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“Cristo si è fermato ad Eboli”: il triste incontro con il Meridione

«Nessuno degli arditi uomini di occidente ha portato quaggiù il suo senso del tempo che si muove, né la sua teocrazia statale, né la sua perenne attività che cresce su se stessa». Cristo si è fermato ad Eboli, scritto tra il Natale del 1943 ed il luglio del 1944,e poi  pubblicato da Einaudi nel 1945 è un romanzo autobiografico, è la storia del periodo di confino che Carlo Levi trascorse in Basilicata, le sue coraggiose idee antifasciste lo portano a fare la conoscenza di un mondo altrimenti, forse, mai scoperto, un mondo chiuso e immoto, lontano dal tempo e dalla storia, un mondo di pena, di problemi antichi irrisolti.

Già il titolo potente, suona come una sentenza, una negatività tutta da risolvere, una difficoltà e una differenza tutta da superare. Cristo si è fermato ad Eboli perché al di là di questa cittadina campana, una volta abbandonata la costa, si fermano la strada e la ferrovia; superato tale punto, si arriva nelle terre aride, desolate e dimenticate della Basilicata. I contadini di questa terra sono lontani dai canoni della civiltà, sono inseriti in una Storia diversa, dal sapore magico e pagano, una Storia nella quale  Cristo non è mai arrivato. Eboli dunque non  è solo un confine geografico ma è il confine che segna la fine della civiltà verso una “terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte”.

Carlo Levi offre un’analisi puntuale e a tratti meravigliata del Mezzogiorno, narra osservando con i suoi occhi di piemontese, visione libera e condizionata allo stesso tempo.

Durante i due anni d’esilio nella cittadina di Aliano, nel libro sarà Gagliano, paese sperduto in provincia di Potenza, tra i monti della Lucania, l’autore ebbe modo di conoscere lo stato di miseria in cui la gente viveva; nel ripercorrere la propria esperienza a con quella gente che dice: «Noi non siamo cristiani, Cristo si è fermato ad Eboli», l’autore riflette con straordinaria lucidità sull’ estraneità dello stato e della politica. Prende consapevolezza di un « un mondo tanto diverso dal suo quanto più vero e più legato all’essenza stessa della vita».

Levi osserva e analizza la miseria materiale in cui i contadini lucani degli anni Trenta sono costretti a vivere, abbandonati da uno Stato in cui non possono riconoscersi, da uno Stato che impone, pretende e vessa. E nonostante tutto i giorni trascorsi a Gagliano, sempre uguali a se stessi, lo rendono partecipe di un mondo nuovo che trae la sua linfa vitale dalla grande forza interiore dei contadini, dalla rassegnazione, dalla pazienza, dalla grande saggezza che li guida. Gli  insegnamenti di questo popolo lasciano quasi stupito Levi, l’immenso senso dell’ospitalità e  l’attaccamento a valori veri, la dignità ferma e salda anche nella povertà e l’entusiasmo dei bambini desiderosi di apprendere sono lezioni importanti per l’autore.

Tutto il libro è attraversato dalla scoperta di una nuova dimensione dell’animo umano, fino ad allora  sconosciuta. Importantissima è anche la componente linguistica Levi infatti scopre innanzi tutto un linguaggio nuovo, inedito e sconosciuto; un linguaggio amaro e ironico e talvolta grottesco.

Una parentesi dalla vita dura di Agliano è rappresentata dall’arrivo della sorella, la quale si trattiene in paese per quattro giorni. A questo punto Levi coglie l’occasione per descrivere Matera, la città fantasma tutta racchiusa nel baratro dei Sassi; le abitazioni scavate nelle grotte e sovrapposte le une alle altre tutte a precipizio sul Basento. I bambini denutriti e scheletrici, condannati sin dall’infanzia alla malaria sembra armonizzarsi con la descrizione del paesaggio brullo e bruciato dal sole. Dimenticati dallo Stato, dalla civiltà, dalla religione, i contadini di Lucania considerano la magia come un mezzo di difesa contro i mali fisici che li affliggono da ogni parte e nello stesso tempo la coltivano come estrema illusione per dominare gli eventi. E Levi entra anche nel mondo misterioso della magia, comprendendo ancora meglio la disperazione contadina. Il grande significato antropologico è rispettato da Levi che non condanna e non considera la  componente magica come superficiale superstizione. Egli si adopererà molto per i gaglianesi ma molto di più faranno i gaglianesi per lui, curando il suo animo.

“Cristo si è fermato ad Eboli” è scoperta e  delusione, amarezza e gioia, impossibilità e speranza, storia e mito, un affresco pietroso e emozionante di una civiltà fuori dal mondo eppure così fermamente legato ad esso. Il romanzo  colpisce anche per la straordinaria capacità dell’autore di cogliere ogni singola sfumatura della miseria e della solitudine arcana del Meridione. Libro attualissimo, da non perdere.

Nel 1979 il regista Francesco Rosi firma l’adattamento cinematografico del libro, affidando il suo capolavoro all’ interpretazione di Gian Maria Volontè.

 

Pubblicato da

Michela Iovino

Le parole aiutano la "coraggiosa traversata" della realtà, così scrisse una volta Elsa Morante. Lo credo anche io, fermamente, per questo scrivo. Amo l'arte, la musica classica, il cinema e in particolar modo la letteratura, che è essenziale punto d'appoggio. Nei frattempo della vita colleziono storie, forse un giorno ne scriverò qualcuna!

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