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Italo Calvino, autore de "Il barone rampante"

Calvino e quel suo Barone rampante-‘Iniziato’

Il Barone rampante e l’aspetto massonico. Scrivere di Italo Calvino (1923 ˗ 1985) è sempre una fatica ingrata. L’estasi delle sue pagine è inversamente proporzionale alla difficoltà del misurarsi col suo genio inarrivabile. Quale scrittore non sogna la sua agilità stilistica, e la sua capacità di aggettivazione accurata e mai pedante? Quale uomo di lettere non brama la sua maestria nell’essere ostico in proposizioni semplici, e facilmente godibile in periodi quasi interminabili? Questa, la sua caratteristica più gustosa: una padronanza invidiabile della parola scritta, grazie alla quale l’autore si misurava col foglio bianco, intagliando fini ghirigori di alto pregio, in una resa tale da far apparire l’impresa quasi facile. Prolifico ed estroso, Calvino ha costellato la letteratura italiana di capolavori di indiscutibile fama, pregni di simboli ed insegnamenti iniziatici affatto trascurabili.

Figlio e nipote di massoni (Libero Muratore era stato suo nonno, Giovanni Bernardo; e la stessa strada la percorsero suo padre, Mario, e suo zio Quirino), Calvino ebbe modo di assorbire l’insegnamento iniziatico di una Massoneria che più volte trasparì dai suoi scritti. Uno dei casi più espliciti, e comunque uno dei più particolari, è il romanzo del 1957: Il barone rampante.

Il Barone rampante: una storia di ribellione tra fantasia e elementi massonici

Parte integrante della trilogia I nostri antenati, insieme con Il visconte dimezzato (del ’52) e Il cavaliere inesistente (del ’59), il romanzo tratta la bislacca esistenza di Cosimo Piovasco di Rondò, giovane barone appartenente ad una nobile famiglia decaduta. La scena è narrata dal suo fratello minore, Biagio, che descrive la rigida famiglia, il paese immaginario della storia (Ombrosa), e tutte le vicende, con accuratezza e generosità di particolari. Tutto comincia quando, con un gesto di ribellione all’inflessibile autorità del padre,  Cosimo (detto anche “Mino”) rifiuta di mangiare un piatto di lumache, allontanandosi, piccato, dal desco paterno, per sparire in cima agli alberi del vasto giardino di casa, e per non rimettere mai più piede a terra. Durante la sua intera vita tra i rami, Mino non si fa mancare alcuna esperienza, ed anzi, la sua esistenza è densa d’avventure d’ogni sorta. S’innamorerà di Ursula, vivrà tra duelli, battute di caccia, beffe, e peripezie, serbando, per la vecchiaia una fine scenografica.

Nella vita del protagonista del Barone rampante (ed in quella del narratore), non manca l’elemento massonico. Ci confida, infatti, Biagio, iniziando il Capitolo XXV, e ragionando delle questioni segrete del fratello:

“Io non so se a quell’epoca già fosse stata fondata a Ombrosa una Loggia di Franchi Muratori: venni iniziato alla Massoneria [. . . ] dopo la campagna napoleonica [. . . ] e non so dire perciò quali siano stati i primi rapporti di mio fratello con la Loggia”.

Da questo punto, il narratore del Barone rampante vola con la memoria ad un particolare episodio: due spagnoli, giunti ad Ombrosa, incrociano la loro strada con quella di Cosimo. Ne nasce un diverbio. Uno dei due sfodera la spada, sfidando a duello il protagonista, e raggiungendolo sugli alberi. Nella foga dell’attimo, Mino apre la sfida al grido massonico di “A Gloria del Grande Architetto dell’Universo”. Il ‘terreno’ dello scontro è scomodo, ma i due tirano di spada senza problemi, e senza reverenza. Dopo un tiro mancino dello spagnolo, a spuntarla è comunque il barone di Rondò, che raggiunge l’avversario al ventre, facendolo rovinare al suolo. Il particolare del motto massonico non sfugge a Biagio, che archivia il discorso asserendo: “Da quel giorno mio fratello ebbe fama generale di frammassone”.

Il capitolo continua con una gustosa digressione sulla fantasiosa Massoneria di Ombrosa, fatta di rituali particolari, e di riunioni tenute all’aperto, celate nel bosco, alla luce di fiaccole e candele, e simboli affatto ortodossi. Una società segreta nella quale Cosimo, secondo le supposizioni di Biagio, sembra quasi inciampare per puro caso:

“È possibile che la Massoneria esistesse già da tempo, all’insaputa di Cosimo, ed egli casualmente una notte, muovendosi per gli alberi del bosco, scoprisse in una radura una riunione d’uomini con strani paramenti [. . . ] e poi intervenisse [. . .] con qualche uscita concertante [. . .] e i Massoni, riconosciuta la sua dottrina, lo facessero entrare nella Loggia, con cariche speciali [. . .]”.

Il narratore tenta, così, di darsi una spiegazione riguardo agli ‘atteggiamenti’ ed alle pieghe poco ortodossi della Massoneria di Ombrosa, il cui fondatore pareva essere un leggendario Maestro detto “Picchio Muratore”, la cui simbologia includeva elementi ch’erano chiari richiami agli alberi (come le pigne e le civette), il cui rituale d’iniziazione prevedeva la salita su un albero e la discesa (bende agli occhi) tramite delle corde appositamente congegnate.

La semplicità della narrazione di Calvino

Semplicità disarmate, dunque, quella con cui Calvino, nel Barone rampante, mette il lettore comune a tu per tu con l’Istituzione Massonica. La semplicità della padronanza, della sicurezza, della confidenza con l’argomento e con l’arte della scrittura. Doti dalle quali nasce un romanzo che cela qualcosa di più che una semplice narrazione di riti, Logge e simboli. Un romanzo che, non a torto, può essere assimilato ad un percorso iniziatico; ad un cammino di crescita interiore del protagonista. Cosimo ˗ come l’iniziato ˗ fa una forte scelta che lo porta a camminare in parallelo coi suoi simili, ma in ambienti e dimensioni decisamente distaccati. Il regno degli alberi è il tempio in cui Mino impara a misurarsi con sé stesso, con l’universo, con quella libertà individuale cara all’ambiente iniziatico, e che è la causa fondamentale per la quale egli decide di abbandonare il restrittivo tetto paterno. Scelta ferma ed irrevocabile, quella di Cosimo, che mantiene i rapporti con gli uomini, ma che resta ad osservare la vita da una prospettiva alternativa, incomprensibile per il profano:

“Come questa passione che Cosimo sempre dimostrò per la vita associata si conciliasse con la sua perpetua fuga dal consorzio civile, non ho mai ben compreso [. . .]”.

E coerente resterà fino in fondo, il protagonista del Barone rampante, quando, alla fine del suo cammino, tacciato di follia, compirà la sua ultima ricerca interiore, anelando ad un’uscita di scena differente da quella prestabilita per l’Uomo, e ascendendo al Cielo non in maniera figurata, ma fisicamente, nell’incomprensione e nell’incredulità generale.

A ricordarlo, una stele nella tomba di famiglia:

Cosimo Piovasco di Rondò – Visse sugli alberi – Amò sempre la terra – Salì in cielo”.

About Salvatore Conaci

Salvatore Conaci nasce a Catanzaro, nel '90. Conseguita la maturità scientifica, coltiva gelosamente, e con passione, una cultura quasi prevalentemente umanistica ed esoterica. Laureato in Lettere Moderne, attualmente studia Filologia Moderna. "Perle nere" (Montedit, 2015) è il suo lavoro d’esordio. Dopo una breve collaborazione con la rivista Luoghi Misteriosi, scrive, ora, per 900letterario.

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