Figure retoriche: le figure di sentimento

Le figure retoriche di sentimento si hanno quando si vuole mettere in evidenza lo stato d’animo poetico, modificando cosi un suono o  la struttura del verso. Le principali sono:

L’APOSTROFE: si ha quando un personaggio si rivolge ad un uditore ideale (non reale) con lo scopo di persuaderlo, manifestando sentimenti di dolore e di sdegno. Esempio:

“Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,

non donna di province, ma bordello!”

(Dante, Inferno, canto XXVI).

EPIFONEMA: consiste nel sintetizzare un discorso con una frase enfatica e solenne, sia in forma interrogativa che esclamativa, con valore didattico. Esempio:

“È funesto a chi nasce il dì natale”.

(Leopardi, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”).

IPOTIPOSI: descrizione di una persona, di un evento o di una cosa con particolare attenzione per i dettagli , con lo scopo di darne una rappresentazione visiva molto vivace. Esempio:

“e ‘l capo tronco tenea per le chiome, / pesol con mano a guisa di lanterna” (XXVIII 121-122).

INVETTIVA: discorso violento contro qualcuno. Esempio:

Ahi Pisa, vituperio de le genti

del bel paese là dove ’l sì suona,

poi che i vicini a te punir son lenti,

muovasi la Capraia e la Gorgona,

e faccian siepe ad Arno in su la foce,

sì ch’elli annieghi in te ogne persona!”

(Dante Alighieri, Divina Commedia, I, XXXIII, 79-84).

ESCLAMAZIONE:  sottolinea un particolare stato d’animo attraverso l’enfatizzazione di una determinata parola o frase. Esempio:

“Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!” (Pd XXVII 7).

Figure retoriche: le figure di parola

Le figure di parola riproducono all’interno di una verso degli effetti speciali. Tra le più utilizzate figurano:

L’ALLITTERAZIONE: consiste nella ripetizione di una lettera, di una sillaba o di un suono in parole seguenti, in questo modo si ha una successione  di termine foneticamente simili tra loro. Esempi: bello buono, tardi tosto, amore amaro.

L’ANADIPLOSI: consiste nel raddoppiare l’ultimo elemento di una proposizione all’inizio della seguente,conferendo cosi maggiore coesione all’enunciato. Molto usata del parlato. Esempi:

«Noi assistiamo […] grandi malati: malati di quella strana e talora paurosa malattia» (C.E. Gadda);  “amo il vento, il vento che mi accarezza i capelli”.

L’ ANAFORA: consiste nel riprendere una parola o una frase all’inizio di frasi successive. Esempio:

«Per me si va nella città dolente,

per me si va nell’eterno dolore

per me si va tra la perduta gente». (Divina Commedia, Inferno-Canto III).

L’ANASTROFE: consiste nello spostare l’ordine abituale  di parole successive. Esempio :

Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia quand’ella altrui saluta,

ch’ogne lingua deven tremando muta,

e li occhi non l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,

benignamente d’umiltà vestuta;

e par che sia una cosa venuta

da cielo in terra a miracol mostrare

(“Vita nuova” XXVI, 2-8).

L’ASINDETO:consiste in un’elencazione di parole o tramite coordinazione senza l’uso di congiunzioni (ma virgole). Esempio:

«Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,

le cortesie, l’audaci imprese io canto

… »

(Ludovico Ariosto, “Orlando furioso”, canto I).

IL POLISINDETO: consiste nell’elencazione di parole  o coordinazione di  frasi tramite congiunzione. Esempio:

«E ripensò le mobili

tende, e i percossi valli,

e il lampo de’ manipoli,

e l’onda dei cavalli,

e il concitato imperio,

e il celere ubbidir ».

(“5 Maggio”, A.Manzoni).

IL CHIASMO:  consiste in un incrocio  tra due coppie  di parole , secondo lo schema sintattico AB BA. Esempio:

«UNO PER TUTTI

TUTTI PER UNO »

(Alexandre Dumas. “I tre moschettieri”)

IL CLIMAX: consiste nel disporre frasi, secondo un ordine crescente in riferimento all’ intensità del loro significato per creare un effetto di progressione espressiva del discorso. Esempio:

«Noi siamo usciti fore

del maggior corpo al ciel ch’è pura luce:

luce intellettual, piena d’amore,

amor di vero ben, pien di letizia;

letizia che trascende ogne dolzore »

(DanteParadiso XXX)

« esta selva selvaggia e aspra e forte».

(DanteInferno I).

L’ENALLAGE: consiste nello scambiare  una parte del discorso con un’altra. Può avvenire tra due forme verbali, aggettivo e avverbio, nome e verbo, ecc.. Esempi:

“e cominciommi a dir soave e piana” (If II 56); “ed el sen gì, come venne, veloce” (Pg II 51).

L’IPALLAGE: consiste nel riferire grammaticalmente una parte della frase a una parte diversa da quella a cui dovrebbe riferirsi  dal punto di vista semantico. Esempio:

..”di foglie un cader fragile” (dove “fragile” dovrebbe riferirsi a “foglie” e non a “cader”)

(Giovanni Pascoli, da “Myricae”, novembre v.11).

L’ENDIADI: consiste nell’utilizzo di due o più parole per esprimere un concetto. Esempio:

“Fare fuoco e fiamme”.

L’EPANADIPLOSI: consiste nel far ricorrere una o più parole all’inizio e alla fine di una frase o di un verso. Esempio:

“Meditate, gente, meditate”.

L’OMOTELEUTO: consiste nel porre in modo simmetrico tra loro, due parole che terminano alla stessa maniera. Esempio:

“Chi si loda si imbroda”.

L’IPERBATO: consiste nello spostamento di un parte di sintagma all’interno dell’enunciato. Comprende anche l’anastrofe e l’epifrasi. Esempi:

“già prato di fiori vider, coverti d’ombra, gli occhi miei” (Par. XXIII, 80-81);

“più era già per noi del mondo vòlto” (Purg. XII, 73).

LA DIALISI: consiste nell’interrompere un periodo con un inciso. Esempio:

“Ho dimenticato, ma poi non era cosi importante, di dirle una cosa”.

L’ONOMATOPEA: consiste nel riprodurre un suono di un determinato oggetto, tramite procedimento iconico. Esempi:

strisciare, gracchiare, bisbigliare, fruscio.

LA PARONOMASIA: consiste nell’accostare due o più parole con significato diverso ma suono simile. Esempi:

“carta canta”, “chi dice donna dice danno”, “Senza arte nè parte”.

IL POLIPTOTO: consiste nel ripetere, a breve distanza, una parola già usata, modificandone il caso, il tempo, il modo, il numero. Esempio:

“Cred’ io ch’ei credette ch’io credesse…”

(Dante Alighieri, “Divina Commedia”, Inf., 13).

LO ZEUGMA: consiste nel collegare un verbo a due o più elementi di una frase , quando invece questi elementi richiederebbero ciascuno un verbo specifico. Esempio:

“Parlare e lagrimar vedrai insieme” (Inferno, XXXIII 9).

Giuseppe Ungaretti: rinnovatore ermetico

Nato ad Alessandria d’Egitto, nel quartiere periferico di Moharrem Bey, da genitori lucchesi l’8 febbraio 1888, il poeta dell’ “essenziale”, Giuseppe Ungaretti, trascorre lì l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza.

Il porto sepolto

Il padre Antonio, emigrato in Egitto come sterratore al canale di Suez, muore per una malattia contratta nel suo massacrante lavoro quando il figlio Giuseppe aveva solo due anni. Allattato da una nutrice sudanese, alla quale poi il poeta farà cenno in una delle sue poesie, “Le suppliche” (poi “Nebbia”), soffrirà in seguito di una grave forma di tracoma agli occhi costringendolo al buio per mesi.

Importante fu il ruolo svolto dalla madre Maria Lunardini nella formazione di Ungaretti che, nonostante le preoccupazioni legate alla necessità di crescere da sola i figli, riuscì a mandare avanti la gestione di un forno di proprietà con il quale garantì gli studi al figlio, che si potè così iscrivere in una delle più prestigiose scuole di Alessandria, la Svizzera École Suisse Jacot.

Gli anni egiziani sono segnati dall’amicizia fraterna con Moammed Sceab (che morirà suicida a Parigi e a cui saranno dedicati nel 1916 i versi d’apertura del “Porto Sepolto”). Con l’amico condivide la lettura del “Mercure de France”, prestigioso organo di diffusione della letteratura simbolista e decadente.

Sono questi gli anni in cui il giovane Giuseppe Ungaretti si avvicina alla letteratura francese e, grazie all’abbonamento a “La Voce”, alla letteratura italiana. Ha anche uno scambio di lettere con Giuseppe Prezzolini e successivamente inizia la frequentazione di Enrico Pea con il quale condivide l’esperienza della “Baracca Rossa”, un deposito di marmi e legname dipinto di rosso che diverrà sede di incontri per anarchici e socialisti.

Nel 1909 si trasferisce a Il Cairo dove s’impiega come curatore della corrispondenza francese negli uffici di un importatore di merci dall’Europa, ma dopo una serie di investimenti sbagliati, si sposta nuovamente e questa volta a Parigi, dove poi svolse gli studi universitari.

Venuto a contatto con un ambiente artistico internazionale, stringe amicizia con G. Apollinaire, ma anche con Giovanni Papini, Ardengo Soffici e Aldo Palazzeschi, con i quali inizia la collaborazione a “Lacerba”. Ma solo dopo qualche pubblicazione, decide di partire volontario per la Grande Guerra.

Quando nel 1914 scoppia la Prima Guerra Mondiale, Ungaretti partecipa alla campagna interventista, per poi arruolarsi volontario nel 19° reggimento di fanteria;  combatte sul Carso dopo l’entrata in guerra dell’Italia ed in seguito a questa esperienza scrive le poesie che, raccolte dall’amico Ettore Serra (giovane ufficiale), verranno stampate in 80 copie presso una tipografia di Udine nel 1916 col titolo di “Il Porto Sepolto”.

Stabilitosi a Parigi alla fine del conflitto, Giuseppe Ungaretti riceve da Mussolini l’incarico di corrispondente dalla Francia per il quotidiano “Il Popolo d’Italia”. Alla fine del 1919 appare “Allegria di Naufragi”, nel quale confluiscono le poesie del “Porto Sepolto”, il volumetto “La guerra” e altre liriche pubblicate su varie riviste italiane e francesi.

Gli anni ’20 segnano un cambiamento nella vita privata e culturale del poeta; si trasferisce a Marino (Roma), sposa Jeanne Dupoix, dalla quale ha due figli, e successivamente aderisce al fascismo firmando nel 1925 “Il Manifesto degli intellettuali fascisti”.

Nel 1936, durante un viaggio in Argentina, gli viene  offerta la cattedra di letteratura italiana presso l’Università di San Paolo del Brasile, che Ungaretti accetta; trasferitosi con tutta la famiglia, vi rimarrà fino al 1942.

In quello stesso anno ritorna in Italia dove venne nominato “Accademico d’Italia” e per chiara fama, professore di letteratura moderna e contemporanea presso l’Università di Roma.

In Italia raggiunge una certa notorietà e il 4 giugno 1970 si svolge il suo funerale a Roma, ma non vi partecipa alcuna rappresentanza ufficiale del governo italiano.

Allegria dei naufragi

“L’Allegria “segna un momento chiave della storia della letteratura italiana:  Giuseppe Ungaretti rielabora in modo molto originale il messaggio formale dei simbolisti (in particolare i versi spezzati e senza punteggiatura dei “Calligrammes” di Apollinaire, oltre all’uso delle cosiddette “mots-outils”, parole utensili che, collocate in posizione isolata aumentano la frantumazione metrica intensificando così i silenzi, in attesa di rivelazioni) coniugandolo con l’esperienza atroce del male e della morte nella guerra.

Al desiderio di fraternità nel dolore si associerà la volontà di cercare una nuova armonia con il cosmo, culminando nella poesia “Mattina” (1917):

“M’illumino d’immenso”.

 

o in “Soldati”:

“Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie”

 

Ungaretti durante il servizio militare

Questo spirito mistico-religioso, si evolverà nella conversione di “Sentimento del Tempo”raccolta caratterizzata da una complessità retorica , ritorno al classicismo, nonchè al Barocco come sentimento di decadenza di eterno, di caducità; e nelle opere successive, dove l’attenzione stilistica al valore della parola, indica nei versi poetici l’unica possibilità dell’uomo, o una delle poche possibili, per salvarsi dall’ “universale naufragio”.

Sicuramente il momento più drammatico del cammino di Giuseppe Ungaretti, è raccontato ne “Il Dolore”: la morte in Brasile, la cui natura è percepita come ostile e matrigna dal poeta, sulla scia di Leopardi, del figlioletto segnerà definitivamente il pianto dentro del poeta anche nelle raccolte successive ;struggente e drammatica a tal proposito la lirica “Gridasti: soffoco”:

 

“Non potevi dormire, non dormivi…

Gridasti: Soffoco…

Nel viso tuo scomparso già nel teschio,

Gli occhi, che erano ancora luminosi

Solo un attimo fa,

Gli occhi si dilatarono… Si persero…

Sempre era stato timido,

Ribelle, torbido; ma puro, libero,

Felice rinascevo nel tuo sguardo…

Poi la bocca, la bocca

Che una volta pareva, lungo i giorni,

Lampo di grazia e gioia,

La bocca si contorse in lotta muta…

Un bimbo è morto…

 

 

Nove anni, chiuso cerchio,

Nove anni cui nè giorni, nè minuti

Mai più s’aggregeranno:

In essi s’alimenta

L’unico fuoco della mia speranza.

Posso cercarti, posso ritrovarti,

Posso andare, continuamente vado

A rivederti crescere

Da un punto all’altro

Dei tuoi nove anni.

Io di continuo posso,

Distintamente posso

Sentirti le mani nelle mie mani:

Le mani tue di pargolo

Che afferrano le mie senza conoscerle;

Le tue mani che si fanno sensibili,

Sempre più consapevoli

Abbandonandosi nelle mie mani;

Le tue mani che si fanno sensibili,

Sempre più consapevoli

Abbandonandosi nelle mie mani;

Le tue mani che diventano secche

E, sole – pallidissime –

Sole nell’ombra sostano…

La settimana scorsa eri fiorente…

 

 

Ti vado a prendere il vestito a casa,

Poi nella cassa ti verranno a chiudere

Per sempre. No, per sempre

Sei animo della mia anima, e la liberi.

 

Ora meglio la liberi

Che non sapesse il tuo sorriso vivo:

Provala ancora, accrescile la forza,

Se vuoi – sino a te, caro! – che m’innalzi

Dove il vivere è calma, è senza morte.

 

 

Sconto, sopravvivendoti, l’orrore

Degli anni che t’usurpo,

E che ai tuoi anni aggiungo,

Demente di rimorso,

Come se, ancora tra di noi mortale,

Tu continuassi a crescere;

Ma cresce solo, vuota,

La mia vecchiaia odiosa…”

 

 

Come ora, era di notte,

E mi davi la mano, fine mano…

Spaventato tra me e me m’ascoltavo:

E’ troppo azzurro questo cielo australe,

Troppi astri lo gremiscono,

Troppi e, per noi, non uno familiare…

 

 

(Cielo sordo, che scende senza un soffio,

Sordo che udrò continuamente opprimere

Mani tese a scansarlo…)

A riconoscere in Giuseppe Ungaretti il poeta che per primo era riuscito a rinnovare formalmente e profondamente il verso della tradizione italiana, furono soprattutto i poeti dell’ermetismo che, all’indomani della pubblicazione del “Sentimento del tempo”, salutarono  il sensibile autore quale  maestro e precursore della propria scuola poetica, iniziatore della poesia “pura”, della  sacralità, del miracolo, del mistero, della parola, da recuperare insieme ad  un mondo primitivo, segreto ed innocente, attraverso la memoria (secondo le teorie di Bergson e Platone). Da allora la poesia ungarettiana ha conosciuto una fortuna ininterrotta. A lui, assieme a Umberto Saba e Eugenio Montale, hanno guardato come un imprescindibile punto di partenza molti poeti del secondo Novecento.

Figure retoriche: le figure di pensiero

Le figure retoriche sono particolari forme espressive, artifici del discorso volte a creare effetti particolari  a immagini, descrizioni, emozioni, sentimenti. Si distinguono in: 1) figure di contenuto 2) figure di parole 3) figure di sentimento. Nelle figure di contenuto, l’idea viene resa più incisiva attraverso un’immagine che ha con essa una relazione di somiglianza:

ALLEGORIA (da non confondere con il simbolo): consiste nella costruzione di un discorso in cui i significati letterali di ogni  termine  passano in secondo piano  rispetto al significato simbolico dell’insieme, (filosofico, etico, metafisico) , trasformando concetti astratti in immagini. In questo senso, l’allegoria  potrebbe essere definita come una sorta di metafora continuata  che consente di riconoscere i significati più nascosti, operando cosi su un piano superiore rispetto al visibile. Chiari esempi di allegoria sono offerti dalla Divina Commedia, la lupa che rappresenta l’avarizia,  il leone la superbia, e la lonza la lussuria.

ANTONOMASIA: consiste nel sostituire al nome proprio di una persona o cosa una perifrasi o un termine che indichi la peculiarità  che  caratterizza al meglio quella persona. Esempi:

Hai visto il Maligno”, “sei un Einstein”, “il pianeta rossa” , ovvero Marte, “l’eroe dei due mondi”, ovvero Garibaldi.

CATACRESI: o abusione, indica qualcosa per cui la lingua non offre un termine specifico. Sono specialmente antiche metafore e metonimie non più considerate tali, all’interno dell’evoluzione della lingua. Esempi:

il collo della bottiglia, bere un bicchiere, non stare più nella pelle.

PROSOPOPEA: consiste nel far parlare oggetti inanimati o animali, come se fossero persone, o persone assenti o defunte. Esempi: il mare mormora,  oppure le celebri Catilinarie di Cicerone dove egli immagina immagina che la Patria sdegnata rimproveri Catilina per avere organizzato una congiura contro di essa.

SIMILITUDINE: consiste nel mettere a confronto  due identità, in una delle quali si individuano somiglianze  paragonabili a quelle dell’altra, ricorrendo all’ uso di avverbi : come, simile a, sembra, somiglia, ecc.. Esempi:

Si sta come

d’autunno

sugli alberi

le foglie

(Giuseppe Ungaretti, “L’Allegria, Soldati”)

“Sei veloce come una lepre”.

SINESTESIA: particolare tipo di metafora che consiste nell’unire in stretto rapporto due parole che si riferiscono a sfere sensoriali diverse. Esempi: che bel profumo, voce calda.

IPERBOLE: consiste nell’esagerazione, nell’eccedere nella descrizione della realtà usando espressioni che l’amplifichino, dando cosi maggiore credibilità al messaggio che si vuole comunicare al destinatario. Esempi:

“Ti amo da morire!” “Non ti vedo da una vita!”

METAFORA: Consiste nel sostituire a una parola un’ altra parola legata alla prima da un rapporto di somiglianza, realizzando  in forma immediata il rapporto di somiglianza che solitamente  viene presentato in forma analitica con  una similitudine o un paragone, una vera e propria identificazione. Esempi:

“Sei una volpe”,  “Ragazzo d’oro”, “una montagna di libri”, “quella donna è una perla”.

METONIMIA: consiste nel sostituire una parola con un’altra che abbia con la prima un certo legame, logico o materiale , spaziale  temporale  o causale. Esempi:

“Vivere del proprio lavoro”, “Ho portato Montale all’esame”, “ho finito una bottiglia”, “ascolto il mio cuore”, “bronzo” per statua.

SINEDDOCHE:  procedimento linguistico simile alla metonimia ma se ne differenzia perché si basa su relazioni di tipo quantitativo,. Può indicare una parte per il tutto (vela per nave), il tutto per la parte (americano al posto di statunitense), il plurale per il singolare (l’inglese per gli inglesi), e anche il singolare per il plurare, il genere per la specie (il felino per il gatto), il numero determinato per l’indeterminato (migliaia di persone per dire molte persone) e l’indeterminato per il determinato.

PERIFRASI: detta anche giro di parole,  consiste nell’utilizzare, invece del termine proprio, una sequenza di parole per descrivere qualcuno o qualcosa. Si ha cosi una serie di parole o frasi, in genere più lunga. Le perifrasi  sono utilizzate nel linguaggio quotidiano  per evitare ripetizioni , per rendere più  comprensibile un concetto, oppure per evitare termini sgradevoli  o poco rispettosi (eufemismi). Esempi:

“Il bel Paese” ovvero l’Italia, “L’amor che muove il sole e le altre stelle” ovvero Dio nella Divina Commedia.

PERSONIFICAZIONE: consiste nell’attribuzione di, comportamenti, pensieri, caratteristiche  umani a qualcosa che invece non ha nulla di umano. Esempi: la Speranza, la Pace, l’Amore.

OSSIMORO: consiste nell’accostamento, voluto da chi scrive o parla, di due termine in antitesi , incompatibili tra loro .

Esempi: ghiaccio bollente, disgustoso piacere, silenzio assordante.

ANTITESI: consiste nell’accostare due termini o frasi di significato opposto.

Si può ottenere sia affermando una cosa e negando insieme la sua contraria. Esempio:

Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra ‘l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto ‘l mondo abbraccio.

Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m’ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.

Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.

Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.”

ANACOLUTO: consiste nel non rispettare la coesione tra le parti della frase, si ha cosi una sintassi “pendente”. Esempio:

“Il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare” (A. Manzoni).

LITOTE: consiste nell’affermare un concetto mediante la negazion del suo contrario. Esempio:

“Don Abbondio  non era nato con un cuor di leone”

(A. Manzoni, “I promessi sposi”)

 

Introduzione alla poesia del Novecento

Non è semplice rispondere alla domanda: “Quando comincia la poesia, specialmente quella italiana, del Novecento?” I critici infatti hanno trovato difficoltà nello stabilire una linea di demarcazione universale. Senza dubbio questo secolo è celebre per la sua indecifrabilità e frammentarietà e si può cercare di comprenderne le caratteristiche poetiche solo dividendolo in vari spezzoni. Per quanto riguarda la poesia italiana  primi segnali di cambiamento, che aprono strada al Novecento, si intravedono ne “I Canti” di Leopardi, con le sue rime sparse, che trasgrediscono il classicismo; secondo alcuni poi è Pascoli, con la raccolta “Myricae” l’iniziatore della poetica del Novecento, lasciandosi alle spalle la tradizione per far emergere, quasi fosse una stupefacente scoperta, la natura, gli animali, le piccole cose, dando loro voce. La metrica risulta più libera, piena di rinvii, parla all’animo del lettore, ma  questo accade perché cambia il ruolo del poeta, se ne ha una concezione diversa.

Non esiste più il poeta guida o il poeta romantico in grado di esprimere sentimenti difficilmente esprimibili per i più, ma il poeta ora è consapevole della crisi che vive, è desolato che non sa che dire se non parole sentimentali vane;  non è un caso che Corazzini si chieda in una sua composizione: “Perchè tu mi dici poeta?” e che Montale affermi che il poeta non è più  portatore di illuminazioni intellettuali e sentimentali (“Non chiederci la parola che squadri l’animo nostro informe…non domandarci la formula che mondi possa aprirti,/sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./ Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

Lo stesso Pascoli nella sua prosa “Il fanciullino” sostiene che il poeta si debba affidare ad uno sguardo infantile per poter liberare la realtà e il mondo dalla sterili abitudini, scoprendo nuovi orizzonti.

Ci si interroga, si riflette sul compito del poeta, si cercano nuove strade da percorrere attraverso avanguardie e sperimentazioni; a tal riguardo , convenzionalmente, si è posto come inizio il 1903 quando ci si ribella alla poetica di D’Annunzio, Carducci e anche Pascoli; fanno tendenza i crepuscolari attraverso il loro movimento, estranei alla cultura accademica e ispirati dal decadentismo europeo. I maggiori esponenti del crepuscolarismo sono Corazzini, Palazzeschi, Gozzano, Govoni che esprimono sentimenti di rassegnazione, malinconia; la poesia di Gozzano  è intrisa di ironia e raffinatezza , si pensi a “Nonna Felicita”considerata il suo capolavoro, dove il ricordo languido di un amore si confonde con la consapevolezza dello scorrere del tempo che rendono l’uomo angosciato. Gozzano inoltre conferisce ad oggetti e cose un certo alone evocativo e simbolico; e i crepuscolari sono tra i primi a sperimentare la poetica delle piccole cose che tanto caratterizzerà gli ermetici, successivamente.

Dimenticato D’Annunzio e la sua mitografia magniloquente e sensuale,si approda ad un tono più dimesso per rappresentare la realtà; e si giunge cosi all’importante esperienza dell’ermetismo, parola che indica chiusura, consapevolezza dello stato di disagio in cui vive l’uomo (“Spesso il male di vivere ho incontrato”dirà Montale in una delle sue poesie). I poeti ermetici sono avulsi dalla retorica, la loro attenzione è rivolta alle cose minimali, Ungaretti, Montale e Quasimodo rifiutano l’ottimismo, optando per l’essenzialità, adottando un linguaggio libero da ogni condizionamento retorico, prediligendo (soprattutto Ungaretti) l’analogia.

Più rarefatte risultano invece le poesie  di Montale, ricche di occasioni, di presenze, di incontri che rafforzano l’attaccamento del poeta verso la vita, pur non avendo meta. Rievoca il passato anche Quasimodo, che gli procura angoscia esistenziale nel presente, avvalendosi di spazi bianchi e di articoli indeterminativi, ma ricercando comunque la pace interiore.

Tutta l’arte (già dalla fine dell’Ottocento) diventa merce che tende ad essere considerata dalla classe borghese come strumento di svago e di distrazione, banalizzandola, conferendole un valore semplicemente ludico. Questo “consente” ad artisti e poeti di perdere il loro prestigio e tendano a vedersi come dei buffoni di corte con il trucco sbavato. I poeti maledetti (Baudelaire, Verlaine, Mallarmè . Rimbaud) si ribellano attraverso  della figura del dandy,  di chi ostenta la propria bellezza, eleganza e raffinatezza snob, avvalendosi della poesia pura. Protestano anche gli Scapigliati, contro il Romanticismo e il provincialismo della cultura risorgimentale; si lasciano affascinare dal disordine, dall’anticonformismo, dal tema della malattia.

Questo il manifesto degli Scapigliati, attivi nell’Italia settentrionale (termine utilizzato per la prima volta da Cletto ):

«In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui d’ambo i sessi v’è chi direbbe una certa razza di gente – fra i venti e i trentacinque anni non più; pieni d’ingegno quasi sempre, più avanzati del loro secolo; indipendenti come l’aquila delle Alpi, pronti al bene quanto al male, inquieti, travagliati, turbolenti – i quali – e per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato, vale a dire fra ciò che hanno in testa, e ciò che hanno in tasca, e per una loro maniera eccentrica e disordinata di vivere, e per… mille e mille altre cause e mille altri effetti il cui studio formerà appunto lo scopo e la morale del mio romanzo – meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia civile, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte quante le altre. Questa casta o classe – che sarà meglio detto- vero pandemonio del secolo, personificazione della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d’indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti, questa classe, ripeto, che a Milano ha più che altrove una ragione e una scusa di esistere, io, con una bella e pretta parola italiana, l’ho battezzata appunto: la Scapigliatura Milanese».

La nascita della società di massa porta anche allo sviluppo di una piccola borghesia intellettuale che vive  nell’industria culturale. Il bisogno di recuperare ruolo sociale importante si fa sempre più forte e gli artisti lo dimostrano attraverso la pubblicazione di riviste politico-culturali, nate a Firenze, come il Leonardo, La Voce, Lacerba, L’Unità, Il Baretti, La Ronda. Tra le avanguardie più significative spicca l’Espressionismo, i cui temi principali sono la città mostruosa, la civiltà delle macchine viste come caos senza senso, che si esprime attraverso le allucinazioni e le visioni inquietanti. All’interno di questo movimento, si sviluppa il Futurismo fondato da Marinetti nel 1909 che manifesta la necessità  di abolire i musei e le biblioteche,simboli di un passato  da superare, anzi da distruggere, esaltando invece il progresso, la velocità, la violenza, la guerra, la macchina. Marinetti  propone  parole in libertà, senza sintassi, abolizione della punteggiatura, uso dei verbi all’infinito. Sulla stessa lunghezza d’onda si pone anche il Dadaismo, che  rifiuta il moderno, la novità, ma anche la letteratura del passato. Per il Surrealismo invece l’arte deve  esprimere l’inconscio, luogo dove  reale ed immaginario, passato e presente si mescolano; proponendo una scrittura automatica, attraverso libere associazioni mentali.

La poesia europea è segnata dai nomi di Breton, tra i padri del Surrealismo, del futurista   Majakovskij in Russia; in Italia di Sbarbaro, di Rebora, di Campana e il loro senso di sradicamento, a causa del Fascismo  della guerra.

Negli anni trenta vengono a delinearsi  due tipi di letterati: “il letterato-letterato” e “il letterato ideologo”. Il letterato-letterato, sulle orme di Croce, è votato ad una poetica di disimpegno, trasfigurando il dato reale in  simbolo. L’intellettuale ideologo che si oppone al regime, come Gobetti e Gramsci, è messo a tacere . C’è anche molta letteratura, invece che letteratura che sostiene il regime, come Bartolini, Soffici, Rosai collegati al movimento Strapaese e alla rivista il Selvaggio, o  Bontempelli, collegato al movimento Stracittà e alla rivista “900”.

Incomincia in questo modo, con la poesia dell’impegno, la stagione neorealista o di denuncia che trova massima espressione anche nel cinema. Una grande influenza sulla poesia italiana di questo periodo ha la poesia europea rappresentata soprattutto dall’angloamericano Eliot e dal francese Valery; Eliot  con la sua poesia allegorica influisce sicuramente su Montale che renderà la sua poesia, appunto, allegoria a partire dalle seconda raccolta de “Le occasioni” con le sue donne-simbolo.

Nel 1956 nasce la rivista “Officina”, per opera di Pasolini, Leonetti e Roversi, che si propone di opporsi sia al neorealismo che al Novecentismo, ovvero contro la tradizione lirico-simbolico-ermetica , proponendo lo sperimentalismo, forme di scrittura nuove. Esplode in tal senso l’Antologia “I Novissimi” che contiene poesie di Giuliani, Sanguineti, Balestrini. Nel 1963, a Palermo nasce il “Gruppo 63”, movimento di neoavanguardia  di cui fanno parte  illustre personalità: Guglielmi, ,Eco, Lombardi, Arbasino, Sanguineti, Leonetti, e altri.

«Gruppo 63 è una sigla di comodo di cui spiegheremo un po’ più avanti l’origine. Di fatto dietro a questa sigla c’era un movimento spontaneo suscitato da una vivace insofferenza per lo stato allora dominante delle cose letterarie: opere magari anche decorose ma per lo più prive di vitalità […]. Furono l’ultima fiammata del neorealismo in letteratura, fioca eco populista della grande stagione cinematografica dei Rossellini e dei De Sica». (Balestrini, Giuliani)

Mentre  Calvino  invita a non considerare la letteratura come l’unica forma di contestazione possibile , Vittorini sostiene che  il tema industriale deve entrare nelle poesie e nei romanzi. Tuttavia intorno al ‘74-‘75 la Neoavanguardia è  già conclusa, sostituita  dall’irrazionalismo nietzschiano/heidggeriano dei filosofi Vattimo e Cacciari. Il 1984 rappresenta un anno importante: a Palermo si svolge  un dibattito, titolato “Il senso della letteratura”dove affiora una tendenza, anche se minoritaria, espressionista e neoallegorica.

Molta fortuna hanno riscosso riscuotono anche i poeti stranieri in Italia come Neruda, Kahlil, Garcia Lorca, Pessoa, Prevert, Allan Poe, Thomas, Stevenson, Dickinson, Renard, Lee Masters, Eliot, Kerouac, Sarandaris, Apollinaire, e tanti altri.

 

Valeria Serofilli: quando la poesia supera la memoria

Ha un valore di svelamento, di rivelazione ontologica, di riscoperta della memoria la poesia di Valeria Serofilli, autrice, tra oltre che di poesie, anche di saggi, racconti brevi e testi in prosa, e Presidente del Premio Nazionale di Poesia “Astrolabio”, nonché organizzatrice degli incontri culturali presso il Caffè storico dell’Ussero e  il Relais dell’Ussero a Villa di Corliano (interessanti e variegati “I quaderni dell’Ussero”) e curatrice della collana “Passi – Poesia, I libri dell’Astrolabio” per la Puntoacapo Editrice e redattrice della rivista di poesia arte e filosofia “La Mosca di Milano”.

Vince il Premio Astrolabio 2000 con la raccolta “Acini d’anima”, sincera, spontanea,intensa, che va dritta all’anima. Già dalla sua opera prima l’autrice dimostra di avere particolare predilezione per gli elementi naturali, che descrive con attenzione , grande sensibilità e soprattutto senza pessimismi. Nel 2002 viene pubblicata la raccolta “Tela di Erato”, ricco di metafore e sinestesie , simboli,  neologismi , accostamenti fonetici,colori intensissimi, che richiamano la classicità.

L’interiorità, l’evocazione e la memoria, sembrano accomunare Valeria Serofilli a Giuseppe Ungaretti e alla sua poesia incentrata sul senso della parola e della sua agnizione e specialmente al periodo della raccolta “L’allegria”dove il poeta si senta attaccato come non mai alla vita, proprio in virtù dell’esperienza della guerra che lo haavvicinato ancora di più all’altro, all’essere umano. Il lirismo asciutto e suggestivo della Serofilli  scaturisce dall’amore per la vita, dalla gioia di scoprirne il senso, lasciandosi estasiare dalla natura.

La produzione poetica prosegue con l’arguto“Fedro rivisitato” del 2004, compiendo un’originale operazione in relazione alla favolistica classica, una rivisitazione ben riuscita caratterizzata dall’unione dell’elemento moralistico, immancabile nelle favole, a quello umoristico, anzi satirico, senza però mai snaturare il contenuto.

Nel senso del verso” del 2006, raccolta che trasuda energia e vitalità da ogni parola, nonostante si soffermi sull’osservazione del quotidiano che potrebbe, alla lunga, risultare ripetitivo e noioso.  Assonanze, giochi di parole, libera successione di sillabe, sono atte ad emozionare il lettore, inducendolo a comprendere profondamente la necessità della poesia, conducendolo, come in un sogno, nel viaggio all’interno del senso del verso.

Emblematica a tal proposito la lirica “Il colore della vita” dedicata alla sua Pisa, dove realtà e fantasia si fondono:

Questa è la Pisa / in cui vivere noi stessi

paradiso cercato e mai dimesso

di torri svettanti, merli e di cipressi

 

madreperlacea perla a misura d’uomo

d’aria tersa e del più dolce abbandono

scissa dal caotico e dal sovrasuono

 

Pisa di piazze bianche / merletti su coperta

le mura impiastricciate di ricordi

 

Questa è la Pisa / di processioni al Duomo

vie crucis di lumini e di lampioni,

di Santi ladri e baci sulla pelle

altari e contraltari di certezze

 

Pisa filtrata di pino / lago e fiume

scoscesa di sovrumane splendide radure

con tal tranquillità di movimento

che l’occhio più sa gustarne il monumento

 

La Pisa del già visto e mai veduto

vive ora di marmo già scolpito!

 

Maggiore tensione e festosità si avverte leggendo le poesie della raccolta “Chiedo i cerchi”dove è evidente l’influenza di poeti come Luzi e Montale. Un “classicismo moderno”quindi , scevro da retorica e autocompiacimento, ma intriso di ironia tagliente e ricerca di nuovi stimoli, di crescendi affascinandi come dimostra il seguente passo:

Deliziosi alcuni suoi esiti, affidati alla tregua di un avvio non più, non mai agro ma in crescendo dolce: “Quell’imperfezione in più / ti rende perfetto / ai miei occhi / l’indecisione del tuo gesto / quel tuo astrarti / in te stesso / dal contesto”…

Commovente poi la lirica dedicata al padre “Ai più sereni cieli”:

Ora che più manchi/ più non manchi

e la tua memoria a quest’ora

s’intride di luce

 

Anche qui, tra la folla/ intossicata di vita

vocii richiami applausi

mi tieni compagnia

 

Più presente di quando/ al mattino

ti alzavi già stanco e soffermavi

la mente/ prima d’iniziare il giorno

 

Chissà com’è ora il tuo giorno

che non sia un’andata senza ritorno

un sonno privo di risveglio

 

Qui nell’aria una strana dolcezza

e non è certo tutto quel che resta

e mentre la calma acqua del Fiume continua a incorniciare Pisa

ho in me il tuo abbraccio/ astratto, ma non per questo meno caldo

 

Sei tu che più non soffri/ caro

o il ricordo di te/ a rifiorirmi dentro

senza addio?

 

Ora che ti so quieto/ adagiato sulla parte di me

che t’appartiene

ritorno bambina, fresca e fragile

a scrivere “padre mio, ti voglio bene”.

 

Il ricordo del padre fa ritornare la poetessa ad una dimensione di innocenza, attraverso la memoria, quando era bambina e gli scriveva parole d’affetto; ora che è adulta però pone delle domande ma non le interessa avere delle risposte,è serena perché sa che ora suo padre è “quieto”e le basta aver varcato quella soglia che la separava da suo padre.

C’è spazio anche per studi storici, il saggio in cinque capitoli sul folklore campano“I gigli di Nola” ne sono un validissimo esempio.

La scrittura stesse sembra muoversi a ritmo di festa, che l’assorbe, cosi vivace e scorrevole, ritraendo perfettamente, sebbene non sia nolana, lo spirito oggettivo e soggettivo delle festa, e la fusione si  elementi cristiani e pagani.

La raccolta “Amalgama”del 2010 raggiunge vette di raffinatezza come poche: armonia linguistica, autenticità, sapienti metafore, umanità rendono la malinconia e la nostalgia del vissuto limpida e fulgente:

BEN ALTRA CONTROVERSIA

Risparmia il verso che corre controvento

riscopri il senso che nutra di risveglio

il giusto pane, lievito / impastamento

per non rischiare cadute di non senso

falsi richiami a miti desueti

ferri lisi che non tessono divieti

freno che non unto si consumi

Tieni a ricordo il tempo del tuo gioco

di calcio, vicoli, urla e di risate

Tingi d’inchiostro il tuo accorato coro

e non ti curar di loro

ma vivi in ben altra controversia

per cinger tempie del più verde alloro.

 

Ciò che maggiormente colpisce di questa straordinaria e sensibile autrice contemporanea è la sua produttività, il suo modo di essere poeta, cosi  coinvolgente, contagioso, nuovo.

 

Per conoscere meglio l’autrice , visitate il sito www.valeriaserofilli.it

Metrica: verso, strofa e rima

La metrica studia la forma di una poesia che ne determina il ritmo; si decide in base alla lunghezza, al tipo dei versi, di strofa e di rima. Si distinguono: la metrica quantitativa, comune alla lingua greca e latina, in cui si utilizza l’alternanza di sillabe lunghe e brevi (fondamentale è il concetto di quantità, ossia di durata di un suono, vocalico o consonantico, di un dittongo o di una sillaba); la metrica ritmica, dove il criterio base è l’accento e si sfrutta l’alternanza di sillabe toniche e atone, e il numero delle sillabe.

Il verso è la sua unità ritmica minima di lunghezza variabile, è formato da sillabe, unità minime di realizzazione sonora del linguaggio; abbiamo quindi il verso piano (accento sulla penultima sillaba), sdrucciolo (sulla terzultima) e tronco (sull’ultima).

ll ritmo della lettura (cadenza musicale che caratterizza il verso) è dato dagli accenti più forti,il tipo di verso, più che dalla lunghezza in sillabe è definito soprattutto dalla posizione degli accenti forti al suo interno. Si hanno in questo modo i seguenti tipi di versi:

il monosillabo (una sillaba) formato da una sillaba;

il bisillabo (due sillabe) con l’accento ritmico sulla prima sillaba;

il trisillabo (tre sillabe) con l’accento ritmico sulla seconda sillaba;

il quaternario (quattro sillabe) con accenti sulla prima e sulla terza sillaba;

il quinario (cinque sillabe) con accenti sulla prima, seconda e quarta sillaba;

il senario (sei versi) con accenti sulla seconda e sesta sillaba;

il settenario  (sette versi)che ha il primo accento ritmico mobile mentre il secondo accento è fisso sulla sesta sillaba;

l’ottonario (otto versi) con accenti sulla terza e sulla settima sillaba;

il novenario (nove versi) con accenti sulla seconda, quinta e ottava sillaba;

il decasillabo (dieci versi) con accenti sulla  terza, sesta,  e nona sillaba;

l’endecasillabo (undici versi) con un solo accento obbligato sulla decima sillaba ed altri due accenti, fondamentali, mobili e vincolanti, sulla quarta e/o sulla sesta sillaba.

I versi doppi sono invece, versi uguali, in coppia nella stessa riga interrotti da una cesura o pausa. Ad esempio:

Al mìo cantùccio, / dónde non sénto

se nón le réste / brusìr del gràno,

il suón dell’óre / viène col vènto

dal nón vedùto / bórgo montàno:

suòno che uguàle, / che blàndo càde,

come ùna vóce / che pérsuàde.

(G. Pascoli, “L’ora di Barga”, vv 1-6).

Tra le figure metriche si distinguono le figure di vocale e quelle di accento. Le prime comprendono: -l’elisione (o sinalefe): fusione ina una sola sillaba della vocale finale di una parola e di una vocale iniziale della parola seguente. Esempio:

“nel muto orto solingo” (G. Carducci, “Pianto antico”);

episinalefe:  quando la vocale dell’ultima sillaba di un verso si fonde con l’iniziale del verso successivo. Esempio:

in mezzo a quel pieno di cose

    e di silenzio, dove il verbasco

(G. Pascoli, “La figlia maggiore”);

-iato (o dialefe): la vocale finale di una parola e la vocale iniziale della parola seguente formano due sillabe distinte. Esempio:

Gemmea l’aria, / il sole così chiaro (G. Pascoli, Novembre); – dieresi: separazione di due vocali che formano in dittongo , per cui si hanno due sillabe invece di una. Esempio:

con ozï /ose e tremule risate (G. Pascoli, I puffini dell’Adriatico);

-sineresi :è il fenomeno opposto alla dieresi. Esempio:

ed erra l’armonia per questa valle (G. Leopardi, “Il passero solitario”).

Le figure di accento invece sono: – le sistole: quando l’accento tonico di una parola si ritrae verso il suo inizio. Esempio:

quando verrà la nimica podèsta (Dante, “Inferno”, VI, v 96)     – invece di podestà ;

– e le diastole: quando  invece l’accento si sposta alla fine di una parola. Esempio:

abbraccia terre il gran padre Oceàno (U. Foscolo, “Dei Sepolcri”, v 291) – invece di Ocèano .

Vi sono poi  le licenze poetiche, ovvero degli errori voluti dal poeta , come :

protesi : quando si aggiunge una lettera o una sillaba all’inizio di parola;

Epentesi: quando si inserisce una vocale tra due consonanti;

Epitesi o paragoge: quando si aggiunge una sillaba alla fine di una parola (viurtude per virtù);

Aferesi: caduta di una sillaba o di una lettera ad  inizio di parola (guardo per sguardo);

Sincope: caduta di una o più lettere all’interno di una parola (spirto per spirito);

Apocope: caduta di una o più lettere alla fine di una parola (ciel per cielo);

Tmesi: divisione in due parti di una parola, di cui la prima è posta alla fine del verso, mentre l’altra all’inizio o nel mezzo del verso seguente :

(«Tra gli argini su cui mucche tranquilla-

mente pascono» Giovanni Pascoli, “La via della ferrata”).

 

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