Roland Barthes (Cherbourg, 12 novembre 1915 – Parigi, 26 marzo 1980), è stato tra i principali esponenti dello strutturalismo francese del ‘900, la cui indagine si colloca al confine tra diverse scienze umane, a metà fra il lavoro di ricerca teorica e quello di scrittura letteraria.
Dopo la morte del padre in una battaglia navale nel 1916, la madre, si trasferisce a Bayonne, dove Roland trascorre la sua infanzia. Nel 1924 si trasferisce a Parigi, dove frequenta prima il liceo Montaigne e poi il Louis-le-Grand; alla Sorbona, Roland studia la letteratura classica, le tragedie greche, la grammatica e la filologia, e si laurea in letteratura classica nel 1939 e in grammatica e filologia nel 1943. Nel 1934 contrae la tubercolosi e trascorre gli anni dal 1934 al 1935 e dal 1942 al 1946 in dei sanatori. In questi anni egli continua a leggere e a scrivere e fonda una compagnia teatrale e incominciò a scrivere.Insegna presso i licei di Biarritz, Bayonne, Parigi, all’Università di Alessandria d’Egitto e alla Direzione Generale degli Affari Culturali.
Dal 1952 al 1959 lavora come ricercatore al Centro Nazionale della Ricerca Scientifica, dal 1960 al 1976 è direttore degli studi presso l’Ecole Pratique des Hautes Etudes. Dal 1976 al 1980 ha la cattedra di semiologia al Collège de France. Nel 1953 pubblica Il grado zero della scrittura,opera che conferma Barthes come uno dei critici di maggior rilievo della letteratura modernista in Francia e che introduce il concetto di écriture in quanto distinto dallo stile, dal linguaggio e dalla scrittura, nonché molto affine alle opere degli scrittori del nouveau roman, con il suo rifiuto della soggettività. Barthes infatti è il primo critico a trattare autori come Alain Robbe-Grillet e Michel Butor, i quali evidenziano la condizione dell’uomo nella società moderna, basata sull’industrializzazione, la tecnologia, la scienza, preoccupandosi maggiormente delle cose piuttosto che dell’uomo, dando vita in questo modo ad una sorta di antiromanzo.
In Mitologie (1957), Barthes analizza i miti attraverso la semiologia, avvalendosi di quotidiani, film, spettacoli, mostre come materiale di studio; nel saggio Su Racine (1963), si lascia andare a giudizi poco ortodossi nei confronti di Racine, generando delle polemiche. In Elementi di semiologia (1964), organizza le sue opinioni riguardo alla scienza dei segni, basandosi sul concetto di linguaggio e sull’analisi del mito e del rituale di Saussure. Analizza minuziosamente una novella di Balzac, Sarrasine, e considera l’esperienza della lettura e le relazioni del lettore in quanto soggetto nei riguardi del movimento linguistico all’interno dei testi. Secondo il critico infatti il lettore è lo spazio dove tutti i molteplici aspetti del testo si incontrano.
L’ultima opera di Barthes è La camera chiara (1980), in cui la fotografia viene considerata in quanto mezzo di comunicazione; pubblicato postumo, è invece il libro Incidenti (1987), il quale rivela l’omosessualità dell’autore. Proprio negli ultimi lavori del critico francese, viene sviluppata una nuova teoria erotica e fortemente personale di lettura e di scrittura, dove emerge l’interesse per l’effetto fisico della letteratura e di altre forme d’arte, per l’edonismo offerto al lettore dai testi letterari, si pensi soprattutto a Frammenti di uno discorso amoroso, dove Barthes interviene con il suo sottile ingegno di linguista per collezionare discorsi spuri su termini come “abbraccio” e “cuore”, in un unico soliloquio. Per lui l’amore è un discorso sconvolgente ed lo ripercorre attraverso un glossario dove recupera i momenti della “sentimentalità”, opposta alla “sessualità”, traendoli dalla letteratura occidentale, da Platone a Goethe, dai mistici a Stendhal. Un’opera non di facile lettura ma affascinante, ironica e spietata:
IO-TI-AMO La figura non si riferisce alla dichiarazione d’amore, alla confessione, bensí al reiterato proferimento del grido d’amore.
“Passato il momento della prima confessione, il «ti amo» non vuol dire piú niente; esso non fa che riprendere in maniera enigmatica, tanto suona vuoto, l’antico messaggio (che forse quelle parole non erano riuscite a comunicare). Io lo ripeto senza alcuna pertinenza; esso esorbita dal linguaggio, divaga: ma dove?”
“Esiste per me un «valore superiore»: il mio amore. Io non mi dico mai: «A che pro?» Non sono nichilista. Non mi chiedo qual è il fine. Nel mio discorso monotono non vi sono mai dei «perché»; ce n’è uno soltanto, sempre lo stesso: ma perché tu non mi ami? Come si può non amare questo io che l’amore rende perfetto (che dà tanto, che rende felice, ecc.)? Domanda la cui insistenza sopravvive all’avventura amorosa: «Perché non mi hai amato? »; o anche: «O, dimmi, dilettissimo amore del mio cuore, perché mi hai abbandonato?”
In Barthes il senso e il valore sono filtrati dalle griglie di lettura connotative ed è per questo che egli sostiene che “l’ideologia non è altro che la forma dei significati di connotazione”; e quindi anche i significati trasmessi dalle denominazioni di disciplina sono perlopiù determinati dai valori connotativi prodotti dall’uso, dalle congiunture storiche e dalle conseguenze passeggere della moda. Tuttavia la distinzione tra “teoria del segno” e “teoria del senso” consente di individuare il luogo esatto in cui la semiotica opera.
Non esiste una scuola di critica o di teoria barthiana, eppure Roland Barthes, critico dagli innumerevoli stili e approcci teorici, ammiratore della grande Greta Garbo (“Il viso della Garbo rappresenta quel momento fragile in cui il cinema sta per estrarre una bellezza esistenziale da una bellezza essenziale, l’archetipo sta per inflettersi verso il fascino dei visi corruttibili, la chiarezza delle essenze carnali sta per far posto a una lirica della donna”), resta un modello fondamentale per tutti coloro che vorrebbero impegnarsi in questo campo intellettuale.