Sui sentieri d’Irlanda, paese visceralmente indipendente, globalizzato a modo suo, che ama il progresso ma non lo baratta con la propria originalità

Un paese che ha dato i natali a Oscar Wilde, George Bernard Show, a James Joyce dovrebbe attirare la curiosità di chi voglia capire in che condizioni ambientali nascano creatività e genio. Questo approccio, per quanto idealista, non è fuorviante per capire l’Irlanda, terra di fini scrittori, di generosi bevitori di birra, di cordialissimi padroni di casa e di altre variegate conformazioni di carattere. Al fine di immergersi in un mondo così diverso occorre scaricare una serie di preconcetti mediterranei: il primo è che tutti ti vogliano fregare. In Irlanda anche i più sospettosi e introversi hanno un filo di incanto verso il prossimo. In secondo luogo, una coordinata importante è il tempo. Il tempo dell’Irlanda è lento ma non abbastanza da dare l’idea di accidia. Tutti hanno qualcosa da fare ma uniscono a questa condizione, la consapevolezza che c’è abbastanza tempo per farlo. Lo si vede dalle file al benzinaio, dalle code ai semafori: gli irlandesi sono distesi, indifferenti, celano sorrisetti di autocompiacimento: l’attesa non li snerva, forse ne corrobora la giovialità, forse negli intervalli vuoti architettano qualche buona battuta da usare nei pub.

Partiamo da Dublino. La prima impressione che si ha a Dublino è quella di un grande villaggio. Come nei villaggi tutta la vitalità è schiacciata al livello della strada, al piano terra o quasi. I palazzi raggiungono al massimo il terzo-quarto piano, tranne qualche rara eccezioni, e questo conferisce al paesaggio un clima di condivisione che in una metropoli è un’ insolita peculiarità. Per dare un’idea più efficace di questa sensazione occorre individuare la sua antitesi naturale, Milano, in cui, per qualche ragione, si ha l’idea che il vero gioco si stia giocando negli ultimi riservati piani di qualche palazzone.
Se Milano usa tutta la sua frenesia la mattina per prendere i mezzi pubblici, Dublino la spende la sera nei pub, e se a Milano la serietà è una garanzia di qualità, a Dublino ingenera sospetti.
Tutto questo però non ha contrappesi sul lato dell’efficienza, che oltre la Manica è una virtù scontata e proprio per questo amabile. Inutile elencare i vari luoghi di attrazione che sono disseminati a Dublino, dal disteso e magnifico Trinity College alle interessanti Gallerie, andarci è doveroso e divertente ma forse non è la cosa più importante. A Dublino non c’è molto da vedere, c’è più da sentire, da provare. In questo senso il viaggiatore oculare potrebbe rimanerne deluso o quanto meno perplesso.

I pub, come giustamente fa notare la mitica Lonely Planet, sono la prima meta perché sono la via d’accesso all’anima profonda del posto, un’autentica Stele di Rosetta per capire un linguaggio e un’ antropologia antica e immutata. I pub sono ovunque e sono tutti un po’ bui come devono essere le interiora di qualcosa. Bere birra è importante, non berla è possibile a patto di rimanere un po’ fuori dal gran gioco di società. Ma questo non dispiace all’osservatore, che per natura sa apprezzare anche le distanze. Se Dublino è interessante, la vera Irlanda, quella fuori Dublino, è perfino iniziatica. Uscire da Dublino significa traversare un luogo originario, profondo, in cui la parola geologia ha un significato tangibile e stupefacente per noi che veniamo da terre ricoperte da scorze enormi di cemento: basti pensare alle imponenti scogliere occidentali, al tavolato del Burren, al più morbido Kerry, linee molto diverse che delineano un volto policromo e poliforme di cui si rimane infatuati. Le zone che ho visto arrivando nella bellissima cittadina di Galway sono quasi disabitate, si incontrano case sparse a svariati chilometri di distanza. Le case sono discrete, nel senso che presenziano con discrezione. Hanno colori chiari e tetti molto inclinati che riprendono le sfumature dell’ardesia. Nei centri abitati che si incontrano lungo le vie di comunicazione, le dimore diventano a mano a mano più colorate quasi a segnalare con gioioso incanto la presenza di una contrada umana. Il punto forse è proprio questo. Se George Bernard Shaw scrisse che gli angeli in paradiso non sono nessuno di speciale, è anche vero che in alcune zone della Terra, vista la rarefatta demografia, gli uomini possono esserlo.

Galway è una graziosa città sull’oceano, un luogo ventoso in cui l’orizzonte è quasi sempre grigio scuro, un ultimo lembo di terra in cui si capisce meglio che altrove la parola confine. Continuando giù si incontra il tavolato calcareo del Burren e poi altri paesaggi, pieni di laghetti, animali selvatici e indisturbati esseri umani. I paesini sono legati al centro da imponenti cattedrali gotiche che molto spesso fiancheggiano un campo santo con le caratteristiche alte croci con l’anello, simbolo della cristianità irlandese. Non è difficile incontrare nel sud strade stracolme di B&B come nella zona di Killarney: non lasciatevi confondere dal nome un po’ inflazionato, sono gioielli rari: molte volte sono fattorie che offrono ospitalità a buon mercato, altre sono raffinate ville di campagna con visuali epifaniche sulla natura.

Galway city

Al di là della bellezza, c’è qualcos’altro però in Irlanda, un’idea politico-esistenziale o qualcosa che somiglia ad una profezia positiva. Nell’Irlanda come è oggi c’è un’alternativa per il mondo di domani: un ritorno alle relazioni, ai luoghi d’incontro, una progressiva riabilitazione della vita con gli altri. A differenza di qualche ristorante conformemente alternativo delle zone nostre, nei pub di Dublino non c’è mai scritto “Posa il cellulare, comunica!”, ma nessuno lo usa perché la convivialità prevale e ha qualcosa di sacro. Quanto al rapporto con la natura, tutto lascia immaginare un equilibrato contratto con la civiltà, in cui quest’ultima si rassegna ad essere una parte del tutto. Il clima che si respira non è quello scanzonatamente alcolico che la vulgata scolaresca riporta in Italia, né c’è solo profonda meditazione come vorrebbero gli integralisti del paesaggio, ma entrambe le cose insieme fanno dell’Irlanda la patria di un metodo di meditazione: uno zen atipico, strutturato come un’ideologia e leggero come una piuma. Ultima nota, la guida a sinistra dà la sensazione di essere contromano: è una sensazione gradevolissima e propedeutica alla comprensione di quella terra.

 

Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/societa/sui-sentieri-dirlanda/

Sequestrati dal Tribunale beni e conti della Lega Nord

In questi giorni il Tribunale di Genova, in attesa della sentenza definitiva, ha proceduto alla confisca cautelativa di beni fisici e conti correnti della Lega Nord, recentemente condannata, nelle persone di Umberto Bossi e figlio, ex-tesorieri e vari altri amministratori. Il partito, attualmente capeggiato da Matteo Salvini, deve infatti restituire alle casse dello Stato una somma ammontante a 58 milioni di euro di rimborsi elettorali letteralmente volatilizzati (senza che nessuno dei principali esponenti, a partire da Maroni e dallo stesso Salvini, abbia mai saputo giustificarne l’ammanco). Ora il segretario della Lega, secondo un consueto copione da politica italiana, anziché rimanere nel merito del provvedimento, preferisce buttarla in caciara (come si dice in quel di Roma, “ladrona” secondo i primissimi slogan leghisti), parlando di una persecuzione politica e giudiziaria.

Risposta dei sindaci M5S ai nubifragi di questi giorni

In numerose parti d’Italia si sono registrati negli ultimi giorni diversi incidenti causati dalle abbondanti piogge. Spiccano tra le varie città Roma e Livorno, dove gli allagamenti, le devastazioni e le vittime hanno reso la situazione particolarmente pesante. I rispettivi sindaci giocano allo scarica-barile per la mancata messa in sicurezza di molte zone dei comuni da loro governati oltreché per la lentezza nei soccorsi, ricorrendo così a un costume della politica italiana vecchio ma sempre di moda.

Galline che copiano, ovvero Augias e Galimberti alle prese con le uova al Fipronil

Augias: Secondo te i nostri libri cosa sono?
Galimberti: Sono uova.
Augias: Come?
Galimberti: Prendi due uova, una sana, una con il Fipronil. Mischiale senza guardare.
Augias: Fatto.
Galimberti: Dimmi, quale ha il Fipronil?
Augias: Non lo so.
Galimberti: Esatto!
Augias: Non si vede la differenza.
Galimberti: Noi copiamo così bene, che non si vede la differenza!
Augias: Dunque neanche l’indifferenza!
Galimberti: Sì, non si vede nulla, nessun riferimento al libro copiato, così il libro sembra nostro.
Augias: Però il Fipronil è nocivo, uccide.
Galimberti: Uccide il copiato, non il copiatore. Anzi, il copiatore vive e sopravvive grazie al Fipronil. Ti ricordi la storia delle galline di Orwell ne La fattoria degli animali?
Augias: Sì, si rifiutarono di consegnare le uova, vennero messe a digiuno per punizione, nove di loro morirono, ma le altre si arresero e consegnarono le uova.
Galimberti: Cosa ne ricavi?
Augias: Che gli originali, gli autori, diciamo le galline oneste, senza le nostra fama, le nostre recensioni, i nostri commenti, i nostri contatti, le nostre benedizioni, sono a digiuno, muoiono, se vogliono vivere devono consegnare a noi la loro opera.
Galimberti: Giusto.
Augias: Quindi noi vorremmo essere galline?
Galimberti: No!! Siamo più furbi, perché tutti credono che le uova siano nostre, ma è a loro, agli autori-gallina, che brucia il culo.
Augias: Allora noi chi siamo?
Galimberti: Il Fipronil!

Caso Giulio Regeni: problemi di comunicazione tra Obama e Renzi

Emerge ora che al tempo del governo Renzi l’intelligence americana aveva inoltrato all’Italia un dossier esplosivo col nome dei mandanti dell’omicidio di Giulio Regeni in Egitto. Tra essi spiccava il presidente Al Sisi, col quale il governo italiano allora in carica allacciava rapporti piuttosto stretti. Il dossier fu messo a tacere o ignorato…

Proseguono gli insulti alla Boldrini

Pochi giorni or sono Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati, lamentava legittimamente le pesanti ingiurie ricevute tramite social dai cosiddetti “leoni da tastiera”. Confidiamo si riprenda presto dalla brutta esperienza, anche grazie a rilassanti soggiorni estivi che i privilegi della sua carica le concedono (e a cui, come noto, ricorre volentieri).

Di Maio surrealista

Durante un’intervista rilasciata a Vanity Fair il candidato premier per il Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha affermato che il suo modello politico è Sandro Pertini. Le reazioni, soprattutto sui social, improntate a un ironico e impietoso confronto tra l’amato presidente della repubblica degli anni ’80 e l’attuale deputato, non si sono fatte attendere…

Exit mobile version