Michel Foucault

Michel Foucault e “il sapere-potere”

Il filosofo, storico e sociologo francese Michel Foucault (Poitiers, 15 ottobre 1926 – Parigi, 25 giugno 1984), si è dedicato alla letteratura contemporanea tra il 1962 e il 1969 attraverso una serie di studi che mostrano una profonda comprensione del fenomeno letterario e in cui la scrittura viene inserita nel contesto della sessualità, della trasgressione e della morte. La scrittura definisce “un’ apertura di uno spazio in cui il soggetto che scrive non smette di sparire”. Foucault è un grande formulatore di discorsi e ad un certo punto si domanda: “In fondo, che cosa importa chi parla?. In questo modo il filosofo francese ha decretato la morte dell’uomo, fondando il suo interesse sul “sapere-potere”, puntando la propria attenzione soprattutto sulle grandi strutture oggettive rimosse o nascoste.

Il pensiero di Michel Foucault si potrebbe idealmente dividere in quattro punti essenziali; una prima fase di pensiero che va dal 1954 al 1961 in cui il critico si addentra nei sentieri del sogno e della follia: un cammino durante il quale le sue riflessioni lo porteranno ad incontrare e poi a superare la fenomenologia. La fenomenologia da cui è maggiormente influenzato è quella di Merleau-Ponty, la psicologia e la psicanalisi esistenziali di Binswanger e l’epistemologia di Canguilhem. I temi che fanno da fondamento a questa prima fase di pensiero sono il soggetto, inteso in maniera esistenzialista, la malattia psicologica, e una prima critica al razionalismo.

In testi come Maladie mentale et personnalité del 1954; Histoire de la folie à l’âge classique del 1961, e Maladie mentale et psychologie del 1962 e in Naissance de la clinique, une archéologie du regard médical del 1963, F. sviluppa dunque la sua analisi del sogno inteso come dimensione a-logica e privilegiata dell’esistenza umana in grado di rivelare quei contenuti simbolici importanti per la comprensione della propria natura più autentica. Egli inoltre analizza la malattia mentale intesa non tanto come devianza patologica, ma come una particolare modalità di esistenza intrisa di potenzialità, di originalità e creatività. A partire dall’epistemologia ‘storica’ di Canguilhem, evidenzia alcuni strumenti di analisi relativi ai concetti di “normale”e di “patologico”; vuole chiarire la sua posizione, estendendo l’analisi alle varie scienze umane, di cui individua il successivo stratificarsi e le condizioni di possibilità, cioè il loro costituirsi in campi epistemologici distinti.

La seconda fase di pensiero è quella che va dal 1961-1968. Lo sguardo di F. vuole andare oltre l’immediatamente visibile e indagare però il corpo nella storia della medicina. Ci troviamo tra le opere foucaultiane degli anni Sessanta in cui è palese l’influenza dello strutturalismo sebbene F. non aderisca mai totalmente ad esso. L’attenzione è stata concentrata sull’analisi del percorso che la medicina ha seguito nel processo di conoscenza del corpo umano, della malattia, della salute e della morte; sul concetto di episteme delle varie epoche storiche. In Les mots et les choses, une archéologie des sciences humaines del 1966,  F. analizza i saperi e i discorsi che hanno la caratteristica di modificare e creare gli “oggetti” che studiano. Il percorso di analisi parte dal periodo compreso tra ‘600 e ‘700 ed esamina l’episteme che organizza l’intera struttura conoscitiva di questa epoca analizzando come si passa dal segno alla funzione; nell’epoca successiva e cioè quella che prosegue fino all’Ottocento. F. fa riferimento alla nascita dell’anatomia patologica e alle forme e ai significati che il corpo assume in questa prospettiva, dalla funzione si passa al tessuto. Si arriva dunque a riflettere sull’Uomo come creazione recente.

Nella terza fase di pensiero che va dal 1969 al 1979 F. scrive testi come L’archéologie du savoir (1969), Moi Pierre Rivière ayant égorgé ma mère, ma soeure et mon frère (1973), Surveiller et punir; naissance de la prison (1975), Histoire de la sexualité  in 3 volumi nel 1976-84. Il cammino di Foucault tra la fine degli anni Sessanta e quella dei Settanta, si concentra sulla riflessione sul potere da cui ovviamente scaturisce la costituzione del soggetto moderno e della corporeità; i suoi campi di indagini sono capire come il meccanismo delle relazioni di potere forma e utilizza il corpo e come il soggetto viene continuamente influenzato e costruito dalla rete del potere. Un’influenza decisiva è stata senz’altro la lettura della genealogia della morale di Nietzsche, intesa come fondamentale strumento metodologico del corpo e del soggetto. La riflessione di Foucault sulle “stituzioni totali” inizia dunque con la genealogia dell’istituzione punitiva, il cui modello si riproduce e si ripropone nelle altre principali istituzioni quali l’esercito, la scuola, l’ospedale, la fabbrica. Di questa fitta rete di influenze e concatenazioni fa parte anche il sapere legato, in qualche modo, sempre al potere. Il potere poi è sempre affiancato dal concetto di “resistenza”, un correlato opposto e paradossalmente complementare. Per quanto riguarda sessualità, F. la rappresenta non come elemento naturale del patrimonio esistenziale dell’essere umano, ma come dispositivo storico delle società.

Nell’ultima fase di pensiero che va dal 1980 al 1984 si ha quella che si potrebbe definire una svolta filosofica, la scoperta dell’ethos. La fase finale del percorso foucaultiano, improvvisamente interrotto dalla morte, è caratterizzata dalla scoperta di una dimensione etica che non troviamo nei precedenti lavori. Investe anche in una reinterpretazione del soggetto, non più sottomesso e plasmato dal potere, ma attivamente consapevole e capace di auto-costruirsi. Il soggetto sembra rimanere sempre un qualcosa che si costruisce; tuttavia esso assume ora caratteristiche positive: la capacità di auto-costruirsi attraverso un complesso lavoro di perfezionamento e un’educazione fisica e spirituale. Richiamandosi di nuovo a Nietzsche, Foucault ipotizza la fine di quelle forme di soggettività, sottoposte all’opera del potere, che hanno caratterizzato la nostra epoca dal ‘700. Emerge dunque una prospettiva di libertà e di creatività del tutto nuova. Rilegge Kant e l’Illuminismo e inaugura la direzione e il compito che la filosofia riveste poi nell’epoca contemporanea: la riflessione critica su se stessi e sul proprio presente storico.

Tornando al suo secondo libro, il prezioso e di particolare interesse Le parole e le cose, del 1966, è importante sottolineare come F. analizza la ricchezza  e la storia naturale nella filologia, nell’economia politica, nella biologia, nella zoologia e nella botanica. Il testo infatti si apre con un’analisi delle Meninas di Velazquez, in cui si percorrono tutti i meandri del fenomeno della rappresentazione.

La dura ricerca di Foucault, volta al tentativo di dare una diagnosi dell’attualità, soprattutto attraverso l’analisi di una nuova economia del potere che ha come oggetto il governo della popolazione, organizzando lo spazio sociale, ha riscosso grandi consensi e ha segnato senza dubbio la cultura filosofica francese. Come non tenere conto dell’elaborazione dell’attuale concetto di biopotere, il quale fabbrica corpi, desideri, i modi di essere, comportamenti, basti pensare a quanto la società moderna, dominata dal cinismo, e l’individuo siano influenzata dalla pubblicità e dalla televisione.

Secondo il filosofo poi l’arte stessa, quindi anche la musica e la letteratura, deve stabilire con il reale un rapporto che vada oltre il semplice abbellimento, per diventare smascheramento. Ma sappiamo bene come l’arte, a partire dalla metà del XIX secolo si sia costituita come arte antiplatonica, che rigetta regole prestabilite, stabilendo con la cultura e le norme sociali un rapporto polemico e di riduzione; l’arte moderna ha aggredito l’arte acquisita, assumendo anch’essa un atteggiamento cinico nei confronti di quest’ultima.

Ma qual è il lascito più importante di Michel Foucault sul quale dovremmo continuamente interrogarci? La riflessione sulla tradizione del nostro Occidente, con il suo cinismo elitario, parente stretto dello scetticismo, e con il suo saper vivere senza verità. Come creare un rapporto armonico tra volontà di verità e stile di vita dopo che la fusione tra cinismo e scetticismo ha dato vita al nichilismo? Difficile dare risposte a queste domande ma Foucault ci fa capire come il vero principio del nichilismo non è: Dio non esiste, quindi tutto è permesso, siamo liberi e possiamo fare ciò che vogliamo; egli si chiede: se devo confrontarmi con il pensiero che “nulla è vero”, come devo vivere? Questa è la vera questione al centro della cultura occidentale: definire il legame tra l’amore della verità e l’estetica dell’esistenza. In cosa consiste l’arte di esistere in un Occidente che ha inventato tante verità, che si nutre della sua confusione, e dove tutti hanno ragione? Dice Foucault: “il cinismo serve a ricordarci che ben poca verità è indispensabile per chi voglia vivere veramente, e che ben poca vita è necessaria quando si tenga veramente alla verità”. Meditiamo.

 

Pubblicato da

Michela Iovino

Le parole aiutano la "coraggiosa traversata" della realtà, così scrisse una volta Elsa Morante. Lo credo anche io, fermamente, per questo scrivo. Amo l'arte, la musica classica, il cinema e in particolar modo la letteratura, che è essenziale punto d'appoggio. Nei frattempo della vita colleziono storie, forse un giorno ne scriverò qualcuna!

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