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Il gregge

Davide Grittani, autore de ‘Il gregge’: ripristinare la funzione etica e sociale dei mestieri intellettuali

Davide Grittani è giornalista, scrittore, consulente della comunicazione per aziende ed enti pubblici, editor e consulente di case editrici. Direttore del periodico di sicurezza alimentare BLab Magazine. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno è autore del romanzo Il gregge (Alterego edizioni), presentato da Wanda Marasco al Premio Strega 2024.

Il libro, pervaso da uno spiccato senso di indignazione, veicola l’idea dell’importanza di ripristinare la funzione etica e sociale dei mestieri intellettuali, soprattutto in un momento di forte crisi dell’editoria italiana come questo.

Grittani punta il dito contro la nostra antipolitica, la nostra indignazione solo urlata, di comodo, di facciata, di mestiere, noi cittadini ci sottraiamo alle nostre scelte.

In una Milano caotica e tentacolare, si è giunti al momento cruciale: le elezioni per il nuovo sindaco. Fra i candidati per la nuova carica spunta Matteo Migliore, personaggio trash, emblema della situazione politica attuale, narrata da Grittani con piglio cinematografico. La trama è minima e serve all’autore per fotografare satiricamente la realtà di tutti i giorni, soprattutto quella che gravita intorno ad una campagna elettorale.

Davide Grittani, nato nel 1970, ha pubblicato i romanzi Rondò (Transeuropa, 1998); E invece io (Robin, 2016) proposto al “Premio Strega” 2017; La rampicante (LiberAria, 2018) proposto al “Premio Strega” 2019 e vincitore dei premi “Nabokov” e “Giovane Holden”; La bambina dagli occhi d’oliva (Arkadia, 2021) vincitore dei premi “Alda Merini” e “Città di Siena”. Dal 2006 al 2016, in collaborazione con gli Istituti Italiani di Cultura, ha curato la mostra della letteratura italiana tradotta all’estero “Written in Italy”, esponendola in ventisei Paesi e aggiudicandosi il “Premio Maria Grazia Cutuli” (2010). Scrive di letteratura e società per “Pangea News”, collabora al “Corriere del Mezzogiorno”

 

Il gregge

C’è un momento particolare in cui hai deciso di scrivere Il gregge?

Da tempo cresceva in me l’interesse e la propensione a occuparmi di vita pubblica, di cose che avessero a che fare con l’etica e la politica. Quando mi sono convinto che certi comportamenti schizofrenici, come dire e fare tutto e il contrario di tutto e provare a giustificarli in ogni modo, erano già fiction allo stato puro, allora ho pensato che erano maturi i tempi per raccontare questa mia indignazione. Quella di non riuscire più a individuare nella classe dirigente un esempio da seguire, un modello. Il gregge è un romanzo sulla impossibilità di affidarsi a chi aveva chiesto fiducia. Un circo che si rende conto che lo spettacolo, da grandi numeri e straordinarie prove di abilità, si è ridotto ai soli clown.

 

Spesso si sente dire: “Nessun politico mi rappresenta”. Non pensi invece che “certi” politici rappresentino perfettamente “certi” cittadini (in negativo)?

Penso la necessità di rappresentatività dei cittadini si sia, purtroppo, adeguata al basso profilo politico di cui possono disporre. Non si ambisce più a una rappresentatività alta, esigente, ma al tutto e subito. Non c’è più un’esigenza correlata ai servizi necessari ai cittadini per vivere, ma al bisogno che soddisfa la sopravvivenza immediata. Ecco che la linea tra bisogno e consenso si è schiacciata, non esiste praticamente più. E i politici lo hanno capito bene, non misurano più il proprio consenso attraverso gli atti che dovrebbero fare per mandato ma piegano il bisogno dei cittadini a qualsiasi forma di arroganza. E’ calata complessivamente non solo la qualità dei politici, ma anche quella degli elettori. In senso trasversale e assoluto, direi.

 

La letteratura che proponi con questo romanzo interroga temi civici ed etici. Ritieni sia anche compito della letteratura formare le coscienze?

Personalmente, intendo dire nel mio piccolo, credo con estrema fermezza che questo sia il momento – drammaticamente adatto, storico – per ripristinare la funzione etica e sociale dei mestieri intellettuali. Uno scrittore che non si assume la responsabilità di ciò che scrive e dice non è uno scrittore consapevole di quello che fa, in buona sostanza non è uno scrittore. Oggi c’è bisogno di un ritorno all’impegno, da parte di tutti. I tempi lo richiedono, non leggo un romanzo sulla necessità della pace – del ritorno alla pace come sintesi di vita – da chissà quanti anni. Al contrario mi propongono solo romanzi sulla guerra, su quello che è stato e su quello che sarà. Tragga lei le conseguenze.

 

La vicenda che racconti sembra una sceneggiatura di un film di Dino Risi, Monicelli, Steno; ti sei ispirato anche a loro?

Nei tratti distintivi di questi Maestri c’era uno spaesamento dovuto soprattutto all’uscita dalla guerra e alla interpretazione di un Paese ancora in costruzione. Dentro quella sofferenza c’era tantissimo del talento vero degli italiani, ma a un certo punto il boom economico ci ha dato alla testa e abbiamo pensato che fosse – giustamente – arrivato il tempo per poter smettere di pensare, per essere finalmente leggeri dopo tanto dolore. Beh, quel periodo dura da 80 anni. Non abbiamo mai smesso di pensarci leggeri, ergo non abbiamo mai ricominciato a pensare. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, questo è un Paese in cui si fa fatica ad arrivare puntuali a un appuntamento, figurarsi a ipotizzare il futuro. Non mi sono ispirato a loro in quanto Maestri del genere, mi sono certamente imbevuto dei loro capolavori educando però alla mia scrittura a un genere di ironia e grettezza che insieme oggi sembrano essere le uniche variabili dell’umore italico, continuamente oscillante tra ottimismo e profonda disperazione.

 

La commedia, è l’unico genere con cui si possono raccontare davvero gli italiani?

Non credo, ma la commedia ha saputo raccontare molto meglio di altri generi il tratto contraddittorio degli italiani. Prendiamo Mediterraneo di Gabriele Salvatores, un film che voleva dire molto altro rispetto a quello che ha detto. Anche i disastri della politica coloniale italiana, senza sfociare nel dramma ma abbandonandosi alla malinconia di cui gli italiani sono i più grandi interpreti al mondo.

 

La politica è davvero un grande circo felliniano o è la levatura morale dei politici a renderla tale?

La politica ha capito, come fosse un felino in attesa della preda, che sulle debolezze e sui bisogni della gente si poteva e doveva speculare, non esitare; è stato lì che il patto etico tra chi vota e chi chiede il voto si è definitivamente rotto. Oggi chi si impone a una elezione può godere, al massimo, della maggioranza degli elettori, che solitamente sono solo la metà degli aventi diritto. Chi vince oggi, in sintesi, vince sempre a metà. Così come chi viene governato, viene governato sempre un po’ a metà. Se non è un circo felliniano questo, cos’altro potrebbe rappresentarlo?

 

“Questa gente si è affermata per sottrazione, per colpa nostra” si legge ad un certo punto nel libro. Si può essere colpevoli di credere in un progetto che magari ci sembra buono? Siamo troppo ingenui o collusi idealmente?

La parte migliore del Paese, sia come società civile che come qualità della proposta, se ne sta in disparte, non si schiera. Emerge solo una piccola parte di chi vuol emergere, questo genera una selezione della classe dirigente al ribasso, una scelta che già in partenza è condannata a scegliere tra gli scarti. Non è un fatto di collusione, è un fatto di avere a che fare con chi davvero dovrebbe scegliere di concedere il proprio talento al prossimo, invece noi subiamo la mediocrità di chi senza essere scelto viene imposto alla nostra attenzione a causa del rifiuto dei migliori. Per sottrazione, appunto. Questa non è più selezione, ma compromesso.

 

Cosa pensi dell’editoria italiana attuale? C’è qualche scrittore emergente che apprezzi?

E’ una editoria in fortissima crisi di identità, in cui le major piangono e si fingono piccole realtà mentre le piccole realtà sono spesso costrette a scelte di estrema qualità per poter sopravvivere. E’ un mondo alla rovescia, senza citare nessun best seller attualmente in commercio. Sono saltati gli schemi, il potere di tutti – leggere è l’atto più democratico e liberale del mondo – in mano a pochissimi, che impongono come capolavori libretti di nessuna importanza e alcun valore letterario. Tra gli stranieri apprezzo molto Guadalupe Nettel, in Italia la pubblica La Nuova Frontiera. Tra gli italiani Dario Ferrari, abbiamo bisogno della sua tagliente e coltissima ironia.

 

Cosa ti aspetti dalla presentazione de Il gregge al premio Strega?

Nulla in particolare, mi ha fatto molto piacere la presentazione di Wanda Marasco al premio, un gesto che ha ripagato gli sforzi non solo miei ma di tutta la casa editrice (Alter Ego). Ma i premi vanno presi per ciò che sono, chi li vince non è un fenomeno e chi li perde non è uno scarsone. I premi rappresentano delle opportunità per discutere del valore e del mondo che c’è dentro certi libri, quando invece antepongono la vanità della cornice a tutto il resto… non più premi ma varietà.

 

Qual è l’aspetto principale che segna una differenza con i tuoi precedenti libri?

L’indignazione. Non credo ci sia più tempo per restare fermi, credo che gli scrittori abbiano il compito di sollecitare una riflessione, una strada ancora aperta, una via d’uscita. Anche il loro lungo letargo, vissuto al comodo dei gialli da classifica e dei romanzetti che non aggiungono o tolgono nulla alle nostre vite, in un certo senso… mi indigna.

About Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

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