Solo dalle ferite può uscire un respiro vitale, che coincide con un cambiamento esistenziale che ha il sapore di una pacificazione familiare: è questo uno dei messaggi che contiene il romanzo di Aldo Cernuto, copywriter e direttore creativo in network pubblicitari, dal titolo Le due vite di Tu, romanzo di formazione sotto forma epistolare che non risparmia al lettore un doppio finale.
Le due vite di Tu racconta i due momenti contrapposti della vita del protagonista: nella prima parte l’autore si concentra sulla nascita fino all’adolescenza di un bimbo in apparenza ritardato, figlio di genitori separati.
E’ il padre a rivolgersi a suo figlio, facendo mea culpa e spiegandogli le cose della vita, affinché cresca forte e consapevole. Al momento T segue il momento U che si svolge ai giorni nostri: il protagonista, ormai realizzato professionalmente, fa un bilancio della propria vita, bilancio che lo condurrà verso una resa dei conti finali toccante e drammatica.
Il romanzo è un tirare le somme della propria esistenza fatta di errori più o meno deliberati, indispensabili per avere quel coraggio che basta per prendere per mano il proprio figlio e condurlo sulla strada della maturità. L’uomo ricorda le tappe decisive della vita del figlio con dolcezza e precisione quasi avesse un diario sotto gli occhi:
“La svolta della tua vita, o perlomeno l’abbrivio verso la curva decisiva, avvenne un venerdì sera, nel mese d’aprile del 2011. Rientravi da una giornata trascorsa distribuendo volantini in centro: cinque euro all’ora per promuovere un candidato alle imminenti elezioni comunali. Data la misera retribuzione, l’avresti detta una campagna non tanto in suo favore, ma contro di lui. Rientrato a casa con i piedi a bollore, trovasti un solo studente: gli altri erano tornati alle proprie famiglie per il weekend. Fu proprio lui, intento a curare con aria assente delle uova strapazzate, a parlarti di un’offerta di lavoro vista online: pensava potesse interessarti perché, disse testualmente, cercano uno che sa scrivere”.
Uno degli aspetti più interessanti del romanzo è rappresentato dal ruolo, dalla funzione salvifica della scrittura, che come sosteneva Aharon Appelfeld può diventare la porta d’ingresso per quel mondo che sta nascosto dentro di noi. La parola scritta ha la forza di accendere la fantasia e illuminare l’interiorità.
In tal senso l’uomo, rendicontando la propria esperienza e riflettendo sulla genitorialità, mette a frutto due grandi doti dell’essere umano, la “parola” che dà suono ai pensieri, e la “scrittura” che conferisce loro un senso nel tempo.
Il tulipano che fiorì tra la neve, di Susy Vizzo, edito da Eclipse Word Publishing, ancora oggi, a distanza di quasi tre anni dall’uscita del primo volume e di oltre due e mezzo dalla pubblicazione del secondo, fa parlare di sé.
La scrittrice casertana, fin da piccola sviluppa un grande amore per le arti: disegno, canto, musica e i libri. Dopo il diploma scientifico, si iscrive alla facoltà di Lingue e Letterature Moderne europee, che le permette di conciliare il suo amore per la letteratura con la passione di girare il mondo.
A vent’anni circa inizia a scrivere e a pubblicare ciò che scrive, le sue emozioni e i suoi sentimenti. Susy Vizzo, ama leggere e scrive per trovare persone con lo spirito affine al suo e che condividano i suoi stessi pensieri e suoi stessi punti di vista. Da sempre amante della storia, in particolare del Medioevo, Rinascimento e del periodo della Seconda Guerra Mondiale. Proprio da qui trae ispirazione per la sua opera prima, il tulipano che fiorì tra la neve, pubblicato dalla Eclypsed Word.
Eclypsed Word è una nuova realtà editoriale che usa principalmente i social network quale base per conoscere il pubblico di lettori e farsi conoscere e che ama definirsi una Casa Editrice alternativa proponendosi come un marchio editoriale fondato da autori per autori.
I prodotti sono disponibili esclusivamente nei formati digitali e in cartaceo con la formula Print On Sell e presenti su moltissime librerie digitali anche internazionali tra cui Amazon, Ibs, Feltrinelli, Tolino, Barnes&Nobles, ecc…
La filosofia editoriale e il motto di Eclypsed Word è da sempre: “Insieme, cambiamo il modo di fare Editoria”.
Il tulipano che fiorì tra la neve parte I e II: Sinossi
Il tulipano che fiorì tra la neve parte I esce nel dicembre 2018 per la collana Artemis.
Tutto ebbe inizio con la neve. Quel giorno il cielo plumbeo gravava pesante e minaccioso sui tetti innevati delle case di una strada come tante nella fredda Berlino. I comignoli fumavano stanchi, e fiotti di nebbia grigia si vaporizzavano nell’aria. La strada era candida, e di tanto in tanto, qualche bambino tirava addosso a un altro una bella palla di neve. Si divertivano. Non sapevano ancora che cosa stesse per accadere. Edith, va a prendere altra legna. La voce di mia madre mi risvegliò dai pensieri in cui mi ero smarrita per qualche momento, e staccai gli occhi dalla finestra che dava sulla via. La sera stava per arrivare, e piano piano, le luci fioche dei lampioni si accendevano una dopo l’altra. Sì, mamma, risposi, pigramente. Scesi giù nella cantina e accatastai qualche pezzo di legna da ardere. Mi scostai i capelli neri che si stavano impigliando tra le schegge e malamente, risalii i gradini. Buttai con un tonfo i ciottoli nel fuoco e mi lasciai cadere sulla poltrona.
Berlino, 1942. Una ragazza ebrea di ventitré anni, trasferitasi in Germania, si ritroverà nel bel mezzo dell’orrore della seconda guerra mondiale. I soldati tedeschi danno la caccia agli ebrei, deportandoli nei campi di concentramento e sterminandoli l’uno dopo l’altro. Ma nel bel mezzo del caos, incontrerà l’affascinante e misterioso ufficiale della Wehrmacht, Aaron Schwarz, che arriverà a sconvolgere ogni cosa. Lei così si ritroverà a vivere un incubo, ma nel contempo, una delle storie d’amore più inusuali e sincere che possano nascere nel fiore della guerra. Un amore nato dal sangue, un amore nemico. Un amore di cui lei nemmeno si renderà conto subito. Un amore raro, quasi come un tulipano che sboccia tra la neve, in un freddo inverno di guerra.
Nel febbraio 2019 esce la II parte di Il tulipano che fiorì tra la neve, sempre per la stessa collana.
Berlino, 29 Giugno 1943.
Un boato squarciò il cielo. Mi svegliai di soprassalto, rimanendo tremolante nel letto di casa mia. Ero sudata, avevo il cuore che batteva alla stessa velocità di una locomotiva; da quando anche Aaron era partito, gli incubi si erano fatti ricorrenti: sognavo che era stato ucciso, sognavo il suo corpo morente, vittima del fuoco nemico e mi ritrovavo a singhiozzare nel sonno. Ogni tuono mi faceva pensare allo scoppio di una bomba e rimanevo immobile, in attesa, col cuore in gola, il fiato spezzato e le viscere somiglianti a gelatina; poi realizzavo trattarsi solo di un temporale estivo e, momentaneamente, mi sentivo al sicuro. Guardavo la semioscurità della mia camera, mentre i battiti del mio cuore impazzito rompevano il silenzio della notte. Il mio fratellino dormiva quieto nel suo letto, io invece ero paralizzata: il vuoto non andava via. Mai.
Berlino, 1943. Edith e Aaron, una ragazza ebrea e un giovane ufficiale della Wermacht intrecciano una relazione segreta in un mondo che non sembra fare altro che osteggiarla e volerli a tutti i costi vedere come rivali, come nemici. Nonostante il forte sentimento, la guerra non può fare a meno di travolgere le loro vite. Aaron viene inviato a Parigi col suo contingente, mentre Edith rimane ad attendere sue notizie, invano. Quando Aaron riuscirà a tornare a Berlino, scoprirà una terribile verità: Edith è stata deportata nel campo di Auschwitz-Birkenau. Il loro sentimento, ancora una volta, viene osteggiato dalla follia dilagante della seconda guerra mondiale, ma Aaron è disposto a tutto pur di raggiungere Edith e tentare di proteggerla, così come lei ha sempre protetto lui. Due vite destinate a rincorrersi, destinate a perdersi per poi ritrovarsi… in questa vita o in un’altra.
L’autrice narra ai suoi lettori dell’amore apparentemente impossibile, in grado di diventare talmente potente da sovvertire le sorti stesse della vita dei protagonisti. Nel quadro cupo di una Germania della Seconda Guerra Mondiale inizia una storia d’amore combattuta e sofferta fra una ragazza ebrea e un soldato della Wermacht, che raggiungerà il suo culmine nell’orrore dei campi di concentramento. Più il mondo di Edith e Aaron diventerà oscuro, più il loro amore risplenderà, illuminando il loro cammino verso un finale sorprendente.
Oggi venticinquenne, Susy Vizzo è nella scrittura che ha trovato la possibilità di riuscire a esprimere al meglio le sue emozioni, di liberare le parole che a voce si sarebbero disperse e mai sarebbero state comprese.
“Il tulipano che fiorì tra la neve è una delle mie storie più travagliate – ha dichiarato la giovane autrice. Tanti anni di lavoro e di ricerche per giungere poi alla conclusione della mia opera più corposa. Sebbene possa sembrare una storia di guerra, ambientata nella Germania nazista della seconda guerra mondiale, il tulipano che fiorì tra la neve è in realtà un inno alla vita, all’amore e alla speranza. È una storia che si trascina negli anni della guerra, facendo assaporare al lettore un pizzico di quel dolore vissuto dai protagonisti come in prima persona. Ed è proprio quel dolore, e quell’amore totalmente puro ed incondizionato, che porteranno inevitabilmente chi legge ad affezionarsi ai personaggi e a sperare, fino all’ultima riga, che ci possa essere un lieto fine. Che dopo tanta sofferenza, dopo tante tribolazioni, esista qualcosa di buono al di là di quella coltre di sangue, come se la vita avesse un debito da riscattare con coloro che hanno lottato con ogni briciolo di forza per ciò che è giusto”.
“Susy Vizzo – ha affermato l’editore di Eclypsed Word Publishing Lele Zivillica – è una gioseconda vane, ma promettente scrittrice. Con un linguaggio semplice e una narrazione incisiva è riuscita a far prendere vita a una storia potenzialmente senza tempo e sempre attuale. Il romanzo di Susy non è una storia di guerra e nemmeno una storia d’amore: parla di come l’odio, la violenza e la follia siano forze terribili e spaventose, ma costrette a cedere e ad andare in frantumi innanzi al sentimento dell’amore puro. Per questo motivo Il tulipano che fiorì tra la neve è un romanzo senza tempo e sempre attuale, perché parla di un argomento universale… e lo fa molto bene. Abbiamo deciso di dividere il romanzo in due parti, per due ragioni: una più pratica e una editoriale. Quella più pratica è perché il romanzo originale superava le mille pagine e questo ci portava vicino ai limiti tecnici delle macchine da stampa. Editorialmente, ci è parso perfetto spezzare la storia in due parti, poiché due sono le macro-ambientazioni geografiche e temporali della storia. Seguendo il naturale flusso della narrazione, abbiamo deciso di suddividere fisicamente il romanzo nel punto in cui i protagonisti fisicamente si separano”.
Sarà proprio il sentire della scrittrice, unito alle peculiarità evidenziate dallo stesso editore e al difficile periodo storico che stiamo vivendo, a far sì che quest’opera continui a distanza di tempo ad attirare l’attenzione e il riconoscimento dei lettori, che presto vedranno, peraltro, uscire sul mercato editoriale una nuova opera dell’autrice.
“Lo scorso anno, durante il periodo di quarantena, mi sono finalmente decisa a scrivere una storia che mi frullava nella mente già da troppo tempo e che si chiama Ci rincontreremo un giorno d’aprile. Parla di una ragazza perseguitata da un sogno ricorrente che la ossessionerà a tal punto da indurla a indagare, a scavare così a fondo da farle scoprire qualcosa di incredibile, quasi surreale, che le cambierà totalmente la vita. Questa è una storia molto personale, molto sentita, mi ha preso quasi un anno di lavoro per poterla completare. L’ho pubblicata su un sito per lettori e scrittori e in poco tempo è riuscita a raggiungere quasi trentaduemila letture, con tanti apprezzamenti da parte di persone di ogni fascia d’età. Ciò mi ha notevolmente commossa, essendo una storia totalmente diversa da molte altre, ma comunque con numerosi riferimenti al mio precedente romanzo Il tulipano che fiorì tra la neve”.
Origami (l’arte orientale di piegare la carta) è un romanzo della scrittrice sarda Sabatina Napolitano, insegnante di matematica e scienze alle scuole medie e superiori, amante della poesia. L’opera richiama a riflessioni essenziali, una sorta di fiction che rappresenta un punto di contatto con le vite di tutti. Protagoniste del romanzo sono le esperienze di Olga, le scelte di Jeremy, il coraggio di Edoardo che appassionano e coinvolgono il lettore.
Origami è un insieme di generi diversi: a tratti un giallo, a tratti un romanzo psicologico, in dei punti un romanzo rosa. La favola di Olga allevata dai nonni diventa una affascinante storia di sfide, compromessi, trasformazioni che seminano magia e diffondono nel lettore i presupposti di un inseguimento.
Origami: sinossi
La protagonista del romanzo è Olga, una giornalista e bibliotecaria che diventa celebre sposando Gustavo Miso, un editore e giornalista molto facoltoso. Da bambina resta presto orfana di entrambi i genitori e viene cresciuta dai nonni che amavano gli origami. Alle scuole medie comincia a scrivere su un giornalino chiamato Origami: il sogno di carta. La giornalista non abbandona mai il progetto fin tanto che “Origami” diventa un giornale vero.
Olga gestisce la grossa biblioteca di Itaque insieme ad altri impiegati come Marianne, Jeremy, Nina, Nora, Ellen. Dapprima diventa amante di Jeremy poi dopo un incidente incontra Gustavo e se ne innamora. Olga ha due presenze vicine costanti, un amante, Emilio, e una amica, Rossana. Questi le consigliano scene e azioni che spesso lei non segue e che subisce contro la sua volontà. Gustavo non si rende conto di nulla e appoggia quasi sempre le decisioni della moglie. I due hanno un unico figlio, Edoardo che prima ha una relazione con una traduttrice. Poi a seguito della loro separazione sposa una donna giapponese, Ada. Dalla loro unione nasce una figlia che sembra portare sulle spalle il peso dei Miso.
Origami è un romanzo ricco di misteri e di movimenti che affascinano il lettore dalla prima all’ultima pagina, facendolo viaggiare contemporaneamente in più generi letterari.
L’autrice
Sabatina Napolitano è nata a La Maddalena (SS) il 14 maggio del 1989. Ha pubblicato sette libri di poesia. Ha vinto numerosi concorsi per la poesia edita e inedita. Suoi racconti sono pubblicati in diverse riviste letterarie. Recensisce, collabora e intervi- sta autori di poesia, narrativa e saggistica ed è una studiosa dell’opera di Nabokov. Questo è il suo primo romanzo.
Il libro è presto disponibile sul sito dell’editore Campanotto e nelle maggiori librerie online e fisiche. Per scrivere all’autrice visitate il suo blog https://sabatinatableauvivant.wordpress.com/ e la pagina dedicata a Origami.
L’elogio del caos, edito da bookabook, è l’opera prima di Francesca Biasone. Classe 1980, laureata in Lettere classiche e in Farmacia. Attualmente vive a Termoli, in Molise, dove svolge la professione di farmacista. Con il romanzo L’elogio del caos, la scrittrice molisana, Francesca Biasone debutta nel panorama editoriale.
L’elogio del caos: Sinossi
20 novembre 2001 Quel martedì lo trascorsi quasi tutto in biblioteca a condurre le ricerche per il seminario di epigrafia latina. La biblioteca aveva la capacità di isolare i miei pensieri: era una vecchia stanza debolmente illuminata e arredata con un unico grande tavolo in legno e decine di armadi verdi, grigi e marroni a custodire inestimabili libri di antichità greche e romane. Alle diciotto l’edificio avrebbe chiuso: il rotondo orologio a muro segnava le diciassette e cinquantacinque minuti. Mi alzai, richiusi i libri e li riposi sulle mensole in rigoroso ordine alfabetico. Allontanandomi da quella stanza e dai suoi volumi depositari di storia e vita millenaria, mi riappropriavo dei miei pensieri e delle mie piccole e mortali vicissitudini, nella cieca certezza che stessi per compiere una delle azioni più difficili della mia esistenza. La mano infilata nella tasca del giaccone nascondeva il telefonino tenuto stretto, come in una morsa, quasi a voler fermare il tempo, a voler bloccare l’angoscia per la chiamata che dovevo compiere… che avevo deciso di compiere, perché altrimenti non avrei conosciuto più pace. Devi chiamare, devi farlo, è l’unico modo per capire, per sapere, per andare avanti con la tua vita. Questo è quello che mi ripetevo da quasi due giorni, senza tregua. Come se fosse davvero così.
Mentre scrive al tavolino di un bar, una donna alza lo sguardo e riconosce un uomo. Sono passati quasi sedici anni da quella notte, ma l’incontro la scaraventa in una dimensione di dolore indelebile. Flavia riporta la mente all’autunno del 2001, quando è una studentessa di Lettere. Iniziano così il ricordo e la narrazione di una stagione di vita unica, intensa, con le certezze che franano nel momento in cui la ragazza conosce l’amore. Ed è attraverso quell’amore che le si rivelano la gioia e allo stesso tempo il terrore di perderla. Mentre la memoria si dipana restituendole ciò che è accaduto quando aveva ventuno anni, la protagonista sviscera il passato, comprendendolo più a fondo e mostrando l’incompiutezza della sua esistenza attraverso una colpa: l’incapacità di accogliere l’amore.
Sullo sfondo una Roma antica e contemporanea, magnifica e caotica, che avvolge il divenire degli eventi diventandone parte essa stessa.
“Nel corso della vita, incontrando e scoprendo le molteplici vite che in vari modi, in maniera diretta o indiretta hanno incrociato la mia, mi sono accorta di una costante, di un elemento che torna sempre – ha dichiarato l’autrice. In molte esistenze alberga un momento di rottura, un luogo in cui qualcosa di importante è andato perduto. Questo accade per molti motivi, accade per vanità, per pigrizia, per leggerezza, per stordimento, per distrazione, accade per paura e per mancanza di coraggio. Nel momento in cui un’occasione preziosa sfuma, essa diventa un rimpianto, io ho voluto raccontare quel momento… perché la gioia, a volte, è un abito scintillante che non si sa indossare, mentre ci si sente a proprio agio in abiti anonimi, lisi, dentro i quali è possibile nascondersi, non rivelando al mondo la sostanza del proprio esistere e dei propri desideri”.
“L’elogio del caos – ha affermato la casa editrice – è un libro che è stato scelto con cura, due volte. La prima dai nostri editor, che danno un giudizio professionale sulla qualità dell’opera; la seconda dai lettori, su bookabook, che hanno sostenuto il libro pre-ordinandolo dopo aver letto l’anteprima e diventandone, in questo modo, gli editori morali”.
Alessandro Ventrice è nato a Torino nel 1984. Dopo la laurea in Educazione Professionale e la specialistica in Programmazione e Gestione dei Servizi Educativi e Formativi, studia gli adolescenti e la loro autostima; in seguito ottiene un master in Management per il No Profit. Appassionato di teatro e di canto, si è diplomato in Musical Theatre a Londra, e da anni scrive copioni di musical e spettacoli teatrali per adulti e bambini. Empath, Miche e la ricerca delle nove perle è il suo ultimo romanzo, di genere urban fantasy (Bookabook, 2021)
Empath: sinossi
Protagonista del romanzo è Miche, un ragazzo di quattordici anni che si sente diverso dai suoi coetanei: ha pochissimi amici, spesso si ritrova a fare i conti con emozioni incontrollabili, passa tantissimo tempo con il suo gatto Logan e sul suo skate, nonché al capezzale di sua madre in coma. Quando un giorno scopre di avere origini magiche e di essere per metà umano e per metà strega, si trova a dover affrontare un viaggio iniziatico che cambierà la sua vita drasticamente.
Accompagnato dai suoi amici, Stella e Leonardo, e sotto la guida dei Reggenti del Potere, scoprirà che il mondo in cui vive è avvolto dalla magia. Battaglie, incantesimi, intrighi scandiranno il tempo della sua ricerca delle nove perle, che dovrà compiersi prima che l’Incappucciato se ne impadronisca.
Empath è stato pubblicato con l’aiuto dei lettori. È nato grazie al feedback col pubblico, tramite un progetto in crownfunding. Il passaparola talvolta può essere determinante. Si pensi solo al successo di Federico Moccia.
La casa editrice Bookabook ha permesso di preordinare il libro e ha garantito un lavoro di editing. Il romanzo fa parte del genere urban fantasy. Il fantasy per chi non lo sapesse è un filone del fantastico. La storia è ambientata a Torino. La trama è avvincente, il lettore può appassionarsi facilmente alla storia.
Un urban fantasy giovanile
Lo stile si caratterizza per una ricchezza lessicale e per l’appropriatezza dei termini, ma allo stesso tempo è contrassegnato da una certa modernità, dato che vengono usate parole del gergo giovanile come “fighissimo”, “social”, “fregati”, “figata”, “top”, “merd…”. Ci sono due livelli di lettura: da un lato i rituali di passaggio, le premonizioni, gli incantesimi, i libri magici, i totem, le Sibille, il mondo delle fate, le visioni, i colpi magici, mentre dall’altro ci sono i simboli e gli archetipi, che appartengono alla psicologia del profondo.
Volendo alcuni lettori potrebbero divertirsi a vedere ciò che di occulto e di esoterico c’è nel romanzo, ma la cosa più importante sono i messaggi e gli insegnamenti morali esoterici, propri della filosofia pratica, che vengono disseminati nell’opera (“il cervello è la vera fonte del potere magico”, “la magia non appartiene a nessuno. È un bene di tutti quelli che sanno ascoltare la propria natura…si è scelti dalla magia e si sceglie la magia”; “la vita è quello che ti accade, ma quello che conta è come si reagisce e come si va avanti”; “segui quello che senti, fa parte del tuo dovere”; “il potere degli uomini è come viene utilizzato il cervello”).
Ma non c’è solo la finzione nel romanzo perché per alcuni tratti viene narrata la quotidianità di una famiglia, anche se poco comune, e di un ragazzo che va a scuola, anche se è una scuola particolare, che aiuta a sviluppare il potenziale magico: è una scuola dove si insegna il Power training.
Contenuti del romanzo
Il protagonista ha poteri straordinari, ma è grazie all’aiuto degli altri che sviluppa questi, sconfiggendo poi Ogam e il regno del male. È grazie all’intercessione finale della madre che Miche riesce a sopraffare il suo antagonista. Il protagonista è un empatico, ovvero un personaggio che entra in contatto con le energie e le sa comprendere, mischiare, fondere.
Nel mondo magico c’è chi legge nella mente e chi riesce a schermare, a non farsela leggere. Sullo sfondo c’è una Torino anche essa magica, quasi irreale o quantomeno sospesa tra realtà e immaginario, tra storia e leggenda. Leggendo l’opera troverete che il Toro, simbolo di Torino, avrà un ruolo chiave nella storia; tra le strade torinesi ci sono dei portali, attraverso i quali si accede a mondi paralleli, popolati da creature fantastiche.
Alla fine dopo tante peripezie troverete il protagonista sugli skateboard tranquillo, che non ha più paura della gente e per questo motivo non si mette più le cuffie. Empath finisce col protagonista che ha appena compiuto solo 15 anni. Perciò il romanzo potrebbe essere anche l’inizio di una saga di successo.
Dietro questo racconto tra maghi, Sibille, vampiri, streghe si cela una scelta artistica molto consapevole. Innanzitutto il genere urban fantasy è originale ed ha un suo seguito. Empath è scritto in modo accattivante e stimolante. L’autore dosa bene le forze e coglie nel segno. L’atmosfera torinese viene restituita pienamente e fedelmente nel romanzo.
L’esigenza per il genere fantasy
Inoltre perfino un valido e giovane storico come Gabriele Sorrentino ha scritto che il genere fantasy, che non ha tra le sue esigenze la verosimiglianza, riesce a comunicare efficacemente epica, folclore ed etica. Non a caso in questa opera viene trasmessa l’etica dell’amicizia e della lealtà.
Nonostante il libro sia corposo non annoia mai il lettore. Sicuramente c’è bisogno anche di evasione, fantasia, trasmissione di sani valori per chi si fa il mazzo tutto il giorno, arranca, fatica e spesso viene manipolato o ingannato. Leggere un fantasy come questo significa ritagliarsi tempo libero prezioso per viaggiare con la mente, ricevere piacevoli input creativi e riflettere che talvolta in mondi immaginari si trova la chiave di volta per approcciare in modo totalmente nuovo la realtà abusata ed alienata.
Raccontare storie vere soltanto è limitativo. Anche le biografie vengono sempre romanzate. Persino i romanzi neorealistici comprendevano una componente di trasfigurazione. Non solo ma tale realtà potrebbe essere una tra le infinite realtà possibili, come pensano i teorici del multiverso. Potrebbero esistere infiniti universi paralleli.
Esercitare l’immaginazione è perciò fondamentale. In ogni istante della nostra vita siamo ad un bivio. Nella fantasia esistono addirittura infinite possibilità di scelta. L’immaginazione non contempla la dicotomia possibile/impossibile.
L’immaginazione non contempla la dicotomia probabile/improbabile. L’immaginazione non contempla di primo acchito la dicotomia verosimile/inverosimile. Sappiamo sempre grazie alla logica che esistono verità inverosimili e bugie credibili. Per i materialisti la vita umana è un segmento. Per i cristiani è una retta che prosegue all’infinito. Per chi crede all’eterno ritorno è un cerchio.
Chi può sapere quale è la verità? Diamo per ora libero sfogo alla fantasia, perché poi subentrerà il nostro raziocinio. Il pensiero si esprime tramite parole ma anche tramite immagini. Senza immaginazione non ci sarebbero rappresentazioni mentali. Senza di esse non saremmo niente. Dall’incontro tra reale ed immaginario è sempre scaturito il futuribile. Ben vengano romanzi come questo che stimolano l’immaginazione.
“Parole di Baustelle” di David Marte è un’opera di saggistica musicale che analizza e commenta diciotto canzoni della band italiana Baustelle, scelte da una personale “Trilogia della vita” del gruppo toscano: cinque pezzi dall’album “La Malavita” (2005), sette da “Amen” (2008) e sei da “I Mistici dell’Occidente” (2010).
Un’esegesi approfondita delle “hit” di maggior successo del gruppo originario di Montepulciano che ha ridato linfa alla musica cantautoriale italiana, aggiudicandosi sin dagli albori numerosi riconoscimenti dagli addetti ai lavori: il premio della “Critica Musica & Dischi” come “Migliore opera prima” per Sussidiario illustrato della giovinezza; nel 2000, il Premio “Fuori dal Mucchio” (patrocinato dalla rivista “Il mucchio selvaggio”) per la stessa hit; nel 2003, il “Premio Italiano per la Musica Indipendente” come “Miglior gruppo/solista” e infine nel 2008, la targa Tenco per Amen come “Miglior album dell’anno”.
Una vocazione cantautoriale confermata dal saggio di David Marte, che oltre a uno studio stilistico sulla scelta lessicale, individua le numerose ascendenze letterarie, cinematografiche e musicali che hanno ispirato la produzione dei Baustelle, allegando, a riprova delle sue ipotesi, le tante interviste rilasciate dal leader della band e paroliere Francesco Bianconi.
«Ci sono molti riferimenti cinematografici: il cinema noir francese, il cinema poliziesco italiano con le sue splendide colonne sonore di cui siamo grandi fan. La Malavita potrebbe essere la colonna sonora di un inedito «poliziottesco» all’italiana, con una quella galleria di personaggi tratteggiati in bianco e nero: matti di paese, corvi, donne vendicative e ragazze in cerca di pace, province paranoiche, confessioni e citazioni. I personaggi del disco hanno scelto di «camminare sul lato selvaggio» della vita: alcuni si pentono, altri fieramente si oppongono, tutti si raccontano».
Tante le suggestioni artistiche, a 360°, che spaziano dalla letteratura al cinema, alla cultura pop, che confluiscono in questo album.
«Le maestose costruzioni sonore di Morricone per il cinema e le musiche dei gialli anni ’60 e ’70, che usavano il rock e il pop fondendolo con arrangiamenti barocchi. Il nostro sogno nel cassetto è quello di scrivere la colonna sonora di un film, un noir naturalmente – […] – Questo disco credo sia molto scerbanenchiano e mi piace perché alla fine Giorgio Scerbanenco scriveva romanzetti, giudicati all’epoca leggeri. Cose che forse varrebbe la pena di rivalutare. E poi avevano titoli molto baustelliani: Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro. Potrebbero essere titoli di nostre canzoni».
Una produzione ricca di riferimenti colti, sociali e autobiografici riadattati in una scrittura sinestesica che rievoca forti emozioni e storie di vita contemporanea.
Luca e Giovanna, protagonisti del romanzo di Luciano Natali, Io voglio vivere, sono una coppia molto affiatata e assodata: sono giovani e si amano da impazzire. Ma poi il loro legame, che pare inossidabile, subisce dei grandi scossoni, se non un vero e proprio terremoto, quando lui, in seguito a un’ assai inaspettata eredità, riceve in dono una casa sita a Dona, nel profondo Nord d’Italia, da parte del nonno paterno Luigi che ha visto soltanto una volta in vita sua, in occasione della morte della nonna che non aveva mai incontrato.
Allora era davvero molto piccolo ed era andato in loco in macchina, in compagnia dei suoi genitori, che poi non erano più andati sull’argomento, nemmeno quando era diventato grandicello. Ed anche quando decide di parlare loro di tale eredità, paiono piuttosto reticenti a “tirare in ballo” la questione.
Il padre poi sembra che non ne voglia proprio parlare. Che cosa sarà successo tra lui e il nonno di tanto doloroso e sconvolgente da farlo comportare in tale maniera? O semplicemente è solo una banale sensazione di Luca? Sta di fatto che ora è lui l’erede. E che la casa di Dona, costruita con le proprie mani da nonno Luigi, è di sua proprietà. Certo, potrebbe venderla e ricavarci tanti bei soldini, ma lui non ne vuole sapere perché sente che in qualche maniera quel paese fa parte di lui. Ed è questo il motivo scatenante del primo allontanamento con Giovanna che, con grande astuzia tipicamente femminile, cercherà, come si suol dire, di riportarlo all’ovile, e quando vedrà che lui, dopo essersi trasferito a Dona non ha alcuna intenzione di ritornare a Roma, tenterà, tramite una notte di passione, di farlo tornare sui suoi passi.
Ma ormai qualcosa tra di loro, nonostante l’attrazione che li lega sia ancora molto forte, si è rotto e non può più essere ricucito. Centrerà forse in tutto ciò anche la conoscenza della bella Maria, nipote di Alba e Michele, il fornaio del paese? Prova realmente qualcosa per lei che va ben al di là dell’amicizia o è solo un modo per dimenticare Giovanna? E soprattutto che cosa prova lei per lui?
Lo trova realmente attraente o lo vede come un semplice amico con il quale trascorrere del tempo, scherzare, e consumare delle gustose cenette e dei pranzi succulenti? Sta di fatto che ormai Dona, nonostante in un primo momento gli abitanti non ne volessero sapere di lui, gli è entrata sempre più nel cuore e che lui pertanto non la vuole più lasciare. Si anche molto affezionato agli anziani del paese e ha stretto nuove e importanti amicizie. Sta diventando un giovane uomo sempre più appagato, con le idee ben chiare e con tanta voglia di fare e di essere felice.
Giuseppe Resta è nato nel 1957 a Galatone. Architetto con qualificata esperienza nell’edilizia di qualità e nel restauro, si è sempre battuto per la difesa e la valorizzazione del territorio. Ha collaborato con il sito di storia medievale dell’Università di Bari e con varie testate giornalistiche.
Nel 2012 ha presentato la raccolta di racconti “Scirocchi Barocchi” e nel 2018 il romanzo “Quel millenovecento69” (I Libri di Icaro). I re dell’Africa, sua ultima opera, è un romanzo di fantasia ma ispirato dalla cronaca. Si tratta di un libro davvero ben scritto e che denuncia il malaffare, la cosiddetta terra di mezzo in cui si trovano invischiati in molti (“Fai come i politici: tutti contro i meridionali, però, quando c’è da prendere i nostri voti, sono tutti pro-meridionali. Impara da loro. L’interesse prima di tutto. Davanti all’interesse non ci sono sardi, piemontesi e meridionali”; “Qui ci troviamo di fronte a interi territori, dico interi territori, avvelenati dall’arsenico. E non solo. Non mancano berillio e vanadio. Dotto’, io era dai tempi di chimica alle superiori che non sentivo più questi elementi della tabella di Mendeleiev… si chiamava così” ; “Ma perché dici questo? Sempre sospettosa… e che sei? Dobbiamo solo caricare dei fusti da una parte e scaricarli in un’altra”).
L’autore scrive saggiamente che il Sud è una bellissima terra martoriata. In questo avvincente romanzo ci imbattiamo in una carrellata di personaggi. I giusti si mischiano con gli iniqui. Lo scrittore espone le ragioni e i torti, i meriti e le colpe di tutti.
I malavitosi sono senza scrupoli e spesso non hanno sensi di colpa. Il loro è un mondo amorale. Nel libro viene narrato ogni tipo di abuso di potere criminale. Si va dalla corruzione, all’evasione fiscale macroscopica, allo sfruttamento, agli abusi sessuali, al disastro ambientale. Il ritmo è incalzante.
Le prose all’inizio di ogni capitolo sono così pregevoli che le descrizioni ricordanoLandolfie Calvino. Il resto delle pagine è sempre attuale, le accuse al sistema omertoso sono sempre circostanziate e documentate. Il Vento, voce narrante, sa tutto ed entra dappertutto, entra negli uffici dei politici corrotti, negli ospedali dove alcuni responsabili fingono di non vedere, nei locali dove i criminali festeggiano ad ostriche, champagne e viagra.
I Re dell’Africa fa riflettere e spinge tutti a considerazioni serie. I cosiddetti uomini di onore hanno una mentalità differente. Nella loro testa conciliano codice cavalleresco (Osso, Mastrosso, Carcagnosso) e imprenditorialità spregiudicata. Sono atavici e moderni allo stesso tempo.
Molti appartengono ad una famiglia mafiosa e sono stati affiliati da ragazzini. Per molti di loro è difficile uscire dalla mafia e fare come ha fatto a sue spese Peppino Impastato. Infatti fin dalla tenera età sono stati costretti a credere in certe regole. Alcuni diventano mafiosi perché si ritrovano disoccupati. Se ci fosse meno disoccupazione nel Sud saremmo già a più di metà dell’opera! Ma che dire comunque di chi nasce mafioso? Quanto è difficile dire no alla mafia per loro? In fondo vorrebbe significare dire no ad un sistema che ha dato e riesce a dare da mangiare alle loro famiglie. Vorrebbe significare rinnegare tutti i propri famigliari.
Pochissimi riescono a pentirsi. Come fanno a ribellarsi se hanno ricevuto una certa educazione e se appartengono ad un determinato contesto? Leggendo questo libro viene da chiedersi che cosa può spezzare questa catena? Questo romanzo fa scaturire molti interrogativi. Dobbiamo sperare che lo Stato intervenga con un esercito di maestre elementari (come sosteneva Bufalino), con dei grandi investimenti al Sud e con una repressione efficace delle forze inquirenti?
Lo Stato riuscirà a vincere il controllo del territorio delle mafie? Nel romanzo di Resta solo la Giustizia riuscirà a distruggere gli intrecci tra mafie, politica, economia, apparati dello Stato. Bisogna attendere una entità suprema, come indica l’autore? Oppure qualcuno riuscirà a denunciare tutti i compromessi della società civile con le mafie?
Bisognerà aspettare grandi eventi storici che determineranno una nuova struttura sociale ed economica? Un altro aspetto che dobbiamo tenere presente è che ogni volta che parliamo di mafia non dobbiamo assolutamente puntare l’indice, ma farci tutti un esame di coscienza. Non dobbiamo pensare solo ai Mafiosi con la M maiuscola, ma anche a tutti i comportamenti mafiosi con la m minuscola che abbiamo noi persone apparentemente oneste.
La Mafia uccide, ci dice Resta, ma anche i piccoli abusi di potere e i piccoli comportamenti illegali o anche solo illegittimi creano ingiustizia e sofferenza. Facendo una breve analisi di abusi di potere italici così diffusi scopriremo che gran parte del Paese è malato. È questo che vuole dirci lo scrittore. Cosa dobbiamo sperare se nel corso della storia di Italia è mancata la volontà politica di combattere la mafia?
La mafia oggi è ancora molto potente. Una cosa però è certa: da qualsiasi punto di vista lo si guardi questo è un fenomeno con cui “rompersi la testa”, come scriveva Sciascia. I re dell’Africa con il suo crudo realismo è allo stesso tempo atto di accusa, sentita testimonianza e viva partecipazione alla questione meridionale.