Tra i maggiori esponenti della critica stilistica, Gianfranco Contini (Domodossola, 4 gennaio 1912 – Domodossola, 1 febbraio 1990) è stato anche filologo e storico della letteratura italiana, prediligendo la letterature delle origini, del Risorgimento, dell’Ottocento e del Novecento. Il metodo adottato da Contini non si basa unicamente sull’opera fatta e finita , ma analizza anche le edizioni precedenti e le varie fasi di correzione dei manoscritti, inserendosi nella corrente della critica stilistica di Vossler e Spitzer; la cosiddetta “critica delle varianti”. Tuttavia, mentre nel primo vi era una forte influenza di Croce per quanto riguarda l’estetica e nel secondo la ricerca dell’etimo psicologico, Contini analizza esclusivamente il dato linguistico, ripercorrendo la genesi del testo e le variazioni dell’autore.
Ma cosa s intende precisamente per “critica delle varianti”? Essa rappresenta una “nuova filologia”, per usare la tipica espressione del filologo Michele Barbi, che si è trovata a dover fronteggiare problemi editoriali semisconosciuti, rispetto alla più tradizionale filologia della copia (redazioni plurime, stratificazioni di varianti e altre questioni legate al rapporto non sempre idilliaco tra autore e stampatore). Per questo motivo è importante la costruzione dell’idea di testo che guidi l’attività filologica; e la critica delle varianti ha giocato sicuramente un ruolo fondamentale nel determinare non solo l’idea di testo, ma soprattutto nel gettare le basi stesse del problema. La maniera più semplice per sbroglarsi dai problemi che ruotano intorno ai testi autografi,senza aggirarli è creare di volta in volta nuovi parametri, partendo dal presupposto semiotico che è il destinatario che conferisce una certa rilevanza al testo. Di questo si occupa la “critica delle varianti”.
Gianfranco Contini si è interessato di letteratura a 360 gradi : dai saggi su Dante e Petrarca fino ai moderni e contemporanei Pascoli, Montale, Gadda. Ha tracciato, per quanto riguarda la letteratura italiana, due linee che l’attraversano dalle origini al Novecento: una linea plurilinguistica e una monolinguistica. Il plurilinguismo, a cui va la predilezione del critico, caratterizzato da un uso sperimentale del linguaggio, parte da Dante per arrivare fino a Gadda e Pasolini, mentre il monolinguismo, ovvero l’uso esclusivo di una lingua letteraria “alta”, parte da Petrarca. Sebbene la sua fosse un’analisi basata su di un criterio preciso e prestabilito, Contini sostiene che una metodologia è valida solo se accompagnata dalla sensibilità e dall’intelligenza del critico.
“La letteratura italiana delle origini” è diventata un punto di riferimento da cui non si può prescindere, perché, secondo il critico, il Duecento rappresenta<< il secolo più importante per le nostre lettere>>. Gianfranco Contini mostra come anche gli auotri cosiddetti “minori”abbiano ricoperto un ruolo fondamentale della diffusione di un linguaggio poetico nuovo.
Esemplare è poi la “Letteratura italiana del Risorgimento”, un classico della storia della cultura italiana; per tutti gli appassionati di Dante si consiglia vivamente la lettura di “Un’idea di Dante” che raccoglie tutti i saggi danteschi del critico sul sommo poeta; lo stesso vale per i manzoniani, “Antologia manzoniana” infatti offre una doppia chiave di lettura razionale e condensata de “I promessi sposi”.
Gianfranco Contini è stato anche presidente della Società Dantesca Italiana (dal 1956), direttore degli Studi danteschi e del centro di filologia dell’Accademia della Crusca; socio nazionale dei Lincei (1962); altre sue opere sono :”Les dialectes de l’ancien français”, ” L’influenza culturale di Benedetto Croce”,”Varianti e altra linguistica”, “La letteratura italiana. Otto-Novecento”. Importanti anche le antologie: “Letteratura dell’Italia unita” (1861-1868), , ” Letteratura italiana del Quattrocento”, “Diligenza e voluttà”.