Il critico letterario e d’arte Emilio Cecchi (Firenze, 14 luglio 1884 – Roma, 5 settembre 1966) ha sempre riconosciuto il suo stato d’animo in immagini e figure, estraneo all’enfasi, propenso per un linguaggio colloquiale ed elegante come dimostrano i suoi saggi (specialmente “Saggi e viaggi”).
Il credo estetico di Cecchi ha come obiettivo un’arte considerata bellezza assoluta,ma non puà formulare un giudizio, una critica definitiva a tal proposito, ma solo in maniera approssimativa. Influenzato sia da Carducci che da D’Annunzio, la ricerca sperimentale del critico toscano dissente dal pensiero di Benedetto Croce, considerato fuori dal reale, solo l’arte per Cecchi ha valore assoluto, non c’è filosofia o verità che tengano. Appassionato di letteratura inglese, il critico traduce nel 1903 la “Defence of Poetry” di Shelley, ponendo la sua attenzione in particolar modo sulle questioni morali. Durante la sua permanenza presso la rivista “La Voce” scrive articoli sulla letteratura russa, tedesca e inglese; quest’ultima oggetto di diversi interventi nel corso del 1906, in particolare quelli su Swinburne, controverso poeta nell’età vittoriana dallo stile ampolloso ma grandioso nella tecnica versificatoria, e sull’ironico G. Meredith che nelle sue opere mette a nudo l’ipocrisia della società britannica.
Emilio Cecchi probabilmente è stato il primo critico italiano a segnalare l“‘Ulisse” di Joyce,oltre che l’italiano Dino Campana, da lui considerato “il migliore poeta che abbiamo”. Nel 1918 collabora a “L’Astico” di Piero Jahier, conosce personaggi come Michele Cascella, Riccardo Bacchelli, e Gaetano Salvemini. In missione a Londra, incontra Chesterton; collabora col Manchester Guardian e con lo Observer. Nel 1919 fonda insieme ad altri intellettuali “La Ronda”, la rivista letteraria romana che auspicava un ritorno alla tradizione letteraria dopo gli eccessi delle avanguardie. Nel 1925 è tra i firmatari del “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, redatto da Benedetto Croce.
Nel 1920 Cecchi esordisce su “Valori plastici“; dal dicembre 1923 fino al 1927 scrive su”La Stampa”; nel 1927 è stabilmente tra i collaboratori del “Corriere della Sera”. Infine diige la rivista “Vita Artistica”. C’è spazio anche per delle esperienze cinematografiche, Cecchi infatti lavora con i registi Camerini e Blasetti, Lattuada e Castellani; (Cecchi è anche il padre della celebre sceneggiatrice per il cinema Suso Cecchi D’Amico) negli anni Trenta collabora all'”Enciclopedia italiana” diretta da Gentile.
Dirige con Natalino Sapegno la “Storia della letteratura italiana”, pubblicata dell’editore Garzanti in 10 volumi negli anni 1965-1969.
Sostenitore di una discendenza della pittura moderna dagli impressionisti e dai macchiaioli, il critico fiorentino è stato tra i primi estimatori di Armando Spadini, tra i maggiori esponenti della cosiddetta “Scuola romana”, di tendenza espressionista, criticando ferocemente i “neoclassici”.
Si puònotare in Cecchi una certa nostalgia per un Umanesimo ormai perduto che lo ha portato ad un ritorno a Francesco De Sanctis e quindi ad autori come Foscolo, Leopardi e Manzoni oltre al già citato Carducci; il rimpianto è soprattutto verso quella religiosità che manca nella società moderna.
Senza dubbio il miglior scritto di Emilio Cecchi è rappresentato dal saggio “Messico” contenente preziosi appunti di viaggio con mirabili ritratti.