Loescher Editore pubblica “Per leggere i classici del Novecento”: un’antologia per scoprire i capolavori del nostro tempo

Per leggere i classici del Novecento è il titolo del nuovo volume della collana I Quaderni della Ricerca/Didattica e letteratura pubblicato da Loescher Editore, storica casa editrice di Torino. Il libro, a cura di Francesca Latini e Simone Giusti, raccoglie 22 saggi dedicati a testi novecenteschi, apparsi sulla rivista “Per Leggere” tra il 2001 e il 2016. Un’antologia unica nel suo genere, che colma l’assenza di contributi critici e filologici dedicati a prove letterarie recenti o addirittura contemporanee, e che rappresenta un’opportunità – a disposizione dei docenti di oggi e di domani – per scrutare con la giusta messa a fuoco opere che per la loro vicinanza cronologica rischiano di scomparire dal nostro orizzonte.

Nei saggi selezionati trovano spazio le analisi di prose liriche, racconti, poesie, poemetti in versi e persino di una canzone, a testimonianza della scelta dei curatori di allargare i confini della scrittura d’arte oltre i tradizionali testi ‘classici’ che, come ricorda Francesca Latini nell’articolo di apertura, Calvino definiva “quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli”. Ed è proprio il desiderio di creare “le migliori condizioni” per i nuovi lettori alla base del volume, che affianca il Guido Gozzano di Invernale a maestri come Ungaretti, Montale e Fenoglio; e protagonisti della scena letteraria del XXI secolo del calibro di Giovanni Raboni, Andrea Zanzotto, Alda Merini, alle intense voci contemporanee di Milo de Angelis, Valerio Magrelli, Fabio Pusterla, per arrivare sino al cantautore Francesco Guccini.

Commentare un’opera – scrive nella Postfazione Simone Giusti – è un’attività tra le più artigianali che si trova a compiere lo studioso di letteratura, richiede di mettersi in ascolto del testo, tenendo sempre d’occhio il suo svolgersi nello spazio della pagina […] È un’opera di comprensione, di interpretazione e di valorizzazione che può essere compiuta solo attraverso una pratica di lettura puntuale del testo”. A partire da questa volontà, il nuovo Quaderno di Loescher Editore rivolge un appello al mondo degli studi umanistici e dell’insegnamento scolastico e universitario, per considerare la lettura come pratica indispensabile alla formazione dei docenti.

Un progetto editoriale che guarda a una scuola in cui insegnare non la letteratura, ma con la letteratura, usando le opere per costruire competenze linguistiche e culturali. “L’esperienza ‘mediata’ dalle opere della letteratura e, in generale, dalle storie, – prosegue Giusti – è libera e liberatoria, consente di ‘moltiplicare la vita’, di allenare l’empatia e di sviluppare l’‘immaginazione narrativa’. Un’esperienza che, esattamente come le esperienze reali, lascia tracce di sé nella memoria, preparando il terreno ad altre esperienze, tracciando piste per comportamenti futuri, aprendo la strada ad altre interpretazioni”. 

Per leggere I classici del Novecento si può ordinare in tutte le librerie (anche online) d’Italia; i docenti possono richiederlo agli agenti Loescher di zona. La Postfazione è online; sempre online è possibile consultare, in versione pdf, l’indice, l’introduzione e il primo capitolo.
QdR Per leggere i classici del Novecento – Indice

Invernale di Guido Gozzano – a cura di Nicoletta Fabio
Il maiale di Umberto Saba – a cura di Marzia Minutelli
Genova di Dino Campana – a cura di Paolo Giovannetti
Stralcio e Perdóno? di Clemente Rebora – a cura di Matteo Giancotti
Dove la luce di Giuseppe Ungaretti – a cura di Francesca Latini
La vite e A Carlo Tomba di Camillo Sbarbaro – a cura di Simone Giusti
Meriggiare pallido e assorto di Eugenio Montale – a cura di Tiziano Zanato
L’Appennino di Pier Paolo Pasolini – a cura di Francesca Latini
L’avventura di uno sciatore di Italo Calvino – a cura di Giovanni Bardazzi
Un altro muro di Beppe Fenoglio – a cura di Marco Gaetani
Ferro di Primo Levi – a cura di Anna Baldini
Pensieri di casa di Attilio Bertolucci – a cura di Fabio Magro
Falso sonetto di Franco Fortini – a cura di Davide Colussi
Amerigo di Francesco Guccini – a cura di Paolo Squillacioti
Laggiù dove morivano i dannati di Alda Merini – a cura di Marilena Rea
Periferia e Treni di Antonia Pozzi – a cura di Georgia Fioroni
Le ceneri di Vittorio Sereni – a cura di Rodolfo Zucco
Diffidare gola, corpo, movimenti, teatro di Andrea Zanzotto – a cura Marco Manotta
Ombra ferita, anima che vieni di Giovanni Raboni – a cura di Fabio Magro
L’ordine di Milo De Angelis – a cura di Marco Villa
Children’s corner di Valerio Magrelli – a cura di Claudia Bonsi
Le parentesi di Fabio Pusterla – a cura di Sabrina Stroppa

La duplice avventura de “La nave di Teseo-V. M. Straka”, a cura del creatore di “Lost”

Si chiama come la casa editrice fondata da Elisabetta Sgarbi e ha per creatore J. J. Abrams, ideatore fra le altre delle serie tv Lost e Fringe. Come se non bastasse, è protetto da una vera e propria scatola-custodia sigillata, che deve essere aperta una volta acquistato il volume. È un’opera di cui si sente parlare poco nell’ascoltare il grande pubblico, sebbene sia in commercio già dal 2013, ma di cui chi l’ha letta non può fare a meno di esprimersi con meraviglia. La nave di TeseoV. M. Straka è, infatti, un vero e proprio caso editoriale. Un romanzo assolutamente unico nel suo genere, che è stato scritto concretamente da Doug Dorst in lingua inglese e che ha poi fatto il giro del mondo in pochissimo tempo, per via della sua struttura innovativa e insolita.

Il volume sembra piuttosto antico e, nello sfogliare le prime pagine, si ha l’impressione che sia stato effettivamente scritto dal già citato V. M. Straka e dato alle stampe nel 1949, motivo per cui la sua carta è ormai ingiallita e malandata. Dall’etichetta di una biblioteca che si nota sul retro, peraltro, si intuisce che la copia che si ha fra le mani appartenga a una struttura dalla quale è possibile solo chiedere in prestito il libro. In verità, l’intera ambientazione è una finzione letteraria che catapulta il lettore nel secolo scorso anche se i veri autori sono altri, e che sulle prime sembra seguire le vicende di un unico personaggio principale, affetto da amnesia e protagonista di un viaggio fuori dal comune alla scoperta di sé stesso.

A rafforzare questo patto di lettura c’è una prefazione firmata F. X. Caldeira, uno studioso che Straka ha scelto personalmente come proprio traduttore e che fornisce alcuni dettagli misteriosi e affascinanti sull’identità dello scrittore. Dopodiché, la trama si sviluppa contemporaneamente su due piani: quello ufficiale, che ha un suo filo logico e un suo svolgimento autonomo fino alla fine, e un piano parallelo e inaspettato.

Sui bordi di ogni foglio, infatti, appaiono via via delle annotazioni a penna, dei ritagli di giornale, delle cartoline, dei manifesti, delle fotografie e altri oggetti, attraverso cui si ricostruisce una seconda storia. La storia di due lettori de La nave di Teseo, che indagano sulla figura di Straka leggendo entrambi l’opera e lasciandosi dei messaggi e dei commenti a margine, nel tentativo di venire a capo di una serie di teorie e ricerche incompiute.

Il lettore, pertanto, ha di fronte a sé due binari paralleli e diversi fra loro, e può scegliere se seguirli entrambi contemporaneamente, proseguendo sia nella lettura firmata Straka sia nella comunicazione fra i due studenti che hanno preso in prestito il volume, o se leggere prima solo uno strato della narrazione e poi l’altro, per evitare sovrapposizioni complicate e incomprensioni.

Qualunque sia la sua scelta, comunque, non riuscirà a fermarsi prima di essere arrivato fino in fondo, perché ironia, profondità, fantasia, dilemmi, intrighi, riflessioni, pericoli e legami affettivi rendono V. M. Straka un romanzo mozzafiato e lo trasformano in un grosso puzzle di cui si vuole a tutti i costi venire a capo, aiutandosi con gli inserti disseminati qua e là, con gli appunti cancellati e poi riscritti e con il testo della storia stesso, dal momento che ogni elemento può essere cruciale per capirci di più.

Quando si conclude l’esperienza e si trova il bandolo della matassa, dunque, si realizza di avere partecipato a un’avventura letteraria senza paragoni, costruita in maniera meticolosa e attenta finanche ai più piccoli dettagli, e in grado di coinvolgere chiunque abbia una curiosità spiccata e il gusto per i colpi di scena. Un’invenzione che val bene il suo prezzo e che di certo è preferibile in formato cartaceo anziché in formato elettronico, ma che soprattutto restituisce il piacere della scoperta e del brivido perfino ai lettori più svogliati.

Fonte:

Il Libraio

Fabio Delizzos, autore de ‘Il collezionista di quadri perduti’, in uscita a gennaio

Fabio Delizzos, classe ‘69, è uno di quegli autori che non hanno bisogno di presentazioni particolari. Noto al grande pubblico, infatti, è ormai tra gli autori maggiormente letti ed apprezzati, nel panorama internazionale del thriller contemporaneo. Storia, azione, esoterismo, misteri velati, sono alcuni degli elementi che i lettori trovano tra le sue pagine. Già autore di cose letterarie come La setta degli alchimisti e La cattedrale dell’Anticristo, Delizzos sta per tornare in libreria, con un titolo che è un manifesto: Il collezionista di quadri perduti (Newton Compton), disponibile in libreria già dal prossimo 2 gennaio.

Gli abbiamo chiesto anticipazioni riguardo al suo ultimo lavoro e lui ci ha cortesemente concesso “qualche pennellata”.

Ciao Fabio, siamo agli sgoccioli, poi uscirà la tua nuova, attesissima creatura. Come vivi l’ennesima attesa?

Ciao e, innanzitutto, grazie mille per l’accoglienza su ‘900letterario. Questa domanda mi piace molto. La parola “attesa” racchiude l’essenza della scrittura. E anche della lettura. A chi gli chiedeva quale fosse il segreto per scrivere un romanzo avvincente, il grande Charles Dickens rispondeva: “Fateli aspettare”, alludendo ai lettori. Questo vale ancor più per i thriller, dove serve un’attesa ben congegnata, la cosiddetta suspense. Il compito di uno scrittore è saperlo creare questo magico indugio, e non lo si può ottenere se si lavora con la smania di fare presto. La pazienza è tutto. Non serve solo a portare avanti, giorno dopo giorno, un lavoro per lo più solitario, che può durare molti mesi o anche anni: è davvero l’abilità fondamentale. Niente allena la capacità di aspettare quanto scrivere e pubblicare. Dunque… non sto più nella pelle, non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui il libro sarà disponibile in libreria!

I tuoi lavori hanno appassionato i lettori di molti Paesi, esercitando un fascino raro e tutto particolare. Il 2 gennaio, invece, vedrà la luce Il collezionista di quadri perduti (Newton Compton). Dobbiamo aspettarci un appeal ugualmente potente?

In effetti, cerco di imparare da libri che sono scritti con potenza narrativa, come quelli di Cormac McCarthy, come Misery di Stephen King, Q dei W Ming, Il nome della Rosa di Umberto Eco… Quel che posso dire con certezza è che mi sono divertito a scriverlo, ho lavorato con passione, ispirazione ed entusiasmo, mi sono come sempre rotolato fra le parole e sono andato spesso in una sorta di estasi creativa. Spero per lo meno di aver a trovato le atmosfere, i toni e il linguaggio che preferisco, e di essere migliorato nella tecnica compositiva, grazie all’esperienza. Sono ansioso di poter vedere con gli occhi altrui anche questo nuovo racconto.

Il collezionista di quadri perduti. L’ennesimo tuo titolo dal messaggio chiaro, e dal sapore fortemente misterioso. Ti andrebbe di togliere uno sfizio ai tuoi lettori, esplicandolo e commentandolo al loro posto?

Il titolo si riferisce al personaggio principale del romanzo, Raphael Dardo, il quale è alla ricerca di opere d’arte che corrono il rischio di andare perdute per sempre. Tra queste ci sono i dipinti eretici destinati al rogo dall’Inquisizione; i quadri raffiguranti i criminali non ancora catturati, che venivano condannati al rogo in effigie; e gli affreschi che ritraevano i volti dei criminali ricercati dalle autorità, veri e propri “identikit” ante litteram. Ma ovviamente non sono questi i quadri davvero perduti, quelli veramente importanti cui si allude nel titolo. Bisognerà scoprirlo!

E dunque, che storia ci hai riservato, per questa tua nuova fatica? Puoi anticiparci qualcosa?

Un agente segreto di Cosimo I de’ Medici (accompagnato da un alchimista, inventore e prestigiatore ebreo) è alla ricerca di quadri eretici da salvare dal fanatismo degli inquisitori, ma si troverà a fare i conti con un complotto internazionale e, soprattutto, con la scottante e dura verità che riguarda la sua stessa vita, il suo passato, la sua famiglia. Parlando di quadri, poi, ho voluto creare delle situazioni e dei personaggi pittoreschi. È una storia che unisce mistero e azione, ci sono inseguimenti, sparatorie, avvelenamenti, cardinali che addestrano scimmie, modelle mozzafiato, satanisti e naturalmente pittori. Non posso dire molto di più, naturalmente: giusto qualche pennellata.

In quale tetro teatro si agiteranno i tuoi nuovi personaggi? E qual è, in breve, la figura che ti ha soddisfatto maggiormente, tra tutte?

Il teatro è quello magnifico e allo stesso tempo miserevole della Roma cinquecentesca. La storia si svolge nel maggio del 1555, mentre è in corso il conclave che eleggerà papa il fanatico inquisitore Gian Pietro Carafa. L’Inquisizione sta dando la caccia a degli eretici, tra i quali un pittore misterioso chiamato l’Anonimo. E una modella viene ripescata morta dalle acque del Tevere. La storia si dipana in molti luoghi: nelle sale affrescate dei Palazzi Apostolici, nei bordelli di lusso, in oscure catacombe, in chiese sconsacrate, nei sotterranei di San Pietro, in affollate osterie e in sontuosi palazzi. La figura che maggiormente mi soddisfa? È Raphael Dardo, il cacciatore di quadri perduti.

Le tue precedenti opere hanno impressionato anche per un lessico controllato e consapevole, costellato di termini ed espressioni chiave, che tradiscono una cultura storica – ma anche esoterica – non indifferente. Quello de Il collezionista è lo stesso Delizzos, o il registro è cambiato?

Stavolta tutte le informazioni necessarie al lettore (sul periodo storico, sull’arte…) giungono in modo più immediato, insieme al naturale fluire degli eventi; non ci sono momenti didascalici o spiegazioni, né lunghe né corte. Domina l’azione. L’elemento esoterico non manca affatto, tuttavia è in secondo piano, come sotto un velo; i misteri non sono lì per essere svelati alla fine con straordinarie e inaudite rivelazioni: permangono, fungono da motore, fanno vibrare l’edificio narrativo, emanano la loro energia. In effetti il vero segreto, il vero mistero in questa storia è quello della natura umana, dell’amore, dell’odio, del tradimento, della follia.

Un saluto per i tuoi lettori, ed uno per chi non ti ha ancora letto?

Li saluto tutti indistintamente con un enorme abbraccio. Chi legge è mio amico, a prescindere che legga me o altri autori. E poi gli uni e gli altri sono per me fondamentali: senza le mie lettrici e i miei lettori avrei forse qualche romanzo nel cassetto, scritto per me stesso o per gli amici, e ognuno di questi ipotetici manoscritti non sarebbe che la metà di una storia, perché chi legge crea l’altra metà; e, d’altro canto, senza coloro che ancora non hanno letto i miei libri mi mancherebbe la spinta a migliorare continuamente, a cercare di rinnovarmi per conquistare e convincere anche chi finora non si è accorto di me e dei miei lavori. Dunque, a tutti quelli che come me amano leggere, Auguro Buone Feste e un nuovo anno pieno di bei libri.

Ad maiora, Fabio!

Vale!

‘Il labirinto degli spiriti’, dramma e mistero nell’ultimo volume della saga di Zafòn

Il labirinto degli spiriti (Mondadori, 2016) è l’ultimo volume della saga de ‘Il cimitero dei libri dimenticati’ di Carlos Ruiz Zafòn, cominciata con L’ombra del vento nel 2001. Zafòn racconta la Spagna di Franco unendo mistero, dramma, comicità, storia e amore in un romanzo che non è classificabile in nessuno di questi generi ma che è semplicemente un inno alla letteratura e al piacere della lettura. In quest’ultimo capitolo ritroviamo Daniel, Bea, Fermin e tutti i personaggi della saga più la vera protagonista di questo volume: Alicia Gris, investigatrice che ha il compito di portare alla luce la verità su Mauricio Valls e la generazione di scrittori maledetti di Barcellona. La prima parte de Il labirinto degli spiriti è composta dalle sue indagini, la seconda (ovvero circa le ultime cento pagine) ha come protagonista Julian Sempere, figlio di Daniel, e rappresenta la conclusione della tetralogia, dove tutti gli ‘ingranaggi’ trovano il loro posto.

Il labirinto degli spiriti: si chiude il cerchio della saga di Zafòn

Con Il labirinto degli spiriti, Carlos Ruiz Zafòn ci conduce per mano attraverso l’ultimo capitolo della saga de ‘Il Cimitero del Libri Dimenticati’, la tetralogia che lo ha reso famoso a livello internazionale, consacrandolo come il secondo autore spagnolo più letto al mondo dopo Miguel de Cervantes. Questo ultimo volume, imponente più di 800 pagine, segna sia la conclusione dei molti misteri attorno alla città di Barcellona, rappresentata in un dopoguerra oscuro e dai contorni gotici, sia la ‘chiusura del cerchio’, aperto con il primo volume e un Daniel Sempere che conosce per la prima volta da bambino il Cimitero del libri dimenticati e che nell’ultimo romanzo passa il testimone a due generazioni successive di Sempere.

Il labirinto degli spiriti è Barcellona, ovvero la città vista con gli occhi di Victor Mataix, uno degli scrittori maledetti periti durante la guerra nel carcere di Montjuic a causa delle azioni illecite di Mauricio Valls, allora a capo del carcere e in seguito ministro del regime. Victor Mataix, Julian Carax e David Martìn compongono la generazione di scrittori maledetti di cui Barcellona si è cibata durante gli anni bui e sui quali si torna a far luce grazie alle indagini di Alicia Gris, protagonista de Il labirinto degli spiriti, personaggio in bilico fra il bene e il male, come ogni cosa in questa tetralogia, che seduce dalla prima pagina. Alicia Gris è piena di luci e ombre, incattivita da una vecchia ferita di guerra cerca di raggiungere una vita ‘normale’ pagando i suoi debiti con un’ultima indagine: trovare il ministro Valls scomparso nel nulla da giorni. Sembra che siano molti ad avere un conto in sospeso con lui, compresa la famiglia Sempere, e spetta ad Alicia scavare nel suo passato e trovarlo. Ma per salvarlo o metterlo a tacere per sempre? Questo interrogativo avrà risposta solo alla fine del romanzo. Alicia, la seducente femme fatale che non si fa scrupoli ad usare qualsiasi trucchetto per raggiungere la verità, ha una fedele ‘spalla’, il capitano Vargas, che nella coppia rappresenta ‘la forza bruta’.

Carlos Ruiz Zafòn riesce così nel difficile compito di creare un duo convincente, un compito che molti autori di thriller non riescono a portare a termine in anni di carriera, mentre lui ci riesce senza scrivere neppure un giallo ‘puro’. Il labirinto degli spiriti, come dice lo stesso Zafon a fine romanzo, è il quarto capitolo della saga, che lega assieme i fili rimasti sciolti negli altri volumi, e li intreccia portando alla luce gli intrighi politici della Barcellona della seconda guerra mondiale. L’ombra del vento era stato un inno alla letteratura, Il gioco dell’angelo un romanzo psicologico all’interno della follia dello scrittore David Martin, Il prigioniero del cielo il racconto del carcere di Montjuic dal punto di vista sarcastico e profondo di Fermin Romero de Torres. Tutti e quattro i volumi rappresentano porte d’accesso alla storia, leggibili anche in ordine sparso, e con Il labirinto degli spiriti Carlos Ruiz Zafon ci dona l’ultima imperdibile chiave d’accesso al ‘Cimitero dei Libri Dimenticati’.

‘Niente è mai acqua passata’, l’ ultimo noir di Alessandro Bongiorni

Niente è mai acqua passata (Frassinelli, 2016) è un noir italiano di Alessandro Bongiorni, il suo quarto romanzo dopo Capitale mortale (2009), Se tu non muori (2011) e La sentenza della polvere (2014). Tutti i suoi libri sono ambientati a Milano, la sua città natale. Niente è mai acqua passata è la seconda indagine del vice commissario Rudi Carrera, un vero talento nello scegliere indagini ‘sbagliate’ e ‘scomode’ come quella sulla tratta delle bianche in Europa.

A poco a poco la sua determinazione nello scoprire la verità si mescola a una motivazione personale, ovvero vendicare la scomparsa di Sanja, prostituta albanese che ha salvato dalla strada, e la morte del proprio figlio, ucciso ancora prima di nascere da alcuni magnaccia dell’Europa dell’Est. Le sue indagini si intrecciano con quelle di Beppe Modica, padre di una ragazza scomparsa misteriosamente quattro anni prima, probabilmente rapita per essere esportata all’estero come prostituta. Rudi Carrera e Beppe Modica: due facce della stessa medaglia. Due uomini mossi dai propri demoni personali alla ricerca della verità. Attorno a loro Pelide, Esposito, Monica, Erika, Raimondo… volti di una Milano inedita, non quella presentata ai turisti, che compongono le varie sfumature di questa storia.

Struttura e analisi di Niente è mai acqua passata

La scrittura di Alessandro Bongiorni è asciutta e segmentata, i periodi sono brevi, quasi dattilografati. I capitoli sono composti da poche pagine e hanno ognuno un punto di vista diverso sulla vicenda, ma questo alternarsi di personaggi crea talvolta confusione, non riuscendo a dare al lettore il giusto filo logico da seguire per inquadrare la trama. Alessandro Bongiorni usa spesso delle metafore ad effetto in Niente è mai acqua passata, precise e senza fronzoli, come quella presentata in questo passo:

“Ecco cos’era diventata Milano per Raimondo. Un vecchio zio che incontri solo ai matrimoni e che si affanna ogni volta a ricordarti quanto sei cresciuto. Gentile, simpatico, inutile”.

Niente è mai acqua passata è un poliziesco che trasmette l’ansia e l’attesa che le lunghe indagini della polizia spesso comportano per tutte le persone coinvolte, ma così facendo l’autore ha reso il ritmo della narrazione un po’ troppo lento, dando l’idea che non avvenga mai una vera svolta nell’indagine. Una maggiore adrenalina sarebbe di certo servita a rendere la lettura più accattivante, come accade ad esempio nei migliori noir scandinavi, con Henning Mankell, Camilla Läckberg e Stieg Larsson.

‘Il ladro di ricordi’, di Tiffany Reisz

Il ladro di ricordi è un romanzo di Tiffany Reisz, pubblicato da Harper Collins il 7 Luglio 2016. Si tratta di un viaggio attraverso il tempo e i ricordi, della storia di una famiglia maledetta e delle passioni che l’hanno attraversata negli anni. Il ladro di ricordi comincia nel presente, quando Paris riesce a mettere le mani sull’ultima bottiglia rimasta di whisky prodotta nell’azienda dei suoi antenati: i Maddox. Ma l’uomo alla quale prova a rubarla non è disposto a cedergliela tanto facilmente, così Paris gli propone un accordo: la verità sulla fine dell’azienda Red Thread in cambio della bottiglia, del valore di un milione di dollari. Comincia così il viaggio nel tempo attraverso un secolo di storia. I Maddox sono colpiti da una maledizione legata alla fondazione dell’azienda e tutti i componenti sono destinati a pagarne il prezzo. Tramite il racconto di Paris viviamo così le passioni, i dolori e gli errori di Tamara Maddox, ultima discendente della famiglia, che stravolgerà per sempre le sorti della Red Thread.

Il ladro di ricordi: struttura e tematiche

La trama inizia carica di mistero e continua con ancora una maggiore suspense, fino alla rivelazione finale che sconvolge il lettore sino all’insonnia. La storia è articolata su due archi temporali: il presente e gli anni ’80. Nel presente troviamo come protagonisti un ricco imprenditore, che possiede la prima bottiglia di bourbon prodotta nella famosa distilleria Red Thread, e Paris, la narratrice della storia. Il resto del libro consiste per lo più nel racconto della donna, che risale agli anni ’80, ovvero poco prima che la distilleria venisse bruciata in circostanze poco chiare. Il ladro di ricordi è mistero, avventura, suspense, sensualità e sentimento. Una storia di vendetta e riscatto che cattura dalla prima all’ultima pagina. È un romanzo che lascia senza fiato, travolgente e ‘scomodo’, perché tratta di personaggi perdutamente imperfetti in modo tale da portare il lettore a ‘giustificare’ ogni loro scelta, ogni loro errore. Tamara e Levi, l’uomo del quale è innamorata la ragazza, sono solo vittime collaterali della follia dei Maddox. E anche se sono destinati all’inferno per i propri peccati, vivranno per sempre nel ricordo dei lettori. Tiffany Reisz è riuscita a mettere insieme la profondità delle trame di Lucinda Riley con la suspense e la sensualità della scrittura di Ryan Lexi. Un mix davvero ben riuscito.

 

Sacks: ‘L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello’

Spesso si sente dire che la storia non è fatta solo dai vincitori ma anche dai vinti, dai dimenticati e dagli oppressi. Sarebbe più giusto dire che i vinti, i dimenticati, gli oppressi ma anche coloro che conducono una vita ordinaria, magari banale, non sono necessariamente determinanti nel corso della storia. Forse dire che qualcuno “ha fatto la storia”, ricordato o meno, significa epicizzarlo, ideologizzarlo, innalzarlo, in qualche modo. Che dire, tuttavia, di chi rimane a terra? Forse che la dignità dei pedestri debba essere a tutti i costi calpestata dalle orme dei giganti? Che una diversità di valore esista, pare assodato, ma chi viene considerato meno valido in virtù di una minore utilità della sua esistenza, merita davvero il disprezzo, l’indifferenza? L’oblio, senz’altro, sopraggiunge necessario. Che dire, invece, di chi una vita normale non può condurla? Dei deficienti, dei cosiddetti idiotsavant, dei menomati, degli handicappati? Probabilmente la pietà si mostra come la forma più raffinata e apprezzata di sprezzo, come il modo più consono per registrare, senza sporcarsi la coscienza, un certo tipo di dislivello. Il neurologo e scrittore Oliver Sacks, morto l’anno scorso, non può non averne tenuto conto, scrivendo L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello: ogni paziente, per quanto bizzarra sia la sua situazione, per quanto stravagante, fuori dall’ordinario, curiosa sia la sua vita, ha un diritto peculiarmente umano di avere il suo posto nel mondo, ha diritto al rispetto, nonché alla libertà di esprimere se stesso nel modo che gli è più congeniale.

Questo splendido saggio neurologico di Sacks fu pubblicato per la prima volta nel 1985 a New York e in esso il neurologo ha modo di raccontare in modo stringato ma lirico parte dei numerosi casi clinici di cui aveva avuto esperienza negli anni; si compone di quattro rubriche che si concentrano su pazienti affetti da disturbi affini: Perdite, Eccessi, Trasporti, Il mondo dei semplici.

Sacks, un neurologo controverso

Sulla comunità scientifica che si è scagliata contro il metodo, si dice, poco ortodosso del dottor Sacks, non si discuterà qui. Si tenga presente che a chi l’ha accusato di “scambiare i suoi pazienti per una carriera letteraria”, Oliver Sacks ha replicato, con plauso del mondo umanistico, che i suoi scritti non sono volti ad una cinica esibizione di un talento letterario, bensì alla ricerca del rispetto, allo stimolo verso determinate dinamiche sociali e sociologiche. Si deve insistere, infatti, sulla presa che tale saggio non deve avere necessariamente sui medici e su chi è “del mestiere”: la lettura di queste storie ha il compito di suscitare in chi sfoglia le pagine una maggiore consapevolezza e un occhio più critico e cosciente nei confronti di chi gli sta intorno. A tal proposito, si riporta un passo tratto dal racconto intitolato La disincarnata, che focalizza l’attenzione su una paziente affetta da un disturbo che spezza le connessioni tra cervello e corpo, in soldoni, rendendola scoordinata nei movimenti e priva di una vera coscienza del suo corpo, che va per conto proprio. Quando, dinanzi ai medici, non ha parole per descrivere il suo stato, Oliver Sacks aggiunge:

Non ha parole e anche noi non ne troviamo. E la società non ha né parole né comprensione per simili stati. I ciechi almeno ci trovano premurosi: riusciamo ad immaginare il loro stato e li trattiamo di conseguenza. Ma quando Christina si arrampica faticosamente su un autobus, trova solo un’incomprensione sgarbata e stizzosa: ‘Hey, signora, ma che fa? È cieca? È ubriaca?’. E lei, che cosa può rispondere: ‘Non ho la propriocezione?’. Questa mancanza di sostegno e di solidarietà sociali rende ancor più pesante il fardello di Christina: è un’invalida, ma la natura della sua invalidità non è chiara; non è, dopotutto, palesemente cieca o paralitica, o impedita in modo visibile, e il più delle volte viene trattata come una commediante o un’idiota. Ecco che cosa succede a chi è affetti da disordini dei sensi nascosti. Christina è condannata a vivere in un mondo indescrivibile, inimmaginabile, ma forse sarebbe meglio dire un ‘non mondo’, un nulla”.

L’inconsistenza della social catena

Il problema sta tutto nell’inconsistenza della social catena. Talora, nell’oppressione della social catena: Madaleine, nel racconto Le mani, vive nella stessa condizione di un neonato di poche settimane poiché, all’età di sessant’anni, i suoi familiari continuano a vivere la sua vita per lei, a nutrirla, a vestirla, a lavarla, essendo lei inconsapevole delle facoltà nelle sue mani, che non sa come usare. Il dottor Sacks, con un metodo che altri medici che si ritengono più esperti hanno definito “alla cieca”, stimola per induzione il movimento delle mani di Madaleine allontanandola dal cibo. Ella, per un bisogno animalesco, naturale, allunga le braccia e lo afferra. Passo dopo passo, quella signora, protagonista del racconto forse più toccante dell’intera raccolta, diventerà una sensibile scultrice di fama discreta.

Non che ogni paziente abbia avuto la fortuna di affermare il proprio genio alla stessa maniera, si andrebbe ad operare un controsenso rispetto a quanto affermato all’inizio; e sarebbe un torto, infine, nei confronti di Ray dai mille tic, della signora affetta dalla malattia di Cupido, della ragazza che muore tornando con la mente in India, della nostalgica incontinente.

Pietro Citati, nella sua recensione al libro, ha detto che la prima musa di Sacks è la meraviglia per la molteplicità dell’universo, una meraviglia quasi infantile, ingenua, sicuramente molto narrativa e affascinante. E questo saggio, che prende il nome, si ricorda, dal primo racconto, è uno di quei testi da leggere e poi consigliare a tutti, medici e malati, lettori di romanzi e di poesia, cultori di psicologia e di metafisica, vagabondi e sedentari, realisti e fantastici.

Ritrovarsi incasellati nella definizione di classico è una fortuna (o merito) che appartiene ad un numero veramente esiguo di prodotti letterari ed è davvero una rarità che tra questi figuri un testo di letteratura scientifica o, per meglio dire, medica. Che il saggio di Sacks possa andare incontro a questa sorte, che se ne possa dire “ha fatto la storia”, è solo l’innocente speranza di chi scrive.

‘Il ragazzo con gli occhi grigi’, di Gilles Perrault

Il ragazzo con gli occhi grigi (Fandango, 2016) è un libro di Gilles Perrault, scrittore, sceneggiatore ed attivista politico francese. Del romanzo esiste anche un adattamento cinematografico ad opera del regista André Techiné (Palma d’oro a Cannes con il film Rendez-vous) che ha adattato Il ragazzo con gli occhi grigi per il cinema con il titolo Les Égarés. Tra gli attori anche Emmanuelle Béart.

 

Il ragazzo con gli occhi grigi: la trama

Francia, 1940. Il paese è lacerato dalla seconda guerra mondiale. In viaggio gli sfollati si dirigono verso il sud, in un esodo drammatico che sembra non conoscere fine. Tra questi ci sono anche una giovane donna della borghesia francese, moglie di un tenente, e i suoi due figli, Sylvie e Philippe. Lungo il cammino sono colti a sorpresa dall’attacco di uno Stuka tedesco che prende a colpire a suon di mitragliatrice i civili. Nei fumi di una tragedia senza tempo, spunta dal nulla come un fantasma Jean, un ragazzo appena adolescente e li trae in salvo. Sarà lui l’angelo protettore della sgangherata famigliola, proteggendola dai pericoli che i tre sono costretti ad affrontare, come procurarsi del cibo, trovare una dimora per nascondersi da tedeschi, sopravvivere ai soprusi degli sciacalli. Li strappa ad un ambiente ormai spoglio di regole, imbastito di confusione e furfanteria. Quella condizione di semi-anarchia che solo la guerra sa portare con sé. Lui, che parla con gli occhi grigi ma non emette suoni né parole, è un ragazzo dai modi rozzo, misterioso ed introverso che riesce a catturare l’attenzione e a sensibilizzare il lettore. Jean nasconde un segreto ma la sua presenza racchiude un tabù che tutti vorrebbero rompere, seppur per un soffio di tempo.

Il segreto di Jean

Chi è Jean, e da dove spunta? Ci sarà qualcos’altro da sapere su questo curioso personaggio che entra silenziosamente nella vita dei tre personaggi: Quello della moglie di Robert, tenente valoroso e gran signore che non compare nel libro, Sylvie, di sei anni, e Philippe, 10 anni, l’ometto di casa. Così leggero e immediato, questo volume di sole 90 pagine accoglie in un’atmosfera nella quale tragico, noir e mélo si incontrano. Una trama semplice, personaggi delineati con delicatezza e dettagli che brillano. Luccicano come una lacrima, e le lacrime non mancheranno in Il ragazzo con gli occhi grigi. Per questo motivo è superfluo soffermarsi sulla vicenda, perché ossuta e lineare si rivela. Al contrario è da notare qualche passo, assaggi di una lettura che coinvolge e spiazza al tempo stesso. Come nella descrizione di Jean:

Il ragazzo si muoveva. I piedi sfioravano il parquet. Sembrava danzare su una musica lenta che solo lui sentiva. Il corpo ondeggiava come una bandiera nella brezza leggera e il braccio destro teso in avanti, di una rigidità assoluta, sembrava l’asta di quella bandiera.

In un momento d’azione, di cui il libro non è costellato, il ragazzo dagli occhi grigi, freddi come il polo artico, in una danza da guerra, si abbatte contro due farabutti che tentano di violentare la donna. Jean ha solo sedici anni, ed è per questo che non può che figurarsi così: un uomo maturo nel corpo di un giovane venuto dal nulla. L’autore moralizza, induce alla riflessione, ferma il procedere narrativo all’improvviso: “Il problema è che la tua spaventosa frivolezza t’impedirà sempre di cogliere la dimensione tragica degli eventi”.

Buoni o cattivi, una favola novecentesca

Colpa di una superficialità della classe medio alta? Può darsi, ma il narratore non è mai spietato con la co-protagonista, la moglie del tenente. Lascia che sia la protagonista femminile a compiere l’autoanalisi, a fare i conti con il proprio passato, non solo recente. Come se in lei si racchiudesse la sconfitta di un’intera – o forse più d’una – generazione alle prese con una nuova guerra. Il microcosmo di Il ragazzo con gli occhi grigi è tipizzato, da una parte ci sono i buoni, dall’altra i cattivi, che la protagonista sembra riconoscere, come a disporre di un acuto intuito. Ovviamente il momento bellico li fa incontrare e scontrare, ma nessuno abbandona mai il suo posto assegnato dal narratore. Ognuno mostra ciò che è, presto o tardi, la natura dell’uomo emerge nettamente.

Gilles Perrault profonde così l’assaggio di un’arte narrativa dedicata alla naturalezza, primo capitolo di una trilogia incentrata sul filo conduttore della maison, ovvero la casa che i personaggi occupano lungo il loro pellegrinaggio verso la propria. In questa storia carica di paure riesce a raccontare la guerra come si narra Cappuccetto rosso ai bambini prima di dormire. L’eroe è recuperato, anche se veste i panni di un adolescente strambo. Il lupo c’è ancora, anche se intimorisce di meno. E’ come una “favola” amara, questa seconda guerra mondiale sotto la voce di Girrault, una favola per adulti.

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