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Interstellar

“Interstellar”, il fantasy originale di Nolan

Interstellar, ultimo originale lavoro diretto da Christopher Nolan (Il cavaliere oscuro, Inception, Memento) è un film ambientato in America, in un futuro dalle coordinate spazio temporali non ben definite e in una situazione catastrofica di apocalisse mondiale. Il pianeta Terra sta attraversando la sua inevitabile discesa verso la distruzione e l’estinzione della razza umana, soffocata nella polvere e senza quasi più né cibo né acqua. La civiltà tecnologica che conosciamo si piega di fronte la fine del mondo e fare l’agricoltore sembra essere l’unica professione utile alla sopravvivenza. La scienza viene messa da parte, le scoperte scientifiche diventano leggende a cui non bisogna credere. L’uomo non è mai stato sulla Luna e non esistono altre galassie. L’uomo è solo. L’ingegnere aerospaziale Cooper (Matthew McConaughey), costretto come altri ad adeguarsi alla tragica situazione, diviene un agricoltore che cerca però di sovvertire le regole di questo futuro che sembra passato. I due figli, Murphy (Jessica Chastain) e Tom (Casey Affleck), affrontano in maniera differente e parallela questa condizione limitante. La curiosità della piccola Murphy si contrappone all’atteggiamento accomodante del fratello maggiore.

L’essere umano però  è un animale razionale. In quanto animale, è caratterizzato da un forte istinto di sopravvivenza, in quanto razionale userà tutta la sua capacità di ragionamento per salvarsi. Cooper verrà a conoscenza di un piano, progettato dal professor Brand (Michael Caine) e il suo team della NASA costituito da scienziati, tra i quali la figlia Amelia Brand (Anne Hathaway), che permetterebbe di salvare la specie umana trasferendo o ripopolando un pianeta simile alla Terra, ma facente parte di un’altra galassia. Grazie ad un warmhole, un passaggio intergalattico che “qualcuno” ha posto nello spazio, sarebbe infatti possibile arrivare in un nuovo pianeta vivibile e salvare così la razza umana.

Nolan, tra i registi più audaci del cinema americano contemporaneo, si mette in gioco e attraverso il genere fantascientifico cerca di esplorare i confini dello spazio, ma soprattutto del tempo. Il confronto con il grande capolavoro di Stanley Kubrik 2001: Odissea nello spazio (USA-GB, 1968) appare inevitabile. Le atmosfere che questa pellicola richiama soprattutto quando la scena si svolge nello spazio sono molto vicine al capolavoro del 1968,  come il richiamo all’immensità e le grandi strutture aerospaziali che si librano nel vuoto cosmico. Interessante anche la presenza di TARS, chiaro omaggio del noto monolite protagonista di 2001, che pur essendo un robot, quindi del tutto privo di sentimenti, è l’unico “personaggio” che permette ai protagonisti alcune importanti riflessioni.

Un altro elemento che colpisce è il silenzio, quasi assordante, dello spazio che avvolge lo spettatore. Quando ci si trova in una sala cinematografica, circondati dalle più avanzate tecnologie audio e si passa dall’assordante rumore al vuoto silenzio, la suggestione arriva ad altissimi livelli. Anche il tempo perde i suoi punti di riferimento e come i protagonisti, la sua relatività disorienta il pubblico che non sa più “quando” si trova. Passato, presente e futuro si mescolano, i percorsi di vita si dividono prendendo binari paralleli. Le leggi della fisica sono messe in discussione, l’uomo si trova solo nell’immensità, sovrastato da enormi onde e ghiacciai senza fine e soprattutto da qualcosa che appare più grande di lui. L’essere umano però riserva mille sorprese e Nolan sfrutta al massimo il montaggio parallelo per rappresentare il contatto tra chi si trova in mezzo all’infinito e il nulla e  chi sulla Terra cerca di sopravvivere. Al di là delle lamiere dell’ Endurance (la navicella spaziale), esiste solo ciò che può uccidere l’uomo e allo stesso tempo sulla Terra gli abitanti stanno morendo per quello che si trova al di qua dell’atmosfera. In un caso o nell’altro i protagonisti sono in trappola. L’uomo e la scienza dovranno fare i conti con forze più potenti, non quantificabili, inspiegabili e starà alla sua forza di volontà credere che una soluzione sia possibili nonostante tutto.

La fotografia, curata dall’olandese Hoyte Van Hotyte, presenta passaggi cromatici che vanno dal giallo senape delle deserte coltivazioni assediate dalle tempeste di sabbia sulla Terra, al freddo bianco-ghiaccio dello spazio, il tutto accompagnato dalla suggestiva colonna sonora dell’ormai celebre Hans Zimmer, che  durante le scene che si svolgono nello spazio intervalla intensi silenzi a sinfonie solenni. Un viaggio nel relativo futuro e un’immagine dell’uomo alle prese con se stesso e la sua sopravvivenza. Non un banale film sulle catastrofi naturali che si abbattono sul nostro pianeta come Hollywood ci ha abituati a vedere, perché è chiaro che “l’umanità è nata sulla Terra, ma non è destinata a morirci”. Questa è una pellicola che permette spunti di riflessioni sulle domande che hanno perseguitato l’uomo per millenni  e tra queste  la più insondabile “L’uomo è solo in questo universo?”.

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