.

Saranno infine presentati anche i romanzi di Franco Faggiani e Laura Calosso, tra le ultime novità della collana di narrativa Il bosco degli scrittori: il progetto del Bosco al Salone del Libro è nato proprio ispirandosi all’omonima collana di narrativa di Aboca Edizioni, che a partire dal 2019 ha consentito ad alcuni tra gli scrittori più interessanti e consapevoli del nostro panorama letterario di raccontare il mondo a partire da un albero. Il progetto editoriale si è poi evoluto, a partire dal 2022, diventando un luogo fisico: il Bosco degli scrittori oggi è oggi un teatro vegetale pensato per portare la riflessione sulla biodiversità all’interno del mondo della cultura.

La casa-museo a Roma del dimenticato Mario Praz. Collezionare punti di svolta

Luchino Visconti vi girò nel 1974 il film Gruppo di famiglia in un interno: un rigoroso professore, Burt Lancaster, che vive in un antico palazzo romano ricco di arredi preziosi e libri antichi, nel ricordo di sua madre e sua moglie e il giovane dissoluto con manie rivoluzionarie, Helmut Berger, accampato al piano superiore con i suoi immorali amici. Schifano affittò l’appartamento all’ultimo piano dove si consumavano cene, feste e vita sfrenata.

È la casa-museo del grande e temuto anglista Mario Praz che sembra richiamare il titolo di una sua opera “La carne, la morte e il diavolo” sulla letteratura romantica, per la sua ricchezza di vita vissuta per lo studio e per il gusto del dettaglio al suo interno; è il regno di uno dei più grandi studiosi e critici che l’editoria italiana ha dimenticato: Mario Praz.

È stato inaugurato a Roma, nell’appartamento di Palazzo Primoli, in via Zanardelli, il Museo “Mario Praz”, dedicato proprio al celebre critico che lì visse dal 1969 fino alla sua morte nel 1982.

L’operazione è stata possibile grazie all’intervento della Direzione generale Musei del Ministero della Cultura, guidata dal prof. Massimo Osanna, che in questa fase riveste anche il ruolo di Direttore avocante della Direzione Musei Statali della Città di Roma, di cui il museo fa parte.

La casa riflette l’anticonformismo, la malinconia, il conservatorismo di Praz, collezionista non solo di antiquariato ma di solitudini, amante dello stile Impero e del pettegolezzo dotto, e instancabile viaggiatore, alimentatore della sua fama di “iettatore”, data la sua claudicanza, strabismo e predilezione per i temi demoniaci.

Sinistro, morboso, eccentrico, patologico, cupo, sono alcuni tra gli aggettivi accollati a Praz, al quale piaceva contribuire alla creazione di una inquietante aura attorno alla sua figura.

Il professor Mario Praz insegnò a Liverpool, Londra, Manchester, prima di stabilirsi alla “Sapienza”, e poi, a Palazzo Ricci, in via Giulia, sempre a Roma.

La sua Storia della letteratura inglese, seppur datata ovviamente, spicca, in un’epoca come questa, dei critici incompetenti e dai giudizi sommari, privi di carisma e passione. Praz suscitava invidia anche quando era in vita, era coltissimo e raffinato, ha anticipato i cultures studies, in un romanzo intravedeva le linee di un ritratto pittorico. L’ampiezza di sguardo, tuttavia non lo risparmiò dal prendere un abbaglio con Pound non capendo il suo talento e con Joyce che addirittura considerava inutile.

Raffinato osservatore dello svariare delle mode e dei costumi, collezionista di punti di svolta, Praz sicuramente avrebbe sottoscritto l’invito di Sergio Solmi a ricordare che sia il critico sia l’autore sono «punti egualmente mobili nel tempo», ma non sempre applica con uguale costanza queste sue doti a sé stesso. Spesso infatti mantiene la struttura generale di uno scritto  modificando però dettagli, aggiungendo note recenti, facendo rapidamente i conti con nuove prospettive critiche.

Se Voce dietro la scena incoronò definitivamente Mario Praz saggista, che nella Prefazione si accosta ancora una volta allo stile dell’Elia di Lamb, nel Mondo che ho visto, invece, Praz scrittore di viaggio raggiunge la vetta più alta fornendo una impressionante carrellata di  impressioni e suggestioni di viaggio osservando come «pochi viaggiatori sanno essere personali, sanno vedere con occhi che penetrano nell’essenza delle cose».

La casa-museo racchiude decenni di appassionato collezionismo e ne riflette gusti e inclinazioni: dall’amore per il periodo napoleonico all’interesse per l’arredamento d’interni e per gli oggetti d’uso dello stesso periodo, che insieme formano e ci riportano concretamente il gusto di un’epoca, alla profonda cura per il dettaglio visibile nell’accurata scelta della posizione di ogni oggetto, sulla base di rispondenze non solo estetiche ma anche culturali e intellettuali. Durante il periodo di chiusura temporanea, il MiC ha curato approfonditi restauri, sia sulle strutture di servizio che sulle opere, coordinati dalla Direttrice del Museo, Francesca Condò, con la collaborazione della restauratrice Silvana Costa.

Exit mobile version