Il diavolo in corpo

Autobiografismo e morte ne “Il diavolo in corpo” di Radiguet

Una frase del critico francese e fondatore della Scuola di Ginevra, Albert Thibaudet ne Le liseur de romans pare tagliata su misura per definire le avventure dei due protagonisti del romanzo Il diavolo in corpo, di Raymond Radiguet, basta cambiare una parola: “Il romanzo è il genere in cui la donna esiste, dove il mondo gira intorno a lei, dove ci si appassiona per lei o contro di lei. La lettura dei romanzi diventa , in una vita poco affaccendata o introversa, l’equivalente ideale dell’amore”. Si potrà perciò dire come afferma Roberto Cantini che la scrittura dei romanzi diventa l’equivalente dell’amore.

Il diavolo in corpo (1923), secondo il critico Giovanni Macchia, nonostante l’esuberanza dell’invenzione, il colorito drammatico di cui sono rivestiti i personaggi e l’autobiografismo incandescente che pare generarli, è “falso, artificiale e costruito” ed è interessante notare come lo stesso Radiguet abbia riconosciuto che l’eroe del suo libro non dovrebbe essere confuso con l’autore, definendo Il diavolo in corpo una confessione.

Il protagonista del romanzo è un adolescente che racconta in prima persona le sue peripezie amorose che ad inizio romanzo dice: “Forse è colpa mia se ho compiuto dodici anni pochi mesi prima della dichiarazione di guerra?”. Trattasi della Grande Guerra, vista dal protagonista per il quale non viene indicato un nome, dai suoi coetanei e dai suoi fratelli e sorelle come una sorta di vacanza: “Quel che terrorizzava l’Europa era diventata la loro unica speranza”.

Senza dubbio il romanzo riflette un’esperienza autobiografica, nonostante Radiguet abbia smentito; nel libro l’eroe adolescente matura con grande velocità e a quindici anni si innamora di Marthe, sposata e con il marito, Jacques al fronte. Colpisce nel libro l’energia possente di tale amore e la brutalità con cui si impadronisce del ragazzo e della giovane donna di soli quattro anni più grande di lui. Una donna di poca esperienza dunque ma quanto basta per coinvolgere il ragazzo nella sua molle impudicizia:

“Quando dormiva con i capelli sciolti accanto al fuoco, la testa posata sul mio braccio, mi chinavo su di lei per vederle il volto incorniciato dalle fiamme. Era scherzare con il fuoco. Un giorno mi avvicinai troppo, senza però toccare il suo viso con il mio, e fui l’ago che, superando di un millimetro la zona proibita, appartiene alla calamita. La bacia, sbalordito della mia stessa audacia, mentre in realtà era proprio lei che, mentre mi avvicinavo, s’era tirata la testa sulla bocca. Le sue mani si aggrapparono al mio collo; non si sarebbero aggrappate con maggior furia in un naufragio. E non capivo se voleva che la salvassi o che annegassi con lei”.

In realtà questo romanzo, scritto da un ragazzo tra i sedici e i diciotto anni, è il racconto di un naufragio: il protagonista, come ha notato Debenedetti, il quale ha notato che nel romanzo, “tutto l’adulterio si atteggia come la vergine scoperta e celebrazione dell’amore, compiuta in uno stato di natura anteriore alla scoperta del peccato” , tiene a battesimo la sua carriera amoroso con un adulterio, potrebbe ripetere per se i versi famosi dedicati da Rimbaud, poeta che Radiguet amava molto, a quell’adolescenza oziosa; e infatti il ragazzo dilapida le sue giornate, disprezzando il domani, vivendo con furia il presente. Tale furia potrebbe essere giustificata da un dato oggettivo-storico: siamo nel 1917, la guerra finirà e il marito tornerà da Marthe, ponendo termine all’intrigo, alla tresca, diremmo oggi. Ma tale realtà naturale non si percepisce tra le pagine del libro, è un fatto che Radiguet trasforma in una delle tante finzioni che pervadono la vicenda, fa parte di un gioco di specchi che gli consente la narrazione. Marthe, infatti, subito dopo il ritorno del marito, muore dando alla luce il figlio del giovane protagonista e in questo modo termina il romanzo. Ma questa tragedia ha ben poco a che fare con le storie esteriori dei personaggi, con la loro apparente esistenza.

“Ogni essere appena nato può diventare maturo per la morte” ha affermato un biologo e Il diavolo il corpo matura ed evolve verso la morte, in quanto corrisponde alla vocazione più intima del suo autore:

“La notte degli alberghi fu decisiva…Ma se credevo che tutta una vita potesse zoppicare in tal modo, Marthe sul treno di ritorno, rincantucciata in un angolo dello scompartimento, stremata, distrutta, battendo i denti, aveva capito tutto. Forse, vide perfino che al termine di quell’anno di corsa, in un’ auto follemente guidata, c’era solo la morte. Unica via d’uscita”.

Ma a quale figura reale potrebbe corrispondere Marthe? Potrebbe essere una certa Mlle Alice, governante della piccola Carmen, la ragazzina che compare nelle prime pagine del romanzo. Scrive Borgal in un suo saggio: “Se dobbiamo credere ai confidenti dell’autore, Alice dapprima avrebbe intessuto un flirt col padre di Radiguet. Raymond una volta li avrebbe visti insieme sull’imperiale dell’omnibus Saint-Maur-Bastille e si sarebbe innamorato della ragazza”. Ma Marthe non può possedere le sembianze di Alice; ella è il doppio di Radiguet, nel quale scorgere un presagio della morte che incalza: “Un uomo disordinato che sta per morire e lo sappia si mette improvvisamente a riordinare ogni cosa attorno a se. la sua vita cambia. Classifica le carte, si alza presto, va a letto di buon’ora. Rinuncia ai vizi, chi gli sta accanto si rallegra. In questo modo la sua morte brutale sembra ancora più ingiusta. Sarebbe vissuto felice”. Con queste parole lo scrittore francese, a distanza di qualche anno, descrive la propria morte attribuendola a Marthe. Anche lui ha sostituito l’alcool con il latte e si è ritirato in campagna rinunciando alle notti brave dei suoi amici del “Boeuf sur le Toit”.

Quando il tifo attaccò Radiguet, egli volle il suo amico Jean Cocteau accanto a se in clinica al quale disse:

“Vi prego, ascoltatemi. Ho una cosa terribile da dirvi. Tra tre giorni sarò fucilato dai soldati di Dio.  […]. L’ho udito con le mie orecchie”.

Esattamente tre giorni dopo Raymond Radiguet muore. Uno dei suoi amici, quando la salma venne esposta, disse: “Non ho mai visto una faccia altrettanto disperata, orrendamente delusa, terrificante..”

Nella memoria del lettore de Il diavolo in corpo affiorano parole che chiudono il romanzo:

“Come in un attimo agli occhi di chi muore si svolge il film della sua vita, la certezza della sua morte mi rivelò il mio amore con tutto ciò che aveva di mostruoso…proprio il nulla desideravo per Marthe…”

 

Bibliografia: Introduzione a Il diavolo in corpo, a cura di Roberto Cantini.

Pubblicato da

Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

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