Mentre aspettiamo il consueto svilimento del Natale e dei suoi simboli, del suo spirito sacro, vengono in mente quei tre giovani vestiti da Cristo che mimano un atto sessuale con la croce, come a Bologna nel 2015 in un circolo Arcigay, il Cristo satirico e gay del collettivo Porta Dos Fundos, su Netflix, o quello “effeminato” – come titolava il Corsera – della Settimana Santa di Siviglia apparso poco tempo fa. E così via in una via crucis. Oplà!
Sarebbe ora di dire basta al Cristo pupazzo. Il Cristo pupazzo è la sofferenza dello spirito in una carne arlecchina che nulla ha a che spartire con quella mistica e sofferta di Giovanni Testori, grande drammaturgo, tra i più potenti scrittori del Novecento, cattolico e omosessuale illuminato: “Credo di poter dire che non riuscissi mai a fare a meno di Dio, a fare a meno di Cristo. Anzi, tanto più cercavo di allontanarlo, tanto più me lo sentivo ricadere addosso”. Ecco, che il Dio di un tempo sciatto possa cadergli addosso a coloro che lo rendono un inservibile pupazzo, e che possa pesargli nella coscienza. Poiché, in questo processo di svilimento, non si riesce proprio a intravedere un’estensione dell’arte.
Ma che si fotta il moralismo, però. Qui non si vuole sovrapporre leggi interiori un tanto al chilo, ma solo una riflessione oltre la presa per il culo. Si è persa la grazia, la grazia di un mondo intimo, che oggi vorrebbero privato e di cui vorrebbero privare: quello della convivenza con Dio. Si è persa la grazia del rispetto. L’estensione all’Assoluto, del resto, non si è mai interrotta nel tempo ed è costatazione tangibile del valore e della sanità degli uomini – di quegli uomini non ridotti a sterili replicanti bidimensionali e trinariciuti, ma ancora capaci di estendere la Bellezza del creato e di amplificarsi verso la profondità delle proprie dimensioni – prima ancora che atto di fede.
Uomini d’arte d’ogni tempo, così Franco Zeffirelli, col suo Gesù di Nazareth umanissimo, o pittori come Giovanni Antonio Bazzi, il Sodoma, che hanno vissuto la propria omosessualità, platonica, sfuggente o consistente, come dignitosa dimensione privata e non ostacolante il mondo, totalizzante o castrante, hanno innalzato la propria riflessione a Dio, rappresentando l’Assoluto, lasciando arte come eredità riflettente la qualità del tempo: kairos. L’omosessualità non può essere impedimento all’indagine su Dio, finanche all’amore di Dio, universale per sua natura. Tutto ciò che esula violentemente da questo è oltraggio e sciatteria, è miseria umana che rappresenta il Cristo pupazzo.
Kairos, eccoci qui, infine, a misurare la qualità del (nostro) tempo. Fa bene lo scultore degli angeli, Ernesto Lamagna, a rappresentare il tempo presente come un uomo che al suo momento opportuno, kairos, si presenta triste, pagliaccio felliniano, sconsolato, prossimo al pianto per una devastazione che comincia, anzitutto, dentro di sé.
Ma nel ka(ir)os, non frega nulla ai nuovi profeti della speculazione ideologica dei sessi, dell’insegnamento di Testori, di Pasolini e di altri come loro, tra i tanti, che ci testimoniano che si può indagare il rapporto tra Cristo e l’omosessualità mantenendo la carne e lo spirito separati e fusi insieme, in un canto di voci che si rincorrono, si sfuggono e s’abbracciano.
L’Eucaristia omosessuale è possibile, è possibile il peccato e la redenzione: già vi è la norma della natura, non occorre umiliare il sistema con leggi “da regime” o piume all’aria, ed è proprio Zeffirelli a ricordarcelo: il peccato della carne è tale se compiuto con un uomo o con una donna. Impossibile, oggigiorno, è la decenza, l’intelligenza e il rispetto. Testori, testa ormai inarrivabile, Penna, Pasolini, che insegue le tracce del sacro vivendo la sua carnale passione – ben manifestata anche da Dino Pedriali che lo ritrae nudo a leggere Sant’Agostino negli ultimi giorni di vita, nella immediata consapevolezza “che il suo compito era salvare il corpo di Pier Paolo Pasolini, il corpo intatto prima che fosse sfigurato da una terribile violenza”, come scrive Vittorio Sgarbi – e altri come loro, ci suggeriscono che la qualità degli uomini non si misura con la repressione, né con il rapporto privato con la Natura.
Dunque, io non offro il fianco alla discriminazione burina, così non voglio che il mio Dio venga burinamente discriminato. E me ne frego delle leggi, del progresso, della Civiltà, della rispettabilità, perché talvolta la rispettabilità, in questo mondino di fragilino cristallino alla Ned Flanders, va difesa dalla sordità e dalla cecità. Provocazione per provocazione: criticare la foto di Cristo oltraggiato potrebbe rischiare di diventare un reato? Bene, se ancora questa miseria presente è sottoposta alle leggi della democrazia, sia oltraggio punibile in maniera altrettanto ferrea chi discrimina il Credo altrui in maniera palese, chi lede l’immagine sacra in tal modo. Non è questa la società dei diritti per tutti? Dell’elevazione dei capricci in diritti e della loro santificazione a norma di legge? Ebbene, frigno anche io.
“Essere omosessuale – ci ricorda Zeffirelli nel 2013 – è un impegno molto serio con noi stessi e con la società. Una tradizione antica e spesso di alto livello intellettuale”. Ecco, chissà quanti riusciranno a comprendere le parole del regista toscano, omosessuale e cattolico, che trasudano responsabilità. Chissà. Ai diversi della non diversità, intanto, chiediamo uno scatto di responsabilità e di stacco intellettuale da tanta miseria umana, capace di squarciare la pigrizia della paura che fa massa silenziosa e ideologizzazione istupidita, riflettendo con Sandro Penna, poeta omosessuale: “Beato chi è diverso, essendo egli diverso, ma guai a chi è diverso essendo egli comune”. Se si afferma un’istituzione culturalmente sorda, che costituisce la manifestazione di un mondo irrispettoso, si faccia avanti il suo contrario, che sappiamo esistere in maniera intelligente, ovvero i tanti che vivono la propria (omo)sessualità come la immaginava e la viveva Franco Zeffirelli, così molti altri.
Non si chiede il rosario di riparazione, ma una “legge di riparazione democratica”, un atto che incarni veramente il rispetto come maturazione nel progredire.