Qualche giorno fa è stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura 2015 alla scrittrice bielorussa Svetlana Alexievich, favorita nei pronostici della vigilia, ennesima penna dissidente contro governi reputati dittatoriali. La scrittrice ha raccontato i principali eventi dell’Unione Sovietica nel secondo dopoguerra; alle vittime della tragedia nucleare ha dedicato Preghiera per Chernobyl, la sua opera più famosa, pubblicata in Italia da E/O, per cui è uscito anche Ragazzi di zinco sui reduci della guerra in Afghanistan e Incantati dalla morte sui suicidi dopo il disfacimento dell’Unione Sovietica. Tra i suoi principali titoli usciti in Italia figurano anche la raccolta Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo edito da Bompiani nel 2014.
Al premio hanno concorso tra gli altri il drammaturgo norvegese Jon Fosse, la statunitense Joyce Carol Oates, ancora lo statunitense Philp Roth, il giapponese Haruki Murakami, l’ungherese László Krasznahorkai, l’irlandese John Banville, il drammaturgo keniota Ngugi wa Thiong’o , il poeta coreano Ko Un. Ma oramai da settimane sembrava scontata la vittoria dell’Alexievich; la motivazione dell’accademia svedese è stata: “per la sua scrittura polifonica, e per un lavoro che è un monumento alla sofferenza e al coraggio del nostro tempo. Negli ultimi 30 o 40 anni si è occupata della mappatura dell’individuo sovietico e post sovietico […] La sua però non è una storia fatta di eventi, ma una storia di emozioni. Ciò che ci offre nei suoi libri è un mondo emotivo, in modo che gli eventi storici che tratta nei suoi libri, come ad esempio il disastro di Chernobyl o la guerra sovietica in Afghanistan, siano pretesti per esplorare l’individualità del singolo”.
La 67enne autrice è principalmente una cronista, partecipando ai principali eventi dell’Unione Sovietica della seconda metà del XX secolo, occupandosi con particolare attenzione ed interesse a ciò che è accaduto alle tante persone travolte dal crollo del comunismo di stato. Le sue posizioni estremamente critiche nei confronti del regime dittatoriale in Bielorussia le sono costate una vera e propria persecuzione dal regime del presidente Lukašenko e i suoi libri sono stati banditi dal paese. Nata nel 1948 nella città ucraina di Ivano-Frankovsk, finita la scuola superiore, la Alexievich ha iniziato a lavorare come reporter sul giornale locale nella città di Narovl, fino a diventare corrispondente letterario della rivista Nemen. A metà anni ottanta ottiene la sua prima pubblicazione letteraria con il libro War’s Unwomanly Face uscito nel 1985. Qui sono raccolte le testimonianze dirette di donne comuni che hanno vissuto la seconda guerra mondiale sul fronte di guerra. In un intervista l’autrice descrive così il tema affrontato in Preghiera per Chernobyl: “Questo libro non parla di Chernobyl in quanto tale, ma del suo mondo. Proprio di ciò che conosciamo meno. O quasi per niente. A interessarmi non era l’avvenimento in sé, vale a dire cosa era successo e per colpa di chi, bensì le impressioni, i sentimenti delle persone che hanno toccato con mano l’ignoto. Il mistero. Chernobyl è un mistero che dobbiamo ancora risolvere. Questa è la ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti”.
Lo stile della scrittrice premio nobel fonde l’approccio documentario alla materia narrata con una fluidità e densità proprie del romanzo. Una peculiarità della sua scrittura sono le migliaia di interviste fuse nel magmatico ed intenso raccontare, la persona è in relazione con la Storia. Nei suoi libri persone reali parlano dei grandi eventi della nostra epoca. È questa la sua forza, la sua verità. Sicuramente qualche filorusso antiamericano, antioccidentale con la bava alla bocca avrà gridato alla buffonata politica, accusando la scrittrice di aver rinnegato le proprie origini, senza nemmeno aver letto un suo libro (libri che peraltro non vengono pubblicati in Bielorussia), o aver vissuto per un po’ in Russia. Il problema semmai sono i mancati Nobel a scrittori di elevata caratura come Roth, Pynchon, Foster Wallace e altri.