La morte a Venezia

Echi, miti classici e simbologia ne “La morte a Venezia”

La morte a Venezia (1912) è l’opera di Thomas Mann più ricca di echi classici in quanto la passione omoerotica del Professor Aschenbach affonda le sue radici in un substrato cosmico, anteriore al concetto cristiano di peccato, che Platone ha espresso nel Convivio e nel Fedro.

Nel capitolo III il protagonista non appena si accorge dell’assenza di Tadzio, lo paragona ad un piccolo Feace e recita tra sé un verso dell’Odissea: “Continuo cangiar d’ornamenti  e bagni tiepidi e sonno…” Il capitolo IV si apre con un esordio epico: “E si sentiva come trasportato nel suolo esilio, ai confini della terra”. Nel suo delirio Aschenbach, per scacciare l’immagine di un torbido e peccaminoso eros, identifica se stesso con Socrate e Tadzio con il giovane interlocutore del filosofo, Fedro, quando ormai Socrate è vicino alla morte e rivolge ad un Fedro immaginario un discorso dove il concetto platonico non riesce a giustificare il senso di colpa sofferto dalla coscienza lacerata da un desiderio proibito.

Mann, durante gli anni della genesi del romanzo, si era documentato scrupolosamente al punto che quando nel capitolo III, un ragazzo di nome Jascio bacia Tadzio, Aschenbach lo indica tra sé e sé con il nome di Critobulo, storico bizantino che si sottomise a Maometto II. Tale riferimento risulta incomprensibile se si ignora la fonte, i Memorabili di Senofonte dove si cita l’episodio di Critobulo che aveva baciato il figlio di Alcibiade. Dice Senofonte: “Ma ti do un consiglio Senofonte: quando vedi un bello fuggi a tutta corsa; e a te Critobulo, consiglio di star lontano per un anno: nel frattempo potreste forse guarire dalla ferita”. Ed ecco le parole di Mann: “Quanto a te, Critobulo”, pensò sorridendo, “ascolta il mio consiglio, va’ in viaggio per un anno. Ché meno di tanto non ti occorre per risanare”.

Tadzio, contemplato da Aschenbach ha “una testa da Eros, dalla lucentezza dorata del marmo pario” ma non resta statico nella fantasia dell’innamorato che lo tramuta in una creatura mitica che in un’età favolosa ha anticipato i suoi gesti. Ad un certo punto egli prende la figura del giovane e ne fa un modello di un’idea letteraria: quando Tadzio gioca con la palla, si immedesima in Giacinto colpito a morte dal lancio di un disco; quando Tadzio gli sorride, rivive in Narciso che si specchia nella fonte; e mentre Aschenbach di fronte al mare china il capo sul petto e muore, gli sembra che da lontano il ragazzo gli accenni di seguirlo tramutato in Ermes, il dio che conduceva le anime nel regno dei morti. Il racconto, dunque, si snoda solo dalla visuale di chi idealizza l’amato e insegue le inquietudini di un’anima sovraeccitata, tutta rinchiusa nel suo mondo interiore, incapace di uno sguardo disincantato sulla realtà circostante.

Per quanto riguarda il paesaggio, Venezia è percepita da Aschenbach nell’aspetto più cupo di città in decadimento, soffocata da un clima afoso e luogo dove imperversa il colera. I presagi di morte che segnano l’ultimo viaggio del protagonista, non si manifestano solo a Venezia. Lo sconosciuto che incontrato a Monaco davanti al cimitero, ha tratti comuni con il finto giovanotto del battello e con il gondoliere, tutti e tre sono messaggeri dell’ignoto e la loro funzione si preannuncia evidente dal loro fisico: i denti sporgenti fino alle gengive, il loro biancore, che alludono alla mandibola corrosa di un teschio; senza contare l’affinità della gondola nera con la bara sottolineata da Mann. Durante il tragitto sulla barca Aschenbach pensa che quell’uomo sospetto potrebbe anche spedirlo direttamente nell’Oltretomba; il gondoliere non aspetta il compenso perché esercita il suo mestiere abusivamente, in questo modo la figura di Caronte si sdoppia nella sua.

Elementi mitici e simbolici dunque si alternano nel contesto de La morte a Venezia, si richiamano l’uno all’altro e accompagnano la vittima fino all’epilogo; alla vicenda borghese la narrativa di Mann è sempre rimasta fedele sia nei romanzi di vasto respiro come I Buddenbrook, La montagna incantata, il Dottor Faust, che nei romanzi brevi, da La morte a Venezia che accoglie in sé i motivi più importanti della sua problematica giovanile, fino a L’inganno, ultima opera di Mann che, nonostante il parere contrario dell’autore, ha in comune con la vicenda di Aschenbach il tema della simbiosi tra amore e morte.

 

Bibliografia: T. Mann, La morte a Venezia, Prefazione a cura di R. Fertonani.

 

Pubblicato da

Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

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