“Haiku- Centomila stagioni di cuore”, la nuova raccolta poetica di Lisa di Giovanni

“Haiku- Centomila stagioni di cuore” di Lisa Di Giovanni (Edizioni Jolly Roger) è una raccolta poetica che ci trasporta in un viaggio attraverso le stagioni e l’amore, utilizzando l’antica forma poetica dell’haiku. Con una struttura divisa in cinque sezioni — una per ciascuna delle quattro stagioni e una dedicata all’amore — il libro esplora i cambiamenti ciclici della natura e i momenti fugaci, ma profondamente intensi, dell’esperienza umana.

La scrittura di Lisa Di Giovanni è delicata e contemplativa, evidenziando una raffinata capacità di osservazione affinata dalla sua carriera nel giornalismo. Attraverso i suoi haiku, in soli diciassette sillabe, riesce a catturare l’essenza di paesaggi naturali e sentimenti, offrendo una finestra aperta su mondi ricchi di dettagli. La semplicità dello stile si unisce a un tocco personale e moderno, trasformando ogni componimento in un piccolo capolavoro di chiarezza ed emozione. Le stagioni vengono dipinte con immagini vivide e dettagliate: l’autunno è caratterizzato da foglie dorate, nebbie avvolgenti e crepitii del camino; l’inverno è il silenzio della neve, il gelo e la magia dei cristalli di ghiaccio; la primavera risveglia i sensi con boccioli, piogge tiepide e voli di rondini; l’estate brucia con il sole, il mare e le melodie dei grilli. Queste descrizioni non solo mostrano il cambiamento della natura, ma anche i riflessi emotivi che tali cambiamenti suscitano nel cuore umano.

La sezione dedicata all’amore approfondisce le sfumature delle emozioni amorose: dalla gioia alla nostalgia, dalla passione al conforto. Attraverso le immagini poetiche, l’amore emerge come un’esperienza multiforme e universale, intessuta con le stagioni della natura e della vita. Di Giovanni dipinge momenti di intimità con grande delicatezza: baci sotto la pioggia, mani intrecciate, vecchie lettere cariche di ricordi che riemergono, testimonianza di un sentimento che, nonostante il tempo, continua. La struttura del libro mira a creare un’esperienza di lettura condivisa: mentre una persona legge i versi, l’altra può concentrarsi sull’immagine correlata, immergendosi nel profondo legame tra parola e arte visiva. La stessa poesia si sviluppa in un ambiente rilassante e multisensoriale, potenziata dall’uso di incenso e tisane, come suggerito nella quarta di copertina.

 

 Sinossi

L’Haiku è un tipo di espressione poetica breve fiorita in Giappone intorno al 1600 e si compone, nella sua forma canonica, di tre versi suddivisi in diciassette sillabe (che poi sarebbero “more”, ma per semplicità chiamiamole pure sillabe). Beneficiò del suo massimo splendore durante il periodo Edo con i versi del celebre Matsuo Bashō, ed è giunto ai nostri giorni attraverso una serie di contaminazioni che ne hanno fatto una forma di espressione poetica tra le più ricercate. Dallo schema sillabico 7-5-7 siamo approdati a configurazioni più duttili, dettate dalle esigenza comunicative che prevedono la reciprocità di flusso tra parola scritta e lettore, così che la moderna arte dell’Haiku – pur rispettando la filosofia che ne guida da sempre il componimento – si gratifica di un respiro più ampio svincolandosi dai rigidi schemi metrici ai quali la poesia dei Maestri giapponesi era assoggettata. L’interazione che si viene a creare, inoltre, tra parola e immagine, plasma un nuovo approccio interpretativo al componimento, permettendone la godibilità anche come lettura di coppia. Gli Haiku presenti in questo volume, infatti, sono composti da tre versi e un’immagine ciascuno, proprio affinché ci si possa alternare tra la lettura del testo e la contemplazione dell’illustrazione, affinché chi si concentra sulle immagini possa assorbirne il profondo legame con i versi senza dover distogliere occhi, attenzione e anima dalla figura che completa l’Haiku. L’alternanza tra narratore e spettatore, magari vissuta in un ambiente rilassante e impreziosito dall’aroma leggero di un incenso non troppo aggressivo, crea così un rapporto profondo che fonde poetica e immagine generando un vincolo super sensoriale tra i protagonisti di questa esperienza condivisa.

L’autrice

Lisa Di Giovanni, originaria di Teramo e residente a Roma da oltre vent’anni, è una figura poliedrica nel panorama professionale e culturale italiano. Laureata in psicologia con un master in HR Executive Manager presso la RBS, lavora per una società di telecomunicazioni. Dirige inoltre un ufficio stampa che si occupa di editoria, pubbliche relazioni e organizzazione eventi: PR & Editoria. È consigliere nel direttivo dei Lions Valle Siciliana-Isola del Gran Sasso e portavoce dell’ANAS, dove si occupa di pubbliche relazioni e progetti di inclusione sociale. Come giornalista, dirige il semestrale “La finestra sul Gran Sasso” e la rubrica “Echi di Psiche” per Fix on Magazine. Ha pubblicato diverse opere con Edizioni Jolly Roger e ha co-creato la serie di fumetti “Human’s End” con Marco Sciame. Dal 2021, fa parte di un team di eccellenze italiane supportato dalla Confederazione AEPI ed è cofondatrice del marchio ‘Sinapsi 180’. Per Edizioni Jolly Roger è anche responsabile della collana “Poesia”.

 

‘Le donne di Maddalena’, il romanzo rurale di Giuseppina Mormandi

Edito Blitos EdizioniLe donne di Maddalena di Giuseppina Mormandi esplora un recente passato, fatto di dolore, segreti e donne che erano costrette a tacere. L’autrice affronta il tema della questione femminile nei primi anni del ‘900, quando la donna era un oggetto inattivo all’interno di una società patriarcale il cui utilizzo era solo al fine della procreazione. La maestria con cui Mormandi descrive le atmosfere rurali e semplici, tipiche di un piccolo paese in quell’epoca storica, trascina il lettore in un avvicendarsi di diapositive in bianco e nero, nel corso della lettura, in cui non si può fare a meno di sentirsi parte del racconto e di quel tempo non troppo lontano. Il romanzo è ambientato nell’immaginario paesino di Pietraia, intorno ai primi anni del ‘900; quando la storica levatrice viene a mancare sopraggiunge in quella piccola realtà contadina e semplice, come quasi tutti i paesi dopo la Grande Guerra, Maddalena: una ragazza bellissima discendente da una generazione di donne che aiutano a mettere al mondo bambini. La sua è un’entrata particolare: arriva a Pietraia a dorso di un asino con pochi averi ma con una sedia pulitissima.

 

Maddalena è la nuova Mammana: la donna che aiutava le altre donne a partorire, a celare una gravidanza indesiderata, o dava il suo sostegno a partorienti che avevano vergogna o timore del loro stato. Nonostante, all’inizio, il Paese la accolga con glacialità e indifferenza pian piano Maddalena diventa punto di riferimento per le donne di Pietraia. Confidente, amica e guida la sua figura appare essenziale per quelle donne abbandonate a una piccola e tacita realtà. Attraverso il personaggio di Maddalena ci si interfaccia con un’epoca storica che mette di fronte alle rapide trasformazioni della vita quotidiana e a quanto la donna fosse costretta ad affrontare sfide giornaliere al limite della sopravvivenza. Ma la protagonista del libro di Giuseppina Mormandi non è solo una Mammana, ma è anche una bellissima donna; alta, slanciata e con lunghi capelli neri acconciati per mezzo di lunghe trecce, la sua bellezza diventa fonte di fastidio per gli uomini di Petraia.

‘’Era nata verso la fine dell’Ottocento, di bella presenza, trecce nerissime che portava attorcigliate sulla testa a forma di corona. Di carnagione delicata, con occhi azzurri che contrastavano con la capigliatura corvina; sulle orecchie spiccavano un paio di orecchini d’oro molto particolari, raffiguranti un’ape con incisa sopra la lettera emme stilizzata’’.

Se da un lato don Alessandro, farmacista del paese, anela alla giovane quasi come fosse un sogno proibito e irraggiungibile, il parroco Don Luigi si accosta alla figura di Maddalena con aria supponente e superiore: il mestiere di Maddalena è un’ etichetta, a prescindere, e per via della sua professione, automaticamente, il parroco la considera priva di vergogna, impudente e spudorata.

Nonostante la trama segua le vicende di Maddalena, quello che colpisce del romanzo – oltre alla dovizia di particolari e all’estrema abilità descrittiva di momenti, luoghi, emozioni e atmosfere – è l’intersecarsi di varie storie nell’intero filone narrativo. La questione femminile si snoda attraverso vicende variegate che raccontano il dispiacere e il dolore di tante donne. Maddalena è ormai punto di riferimento per  la popolazione femminile di Petraia: la chiamano non solo per i parti ma per qualsiasi altro problema. La sua, però, è una missione delicata che non lascia spazio a questioni personali; spesso il suo lavoro significa anche raccogliere un fagottino, ben celato agli occhi altrui, e lasciarlo alla ruota del convento delle monache.

La grazia di Maddalena nella sua professione, fatta con discrezione, scoperchia un altro doloroso punto per le donne del passato: le ruote dell’abbandono, note come ruota degli esposti,  sinonimo di dolore, gravidanze indesiderate, povertà, violenza, miseria. L’autrice fa luce su un passato patimento che ha investito e travolto tante, troppe donne: la vergogna e la paura di una gestazione, le violenze subite da uomini di potere, un modo di vedere l’attività sessuale solo come dovere coniugale, la copulazione atta esclusivamente a scopo procreativo. L’imbarazzo di un argomento tabù come il sesso in un ambiente dominato dagli uomini; una società che marginalizzava il sesso femminile, relegandolo a una condizione di passività che le voleva come incubatrici  per la procreazione in un contesto di povertà e di eterna vergogna cucita addosso, solo per il semplice motivo di esser nata donna o di mettere al mondo altre figlie, donne, convivendo con un bruciante senso di mortificazione.

Il fulcro della trama è, però, legato alla sparizione di Maddalena; la sua scomparsa getterà l’intero Paese nella desolazione completa e nel senso di smarrimento.  Sarà proprio la sparizione della protagonista a recare un intenso colpo di scena all’interno della trama. La sua assenza segnerà la vita delle donne di Paese, facendo comprendere quanto invece la sua presenza fosse essenziale per la comunità intera. Le ipotesi sulla sparizione si avvicenderanno nei discorsi dei paesani che, attoniti, non sapranno cosa pensare di questo improvviso allontanamento. Fino a quando Maddalena farà ritorno, con un finale non scontato e sorprendente.

La trama complessa e avvincente induce il lettore a numerose riflessioni grazie anche alla narrazione in cui si intersecano diverse storie, quasi come fosse un romanzo corale. L’autrice evoca atmosfere di un passato che si intreccia a tematiche di sofferenza femminile attraverso una delicatezza narrativa ed elegante capace di cogliere sfumature di afflizione, resilienza e forza esplorando temi universali come le trasformazioni di una società, il supplizio consunto di anime mute, il potere della solidarietà femminile.

Le donne di Maddalena racconta la dura condizione femminile, l’epidemia di spagnola, l’ombra aleggiante delle ‘’ gestazioni del disonore’’, la mancanza di cultura e la povertà di ambienti rurali e semplici,  i sogni infranti di quelle donne del passato che parevano vivere solo attraverso la vita che davano ai figli. In alcuni tratti della lettura sopraggiunge, quasi involontariamente, un parallelismo con L’Amica Geniale:  in Elena Ferrante La maternità è presentata in tutta la sua complessità, non priva sentimenti negativi, angoscia e sofferenza. Le donne non hanno desiderio sessuale, ma devono subire quello degli uomini, il sesso è un dovere nei confronti dei mariti che non può mai essere negato e anche la procreazione, come nel romanzo di Mormandi, diventa l’unico appiglio alla vita.

Leggendo Le donne di Maddalena di Giuseppina Mormandi si ha come l’impressione di leggere un capolavoro tipico della poetica neorealista; riportando alla memoria antiche consuetudini dei piccoli paesi rurali, l’autrice  fa luce su un mondo dimenticato fatto di lacrime silenti e di donne che hanno combattuto portando nel loro intimo un tormento  muto ma pulsante.

Virilità, ‘oltre il maschio debole’

Prima ancora di diventare cavia per la scienza, punturina performante per qualche film porno inglese, oggetto d’antiquariato fascista su qualche bancarella sul lungomare estivo di Cattolica od ossessione per qualche collettivo femminista, la virilità appare tipo la Madonna, come manifestazione d’origine: nudità dell’uomo innanzi a sé stesso. È forza fisica che si accompagna alla compattezza intellettuale – nel ricordo della Kalokagathia – e alla rettitudine morale – un padre che si fa esempio per manifestarsi al figlio – è la prosperità e la morte, la guerra e la fertilità, il mondo selvaggio di Ercole che doma il leone e di San Michele Arcangelo che azzitta il demonio sotto i suoi calzari: il governo delle forze prorompenti della vita e della natura, così del proprio spirito.

È ancora il fallo che diventa divinità oltre la banalizzazione pornografica, tanto in Giappone, quanto nella mitologia romana con Priapo, poi nuda muscolarità – così come nel 2013 la mascolinità fu intelligentemente raccolta in una potente mostra al d’Orsay , “Masculin/Masculin”, l’universo maschile attraverso l’arte – la punta del fioretto nel duello che fece “giustizia” tra Bontempelli e Ungaretti o il ver sacrum, rito arcaico con cui si fondavano nuove colonie, come anche rinnovata competizione tra maschi, fondamento della virilità, come ben inquadra Jack Donovan nel suo Le vie degli uomini:

“Interagiamo socialmente come membri di un gruppo o dell’altro. Questa ripartizione non è arbitraria o culturale, ma sostanziale e biologica. I maschi non devono limitarsi a comportarsi da maschi con le femmine, ma anche con gli altri maschi […] Le donne pensano di poter rendere gli uomini migliori riducendo la mascolinità a ciò che desiderano da essi. Ovviamente, gli uomini vogliono che le donne li desiderino, ma l’approvazione femminile non è l’unica cosa che gli interessa”.

Oltre il maschio debole

Tra i suoni della fondazione interiore, la virilità rimane certificazione di originalità rispetto alla creatura, sanità strutturale, e diventa arma contro la corruzione del tempo e delle anime. È forza generatrice, individuale, conflittuale, un atto equilibrante che migliora l’uomo perché lo rende capace di esplorare i propri limiti, le proprie fragilità, il dolore, il senso del rifiuto, del fallimento, esistendo in una continua dicotomia di attacco e difesa, coraggio e disperazione; l’esatto contrario della pratica del presente, in cui non v’è dialogo con la sensibilità per l’uomo della folla, universale, senza confine, obbligato a un continuo superamento del limite, per questo incapace di pensarsi e di generare un pensiero critico, di approfondire ciò che vive, perché destinato alla replica, alla produzione, a scambiare la felicità con la soddisfazione della gratificazione istantanea, confondendo i contorni di ogni ruolo per confluire nel calderone dell’emozione di servizio, di uno stato di agitazione emotiva permanente.

Così ci ricorda Roberto Giacomelli nel suo Oltre il maschio debole (Passaggio al Bosco):

“Il maschio debole, deprivato di [queste] forze ancestrali indispensabili alla virilità, è senza difese nei confronti di qualsiasi aggressione. Questa subdola strategia, palese o subliminale, impedisce l’integrazione delle naturali pulsioni aggressive, che non riconosciute ed accettate: essere vengono represse, generando disagio psichico”.

La virilità nell’uomo integro, realmente sovrano di se stesso, dunque, è una forza unificante e non distruttrice, generatrice, che trova traduzione e che, oltre ogni insana lettura ideologica, equilibra le dimensioni interiori, affinché la saggezza e la potenza, il carisma e la forza, l’amore e l’odio, il credere e l’agire, l’aggressività e la pace coesistano in un’efficace declinazione.

Elevazione sopra la paura che non è sfida di tossica mascolinità ma un’acquisizione di consapevolezza rispetto alla propria natura umana, debole e fragile, origine di quel thymos caro a Platone e Aristotele, come ira che smuove il cuore e la mente degli uomini nella ricerca della salvezza che non si può barbaramente confondere con l’aggressività: bestemmie per il mondo del conformismo e della demolizione dei sessi nei mille generi possibili, in cui tutto è ridotto alla freddezza scientifica, di cui ci parla anche Harvey Mansfield nel suo Virilità (in Italia per LiberiLibri):

“Sia la psicologia sociale sia la biologia evoluzionistica, infatti, si occupano soltanto della manifestazione più rozza della virilità, l’aggressività, ignorando del tutto, invece, il fenomeno dell’assertività virile. Un uomo virile si fa valere affinché la giustizia in cui crede non resti inascoltata. Si espone per richiamare l’attenzione su ciò che ritiene importante, talvolta su questioni molto più grandi di lui. Il fatto è che la scienza […] ignora completamente il thumos”, come “qualità dell’animo che spinge in particolare gli uomini virili, a rischiare la vita per salvarsi la vita. Siccome la virilità vive di quel paradosso, deve essere necessariamente più complessa del banale istinto all’aggressione, alla dominazione e all’autoconservazione a cui la scienza cerca sempre più di ridurla […]”.

Nel perfetto bilanciamento delle condizioni evocate esiste la virilità. L’istinto del maschio a dominare e dominarsi, proteggere e non soffocare, affrontare e non umiliare, se stesso e il sesso opposto, è orientato da una “morale del Bene” che punta alla generazione della felicità e della realizzazione per mezzo di valori e principi portanti, come l’onore e il rispetto, la diplomazia e la forza, l’onestà e la pietà – insieme ad altri – oggi vissuti come pericoloso retaggio limitante il progresso antropologico nel mondo dell’indistinto. Gli uomini, dunque, ritrovino la “disponibilità a sudare e sanguinare” (Jack Donovan) perché combattere, come ci ricorda Sam Sheridan, non è tanto una superficiale “prova di virilità”, bensì qualcosa che ha a che fare con la conoscenza di sé (…)”

 

‘’L’altra Metà di Giove’’ di Rossini-Lupi, cambiare la vita attraverso il passato

L’altra metà di Giove è il romanzo di Mariateresa Rossini e Jacopo Lupi edito Lupieditore che indaga le profondità dell’animo umano e, soprattutto, sottolinea quanto il passato sia fondamentale nella storia di ognuno, arrivando alcune volte condizionare in modo complesso il presente. Una lettura scorrevole che, tuttavia, attraverso il viaggio emotivo e personale del protagonista scandaglia sfumature e aspetti della vita umana che, spesso, emergono sotto forma di battaglie interiori quando meno lo si aspetta. Il filo conduttore dell’intero romanzo sembra racchiuso in un quesito che, indirettamente, si pone al lettore: le ombre e i legami del passato, il tempo che è stato, quanto possono condizionare la vita quotidiana? Partendo da questa domanda il romanzo conduce il lettore, in modo magistrale e delicato, verso una riflessione profonda: è possibile spezzare le catene che tengono prigionieri in un tempo remoto difficile metabolizzare, ed è possibile guarire emotivamente rinascendo in un nuovo presente fatto di libertà e leggerezza, emotiva soprattutto.

Il protagonista del romanzo è Giove, un giovane ragazzo universitario dal nome importante, un nome  che da bambino era stato causa di scherno ma a cui ha sempre tenuto tantissimo. Un ragazzo con, all’apparenza, una vita tranquilla: nel corso della lettura numerosi personaggi (Sun, Ambra, Cristal, Richie la Dottoressa Soul) daranno numerosi spunti di riflessione al lettore, in una trama che capitolo dopo capitolo sembra sempre aggiungere un tassello in più facendo percepire a chi si accosta alla lettura l’autenticità dell’intero romanzo. La vita di Giove scorre lenta accanto al ricordo vivido dell’amato Nonno Giulio: un personaggio emblematico, un avvocato ‘’vecchia scuola’’ dedito al suo lavoro ma con un rimpianto doloroso,  quello di non esser riuscito a salvare la moglie Rosa – che lui amava chiamare Rose – persa in una fredda giornata di primavera.

‘’Ero tanto felice in quei momenti, e la vicinanza di nonno Giulio non mi faceva sentire quella solitudine che ogni tanto percepivo. […]Spesso da piccolo, anche quando ero in compagnia, quella sensazione di mancanza, di malinconia, mi veniva a fare visita, ed era faticoso far finta di nulla, mascherarla con un sorriso per non far preoccupare i miei genitori. Con il nonno invece era diverso, riuscivo a dirgli sempre tutto, a fargli le domande che ai miei genitori non riuscivo a fare, e lui sapeva sempre come consolarmi, come farmi tornare a star bene’’.

Una vita come tante, quella di Giove, che sarà trasformata da un colpo di scena: un evento improvviso, infatti, costringerà il protagonista a fare i conti con le parti oscure e adombrate del proprio essere, nonché con la propria fragilità. A questo proposito, è possibile notare come il romanzo affronti con estrema maestria sia il tema dei legami familiari, e la loro l’influenza nel quotidiano, sia l’importanza del confronto con sé stessi: scendere, rimestare, trascendere e rinascere.

Naufragare per poi riemergere: le Costellazioni Familiari

La bellezza di questo libro, che può essere configurato in  un romanzo di formazione,  si può notare anche dalla capacità degli autori di affrontare tematiche complesse in toni delicati e liliali ma, soprattutto, è interessante riscontrare come il lettore possa immedesimarsi nelle battaglie interiori del protagonista e nel concetto di rinascita. La narrazione non è statica ma si inserisce in un contesto che se da una parte induce alla riflessione sulla base degli eventi che dovrà affrontare Giove, dall’altra esplora l’interessante concetto delle Costellazioni familiari. Il protagonista non solo andrà a confrontarsi con quelle ombre lugubri celate per troppo tempo dentro se stesso ma questa dimensione  lo ‘’investirà’’ anche in un senso più tangibile e concreto, non solo per mera astrazione; Giove, infatti, nel corso della trama sarà travolto da culmini di disperazione  ma sarà proprio grazie a questo oscuro spazio della sua vita che riuscirà a tornare in carreggiata sui binari della propria esistenza attraverso un viaggio interiore , profondo, meditato e doloroso. Accanto a lui c’è sempre la figura di Sun: complicata ma luminosa, metafora di luce in un susseguirsi di circostante tetre che oscurano la vita di Giove.

La relazione con Sun sarà essenziale per il protagonista in quanto, grazie al suo personaggio, riuscirà a giungere a una completa comprensione del proprio Io. In questo senso emerge l’interessante concetto delle Costellazioni Familiari di Bert Hellinger, tecnica di analisi e terapia che si sviluppa nell’ambito della psicologia sistemica e che riprende aspetti di altre teorie come lo psicodramma di Moreno, l’ipnosi di Milton Erickson e la psicologia della Gestalt. La pratica delle Costellazioni Familiari analizza come i legami familiari celati influenzino il quotidiano e quindi scelte e dinamiche del soggetto. Un passato che influenza il presente: le Costellazioni Familiari rendono consapevole una persona che si trova imprigionata in dinamiche cristallizzate, offrendo delle soluzioni per risolverle . Una presa di coscienza contrassegnata da metodi risolutivi per liquefare tutto ciò che di tetro si è assorbito da quel nucleo di origine che è la famiglia, arrivando a condizionare il presente della persona e impedendo il raggiungimento dell’autentica felicità.

 

‘’Emilia guardò Sun confusa, le avvicinò le labbra a un orecchio e le sussurrò: «Le Costellazioni possono aiutare a liberare i blocchi emotivi e a portare alla luce schemi familiari nascosti. Molte volte, ciò che viviamo nel tempo presente è legato a dinamiche familiari che risalgono a generazioni fa. Quando lavoriamo su questi schemi, possiamo guarire e avere relazioni più sane con noi stessi e con gli altri»’’.

 

L’altra metà di Giove. La complessità delle emozioni umane foriera di rinascita

 

Nel corso della trama il passato si presenterà al protagonista: le influenze dei legami familiari su Giove si tradurranno in conflitti che il giovane dovrà affrontare e cercare di dipanare. Uno schema che ogni lettore può aver vissuto nel corso della propria vita; la lotta interiore del protagonista diventa occasione di spunto riflessivo e, in questo senso, gli autori offrono una visione globale di tutte le emozioni sperimentate: c’è la battaglia, ma anche l’emozione, il sentimento e soprattutto la complessità. Complesso, come spesso capita di pensare, non è sinonimo di prolisso.

Il libro è un viaggio totalizzante in un mondo interiore decostruito e , in alcune pagine, quasi onirico che giunge nel finale a una costruzione cosciente  spiegando e analizzando ogni sfumatura dell’animo e dell’emotività umana. La complessità analizzata nel testo di Lupi e Rossini è sinonimo di arricchimento interiore, di propensione al dettaglio, ma non di difficoltà nel senso più funereo del termine ma di intrico che si risolve con una rinascita luminosa e abbagliante, anche se questo significa dover fare i conti con circostanze ferali e funeste. Un libro che offre una prospettiva diversa:  a volte il passato è limitante, ma la rinascita è possibile e anche la libertà.

‘Moti d’inerzia’, di Mariagrazia Spadaro Norella. L’architettura dei personaggi

“Moti d’inerzia”, è il nuovo libro di Mariagrazia Spadaro Norella, costruito sulle infinite combinazioni dell’architettura e pubblicato da Edizioni Libreria Croce di Fabio Croce, in distribuzione da giugno 2024.

La forza di “Moti d’inerzia” risiede senza dubbio nella costruzione di personaggi autentici. Ognuno di essi, sviluppato con cura e profondità, risuona in armonia con gli altri, intrecciando storie di vita che si richiamano a vicenda. I personaggi sono infatti sapientemente miscelati, creando un racconto strategico ed emozionante.

Numerosi sono i temi che l’autrice, attraverso una narrazione coinvolgente e moderna, porta alla luce: dipendenze, figli perduti e ritrovati, solitudini e incapacità di amare, allucinazioni e follia, fino ad arrivare all’abuso sessuale e all’ossessione per le proprie ambizioni. I sogni raccontati da Spadaro Norella svelano il lato oscuro e inedito della loro natura. I protagonisti di “Moti d’inerzia” sognano in grande, e proprio i loro sogni li conducono verso un baratro fatto di privazioni, slanci eccessivi e mortificazioni del corpo. Sono storie emozionanti, dove il sogno si dissolve, lasciando spazio alla disillusione.

L’opera offre profonde riflessioni sulla realizzazione personale e sulla difficile ricerca di un’identità artistica significativa. È un viaggio all’interno dei personaggi, capace di cogliere le loro più intime peculiarità, i loro sogni e i loro peccati. Un testo che, pagina dopo pagina, guida il lettore nelle vite di persone comuni, descritte con un linguaggio fluido e colloquiale.

Il titolo, “Moti d’inerzia”, è perfetto per rappresentare un mondo in cui l’inerzia e il movimento si mescolano, dove l’alternanza tra andare e tornare diventa l’unica via per vivere appieno. Mina, Paola, Simona, Bartolomeo, Pietro, Mattia, e molti altri personaggi apriranno le porte delle loro esistenze ai lettori più attenti, offrendo un’opera moderna che affronta con profondità numerosi temi di grande rilevanza.

I protagonisti di “Moti d’inerzia” – attori, pittori, cantanti, circensi – sono prigionieri dei loro stessi sogni artistici. Ognuno, intrappolato nella propria vita, è incapace di trovare il proprio posto nel mondo. Queste storie, tutte pervase da un’amara ironia e ambientate nelle periferie romane, raccontano di dipendenze, figli perduti e ritrovati, solitudini, incapacità di amare, allucinazioni e follia.

Info biografiche

Mariagrazia Spadaro Norella è nata a Roma nel 1966. Architetto appassionato, si è dedicata principalmente al recupero di aree degradate nelle città come Roma, Milano e Torino, restituendo questi spazi ai cittadini. Ha partecipato a concorsi internazionali di architettura, focalizzati sullo sviluppo di piazze e periferie, oltre che sulla realizzazione di musei e laboratori artistici in scuole ed edifici industriali dismessi. Attualmente si occupa della ristrutturazione di grandi uffici. Parallelamente alla sua professione, ha iniziato a scrivere: dapprima testi tecnici e di settore, poi racconti, culminati nella raccolta “Moti d’inerzia” negli ultimi quattro anni. Nel 2023, ha seguito il percorso di specializzazione “Narrativa/Romanzo Over 30” presso la Scuola Holden di Alessandro Baricco. Attualmente frequenta un corso di sceneggiatura presso la Scuola Tracce a Roma. Il suo sogno è trasformare uno dei racconti della raccolta in un film.

 

‘Non è il paese di Dracula’. Paolo Ciampi esplora la Romania oltre gli stereotipi in un nuovo reportage di viaggio

Da oggi in libreria Non è il paese di Dracula (Bottega Errante Edizioni), il nuovo libro di Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, che ci accompagna alla scoperta della Romania, una terra ricca di fascino e contraddizioni. Cos’è la Romania? Questa domanda, punto di partenza del viaggio, si trasforma in un’opportunità per scardinare luoghi comuni e scoprire un paese ricco di storia, cultura e bellezza paesaggistica. Un viaggio che dalla capitale si snoda attraverso le selve e i castelli della Transilvania, fino a raggiungere le coste più remote bagnate dal Mar Nero.
Un reportage leggero ma documentato che mescola storia, incontri, gastronomia, immaginari. Non sarà dunque facile dare una risposta, in questa terra che continua a fare i conti con un’ingombrante eredità socialista e le insegne al neon della globalizzazione.

Prima di un libro è stato un viaggio in cui le sorprese sono andate di pari passo col dissolversi di tanti luoghi comuni. E alla fine il lontano e il vicino si sono mescolati ed è arrivata la sorpresa più grande di tutti: la Romania, ho scoperto, poteva essere lo specchio di ciò che è l’Italia, di ciò che siamo stati e siamo noi italiani. Con le nostre storie intrecciate, ma anche con le tante amnesie e i tanti pregiudizi che dicono più di noi che dei romeni.
È successo in uno dei momenti più straordinari che ho potuto vivere in Romania, mentre cenavo col pesce del Danubio in un villaggio del Delta, a pochi chilometri dal Mar Nero. Mi sembrava di abitare una sorta di nicchia spazio-temporale. La sensazione di essermi lasciato tutto questo grande paese alle spalle ma anche di potermi portare qualcosa di importante al ritorno in Italia.
Allora è da qui che vengono, mi sono detto. E ho pensato alla dentista che ha curato i miei denti e ai muratori che mi hanno rimesso a posto la casa; al ragazzo che ogni mattina mi porge i giornali e ai tanti studenti che ho incontrato nelle scuole: tutti romeni, i nostri nuovi concittadini.

È da qui che vengono, mi sono ripetuto, da questo paese dove sono stato accolto con calore e gentilezza.
E non so spiegarmi bene, ma è pensando questo che ho sollevato un bicchierino di grappa di prugna. Ho brindato a me e alla Romania, a me e all’Italia, a me e all’Europa. E davvero non so spiegarmi bene, ma mi sono sentito migliore.

La Romania e i luoghi comuni. Nella migliore delle ipotesi: si va perché è la terra di Dracula. Ecco, l’ho detto, così mi tolgo subito il pensiero. Non è per questo che sto partendo? Allo stesso modo di quando me ne andai in Galles e Cornovaglia alla ricerca di Re Artù. Allora è per questo che può valere la Romania, per il Principe della Notte? Non ne sono tanto convinto.

L’autore

Giornalista e scrittore fiorentino, Paolo Ciampi ama intrecciare letture e cammini in città o in montagna, che ha raccontato in libri quali La strada delle legioni, Tre uomini a piedi, Per le Foreste Sacre L’aria ride. Ha all’attivo una trentina di titoli per editori quali Arkadia, Mursia, Vallecchi, Giuntina, Ediciclo, Edizioni dei Cammini, Clichy, Spartaco. È stato selezionato per il Premio Strega nel 2020 con L’ambasciatore delle foreste e nel 2022 con Il maragià di Firenze. Recentemente ha pubblicato anche La terapia del bar e Anatomia del ritorno, mentre per Bottega Errante è già uscito nel 2019 con Gli occhi di Firenze, nel 2022 con Un popolo in cammino, nel 2023 La zingara di Montepulciano. Attivo nella promozione degli aspetti sociali della lettura, partecipa a numerose iniziative nelle scuole. Organizza piccoli festival e rassegne in bar, circoli di periferia e borghi dell’Appennino.

‘Olocausta’ di Giuseppe Mastrangelo. Le parole prima dell’azione

Il 12 settembre del 1919 D’Annunzio guidò un gruppo di militari da Ronchi fino a Fiume. Tra l’inverno e l’estate del 1920 le trattative internazionali portarono ad un compromesso: la città contesa divenne uno stato indipendente. L’8 settembre del 1920 gli uomini di D’Annunzio che occupavano la città la chiamarono “Reggenza italiana del Carnaro”. Con questa istituzione D’Annunzio ottenne il controllo della città. La Reggenza ebbe una costituzione, la Carta del Carnaro, scritta da Alceste de Ambris e rielaborata dal Vate. Questo statuto prevedeva un modello di società utopistico.

L’atmosfera dei ruggenti anni venti rivive nel libro Olocausta di Giuseppe Mastrangelo che si prefigura come un raro esempio di romanzo storico breve italiano contemporaneo.

Il romanzo è ambientato nel periodo storico della conquista e permanenza a Fiume di Gabriele D’Annunzio e della proclamazione della Reggenza del Carnaro. Insieme a figure frutto di immaginazione, quale quella della protagonista, vengono quindi tratteggiati personaggi ed eventi storici reali anche se, ai fini della narrazione, non sempre la biografia delle persone e la cronologia degli eventi corrispondono a come si sono effettivamente svolti.

Il resto è tutto vero. Dal 12 settembre 2019 al 18 gennaio 1921, per la prima e finora unica volta nella storia, un poeta ha guidato una rivoluzione. Una straordinaria avventura che ha visto un popolo e il suo Vate anticipare i costumi di cinquant’anni. In questa città-Stato fu vissuta la prima rivoluzione sessuale della modernità. Un sessantotto sperimentato nei fatti con mezzo secolo di anticipo e dove per la prima volta si imposero realmente i principi della parità dei generi, dell’uguaglianza e del diritto alla felicità, per come codificati nella Carta del Carnaro.

Mastrangelo nel raccontare la sua storia individuale, fa conoscere al lettore un importante pezzo di storia sconosciuto ai più, un significativo esempio di come le idee e i valori democratici possano essere applicati in una comunità. Questo documento è stato un esempio innovativo di come le istituzioni possano essere modellate in modo tale da garantire la massima partecipazione dei cittadini alla vita politica. La Carta del Carnaro è infatti un documento di grande valore storico e culturale, che rimane ancora oggi a testimonianza dei valori della società fiumana, nonché una delle carte costituzionali più interessanti della storia italiana.

Olocausta offre l’occasione all’autore di far comprendere a fondo cosa spinse degli italiani ad aderire alle idee di D’Annunzio tra i promotori di  una legge fondamentale aperta e dinamica, poiché, oltre a servire da strumento ordinatore e stabilizzatore della vita sociale, indicava i processi che dovevano ancora essere realizzati.

L’autore mostra come la Costituzione di Fiume può essere intesa come un ordine politico-sociale carente di concretezza sul piano della prassi reale. Lo statuto non solo rispose all’esigenza del suo momento storico, quella di stabilire la struttura dello Stato, la forma di governo, il modo di acquisizione e di esercizio del potere, l’organizzazione dei suoi organi, i limiti di attuazione, i diritti e le garanzie individuali, i fondamenti dei diritti economici, sociali, politici e culturali, ma servì anche come strumento principale della società del futuro.

Mastrangelo epura la vicenda storica da ogni possibile ideologizzazione concentrandosi sull’aspetto sentimentale e sul potere rivoluzionario che la Carta di d’Annunzio a Fiume quando decise di darsi nel 1920, al momento in cui parve necessario a lui e agli altri membri del suo Comando strutturare quel potere nella forma di un nuovo Stato:

«Stamani» proseguì D’Annunzio. «Stamani dopo una notte di veglia stellata, mi rifluivano nel cuore quella freschezza e quella potenza, mentre guardavo entrare nel porto prezioso come una conca di perla la nave carica di frumento condotta dai miei Uscocchi.» E indicò il bastimento su cui tutti si erano fermati nei loro affaccendamenti per ascoltarlo. «Non aveva campane Fiume, da suonare a stormo? Non aveva bande di rondini, da riempire il cielo di strida? Fiume non ha campane e non ha rondini. Ma ha i suoi grandi Alalà. Compagni, abbiamo il nuovo pane. Sembra pane fatto con il frumento di quel solstizio.

L’entusiasmo degli uomini e dell’unica protagonista donna di Olocausta è contagioso, e ci riporta ad un epoca storica dove emerge in tutta la sua chiarezza l’insofferenza per le categorie politiche ottocentesche di destra e sinistra, giudicate superate dai tempi e incapaci di dare effettiva espressione ai bisogni della nuova società di massa. Alla fine dell’Ottocento infatti , dopo che d’Annunzio fu eletto deputato ed entrò in Parlamento sui banchi della destra, già l’anno successivo, dopo l’assassinio del re Umberto I, annunciò la sua conversione politica: d’ora in avanti, disse, sarebbe stato un uomo di sinistra, perché essendo “uomo d’intelletto vado verso la vita”. 

Va verso la vita Vittoria, soprannominata Olocausta, che subirà un mutamento radicale, insieme a Guido Keller che crede nel potere delle parole:

«Le parole sono azione, Giovanni» rispose senza alcuna esitazione e sempre sorridendo Keller. «Io ho portato qui a Fiume il più grande parolaio del mondo e solo grazie alle sue parole l’avventura è potuta iniziare e andare avanti. Parole di miele innervate nel ferro dei fucili e nella polvere da sparo delle bombarde. Ma senza le parole né i fucili né le bombarde possono attivarsi.»

Non è un caso che Mastrangelo rappresenti il Vate come un grande affabulatore, capace di incantare le masse grazie alla sua ars oratoria, in modo teatrale, come se stesse seducendo una donna. Se il contesto storico ricostruito è ineccepibile, l’azione viene sovrastata dalle parole proprio in virtù dell’importanza che queste rivestono per D’Annunzio, parole che fondevano insieme Bergson e Nietzsche, vitalismo e nichilismo, e facevano da appoggio ad avanguardie più diverse, ma unite dall’odio per la democrazia.

Una riproposizione in chiave romanzesca della Carta del Carnaro forse trova il suo senso proprio con Mastrangelo: nel suo far emergere in controluce le alternative possibili che sussistevano all’indomani della Grande Guerra, giacché essa è in fondo il lascito più ambizioso di un’impresa, quella di d’Annunzio, che contiene ed esprime un dualismo attualissimo: tra gestione autoritaria e gestione liberale e democratica del potere, tra disconoscimento sostanziale e rispetto puntuale dell’alterità, tra cittadinanza esclusiva e cittadinanza inclusiva. 

‘L’ultimo continente’ di Alberto Muzzi. Tra thriller, ambiente e geopolitica

L’Antartide è stata scoperta prima di Cristo ed è stata toccata fisicamente nel XVIII secolo, nonostante già Aristotele parli del continente. Questa terra gelida e ghiacciata che contribuisce continuamente ai cambiamenti del nostro pianeta, con le sue dimensioni è uno dei moti principali del sistema naturale/ambientale globale. Il primo che toccò le coste dell’Antartide fu James Cook nel 1774, mentre le prime missioni italiane si facevano in nave partendo dalla Nuova Zelanda.

L’avvocato Alberto Muzzi, cimentandosi in un saggio geopolitico e ambientale dialogato dai risvolti thriller e distopici, sposta l’azione della vicenda raccontata ne “L’ultimo continente” pubblicato dal Gruppo Editoriale Santelli, in un futuro non troppo lontano.

Nel 2039, l’aumento vertiginoso delle temperature ha reso l’Antartide un territorio abitabile. I governi di vari Stati attendono in segreto la scadenza, ormai prossima, del Trattato di Internazionalizzazione dell’Antartide, per appropriarsi di un continente vergine, incontaminato e ricco di risorse naturali. Leo, consulente legale di Roma, viene ingaggiato da Katrine, geologa e figlia del presidente del Sud Africa, per assisterla in una disputa legale contro la Gas Prom, multinazionale norvegese che la ragazza reputa coinvolta nella morte del padre. Mettendo alla prova le sue doti investigative, Leo scoprirà l’esistenza di una società segreta, della quale la stessa Katrine fa parte, chiamata “Protocollo”. I due resteranno intrecciati in una pericolosa missione internazionale da cui dipendono le sorti dei popoli di tutto il pianeta. La storia di questo romanzo, sebbene inventata, è paurosamente plausibile, perché basata su fatti storici, evidenze documentali ed eventi realmente accaduti.

L’ultimo continente richiama alla memoria l’omonimo eco-romanzo di Midge Raymond, ma a differenza del romanzo della scrittrice statunitense, l’opera di Muzzi si concentra sul senso di inquietudine che domina la storia e i rapporti di potere sulle questioni ambientali e climatiche cui fa da contraltare il rapporto sentimentale tra i due protagonisti. In tal senso è degna do nota la costruzione dei personaggi principali. Leo ad esempio è l’antieroe della storia, un uomo comune, che si trova improvvisamente catapultato in un mondo più grande di lui, fatto di segreti e complotti che minacciano la sua vita, Katrine, invece è una donna forte e determinata, guidata dal desiderio di giustizia e dalla volontà di scoprire la verità sulla morte del padre. La loro relazione costituisce di per se un breve racconto sentimentale immerso in una vicenda geopolitica complessa, un inserto romantico che conferisce maggiore umanità ed emotività alla storia.

La scoperta dell’esistenza del “Protocollo”, una società segreta di cui Katrine fa parte, complica ulteriormente la trama. Si tratta di gruppo, che opera nell’ombra, impegnato a prevenire che l’Antartide cada nelle mani sbagliate, proteggendo non solo il continente ma anche l’assetto geopolitico globale; è credibile l’idea di una società segreta che lavora per il bene comune attraverso mezzi non convenzionali? Questo si chiede inevitabilmente il lettore, che si sente non estraneo all’ambientazione distopica, talmente è plausibile e razionalmente realizzabile. Non mancano riferimenti alla stretta attualità e in particolare al gigante energetico russo Gazprom attualmente in declino a causa del crollo delle vendite:

«Seguiamo il filone russo…» rispose cripticamente. Ero indeciso se insistere o meno. Vivevo nel costante timore di “svelare” la mia finzione. Gretel aveva parlato di attività commerciali della Gas Prom. Alex parlava, adesso, di “filone russo”. Feci uno più uno.
«Intende le attività commerciali intrattenute dalla Gas Prom con il governo russo?»
«Esattamente» rispose ancora Alex che, però, non aveva alcuna intenzione di sbottonarsi.

La Russia d’altronde, si presta benissimo a storie dove i complotti e gli intrighi la fanno da padrone, complice la natura misteriosa e incomprensibile dell’orso russo, intuita da Winston Churchill: “La Russia è un indovinello avvolto in un mistero all’interno di un enigma”, celebre citazione il cui significato sembra davvero aleggiare per tutto il libro, inducendo il lettore ad interrogarsi sul valore della visione politica e culturale adottata da una Nazione.

Muzzi dimostra abilità nel mantenere alta la tensione narrativa, alternando convincenti passaggi thriller, inserti informativi sulla storia delle spedizioni in Antartide, a momenti di riflessione, di analisi storica, attraverso soprattutto lo sviluppo dei personaggi che interpretano spesso i pensieri che si pone il lettore. L’intreccio, sebbene abbastanza complesso, si dipana chiaramente, grazie ai colpi di scena ben congegnati da parte dell’autore che contribuiscono a mantenere alto il livello di suspence.

L’autore

Alberto Muzzi, avvocato, laureato in Diritto Commerciale Internazionale all’Università di Firenze. Consulente in materia di impresa e diritto ambientale. Appassionato di viaggi e di scrittura, trae ispirazione dalle mete che ha visitato.

Exit mobile version