la società liquida

La società liquida di Zygmunt Bauman

La nostra società è stata più volte definita come ‘società liquida’. Tale concetto è stato sviluppato dal sociologo Zygmunt Bauman e ben si inscrive nell’orizzonte epistemologico del Postmoderno, nomenclatura che indica la nostra epoca. Senza dubbio è un’espressione efficace anche se si è prestata ad applicazioni di ogni genere.

Infatti il concetto di società liquida condivide il medesimo destino del fratello ‘villaggio globale’, coniato da Marshall McLuhan. In entrambi i casi il passaparola generalizzato ha dato adito ad eccessive esemplificazioni che hanno depotenziato lo spessore del problema sollevato dai due sociologi. Secondo Bauman l’epiteto si riferisce alle forme di esperienza che caratterizzano la cultura consumista e che hanno comportato una trasformazione radicale delle relazioni sociali e delle pratiche di vita quotidiana. L’approccio eclettico adottato dai teorici postmodernisti costruisce la lente che consente di cogliere i tratti distintivi di questo nostro tempo, estremamente articolato. Bauman accetta la sfida senza rinunciare ad una dimensione etica.

La società liquida sembra legittimarsi attraverso l’ambivalenza delle esperienze e degli stili di vita, ben lontana da quell’uomo a una dimensione teorizzato da Marcuse. Tuttavia non si può negare che la pluralità apre il varco alla complessità. Il richiamo di Bauman all’etica è senza dubbio un elemento che riporta la questione su un livello tutt’altro che effimero e disimpegnato. L’espressione “La postmodernità è la modernità che ha riconosciuto la non realizzabilità del proprio progetto”, suona come un’abdicazione della quale si dovrebbe prendere atto.

Marx e la ‘fusione dei corpi solidi’

Alla base della sdoganata etichetta coniata da Bauman, c’è una metafora dalle ascendenze illustri. E’ già Marx ad utilizzare l’espressione ‘fusione dei corpi solidi’, per indicare il tentativo di minare alle fondamenta ogni tradizione, di dissolvere nell’aria le spoglie del passato. La società liquida è dunque conseguenza di una serie di concause passate che spalancano un orizzonte di incertezza e d’altro canto trovano nel consumo una strategia difensiva da parte dell’individuo, un effetto placebo altamente seduttivo che fa della merce non più il feticcio – sempre per citare Marx – ma la promessa di una felicità, un sogno ad occhi aperti alimentato dai mezzi di comunicazione sempre più pervasivi.

Già McLuhan ha descritto gli strumenti della comunicazione di massa come estensioni dei nostri sensi; siamo dunque parte di un sistema comunicativo immanente e il nuovo linguaggio è ciò che detta le coordinate della nostra esistenza. L’uomo estende se stesso diffondendo i propri sensi percettivi nei linguaggi, nei media e nelle nuove tecnologie, secondo un principio di fabulazione.

Secondo i teorici della postmodernità, la ‘società liquida‘ risulta più complessa proprio perché la moltiplicazioni di visioni del mondo risultano tutte legittime. La società postmoderna è quindi una società della comunicazione generalizzata e dominata da immagini plurime del mondo. Si evince quanto la comunicazione non sia più solo un fattore tecnico ma la categoria interpretativa adottata dalla società stessa: la trasparenza è il suo valore positivo.

Il Postmodernismo

Sul versante prettamente culturale, il Postmodernismo pratica il ritorno al pre-moderno e non dovrebbe stupire la rivalutazione degli aspetti più irrazionali del pensiero, come l’immaginazione, il desiderio e la propensione per la spettacolarizzazione del reale.

Infatti, la condizione postmoderna (titolo del saggio illustre di Jean François Lyotard) ha segnato nell’ambito della letteratura, e non solo, la fine delle ‘grandi narrazioni’, quelle capaci di ricostruire un’immagine unitaria del mondo. Il Postmoderno sfugge a qualsiasi definizione univoca ma anche i suoi effetti culturali sono maturati in momenti diversi, con esiti eterogenei. Per quanto riguarda l’Italia, si è datata la comparsa di una tendenza letteraria postmoderna tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Resta implicita l’idea che è finita un’epoca, quella della modernità appunto: fase storica caratterizzata dalla dinamicità, dal progresso e dalla trasformazione. La tendenza del Postmoderno ha naturalmente suscitato vivaci discussioni: c’è chi la ritiene frutto di una netta frattura rispetto alla modernità e che dà origine ad un’epoca nuova; chi la ritiene una fase interna al moderno e preferisce parlare di ‘tarda modernità’ o chi ritiene che ormai il Postmoderno si sia concluso dopo gli eventi dell’11 settembre.

La realtà postmoderna è caratterizzata dalla frantumazione, dalla complessità incoerente, un caos che però non è stato vissuto tragicamente dal soggetto (almeno ai suoi albori) bensì con un’accettazione ludica. Se appare impossibile la produzione del nuovo allora è lecita nel campo della letteratura, delle arti, del teatro e del cinema, la ripetizione del già noto. Salta dunque il tabù dell’originalità a tutti i costi per riprendere semplicemente gli stili del passato combinandoli e contaminandoli tra loro, mediante assemblaggi di citazioni. Basti pensare al cinema di Quentin Tarantino, ai romanzi di Andrea De Carlo, Pier Vittorio Tondelli o ancor prima di Italo Calvino e alle sperimentazioni dei primi anni ’80 nel campo della videoarte. Il romanzo postmoderno, quindi, non è più un ‘genere’, ma rappresenta la ripresa di tutti i generi già sperimentati.

In America il maestro della nuova corrente è Thomas Pynchon, che utilizza una straordinaria molteplicità di linguaggi derivati dal mondo dell’informazione, dello spettacolo e della tecnologia. A questi si aggiunge la coscienza che la comunicazione non serve a mettere in rapporto gli uomini, ma solo a distribuire merci. La lingua che serve a esprimere questi motivi, presenta una continua mescolanza di culture e voci diverse.

La cultura postmoderna inoltre, non si rivolge a un pubblico ristretto, ma cerca di raggiungere un vasto pubblico di lettori e audience utilizzando il linguaggio dei mezzi di comunicazione di massa e riprendendo i generi ‘forti’ della tradizione, senza distinguere tra produzione ‘alta’ e letteratura di consumo.

Per questo, tratti caratteristici del postmodernismo sono il citazionismo, la frammentazione e l’ibridazione. I metodi narrativi riprendono le modalità espressive della televisione, degli audiovisivi e della pubblicità. L’imperativo è quello di decostruire, sovvertire, decontestualizzare e spaesare, il senso del sé è dunque mancante. I confini diventano fluidi, l’unità si converte in una pluralità di sfaccettature. Non ci sono noccioli duri né caratteri duraturi né aspetti in profondità, la sostanza cede il posto alla superficialità, il contenuto alla forma. La forma è tutto, è tutto lì, in superficie. In conseguenza di ciò non vi sono nemmeno interpretazioni, ma solo il gioco del linguaggio che dissemina il senso nello stesso modo in cui disperde l’io.

Resta un quesito: se l’uomo è mancanza ad essere, quali esperienze possono offrirci la possibilità di squarciare la breccia esistenziale delle nostre vite così tecnologicamente avanzate? La bellezza salverà il mondo o è solo questione di pixel?

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