‘Gente nel tempo’, lo stile coraggioso di Bontempelli

Massimo Bontempelli è senza dubbio uno scrittore “tutto stile” come dimostra, probabilmente più di ogni suo altro romanzo, Gente nel tempo (1937), sua ultima fatica. Perchè Bontempelli può essere definito uno scrittore di tutto stile? Per il suo modo semplice di raccontare cose complicate. In Gente nel tempo, lo scrittore lombardo stabilisce rispettivamente la natura del complicato e del semplice e i loro mutui rapporti, inventando, come dice il critico Debenedetti, dei casi complicati per forza di immaginazione e li rende semplici per forza di fantasia.

Gente nel tempo narra di una famiglia in cui, per un ricorso inizialmente inavvertito, si è prodotta tre volte consecutivamente, allo scadere di ogni quinto anno, la morte di uno dei componenti: inizialmente la Gran Vecchia madre di Silvano, poi Silvano stesso e infine sua moglie Vittoria. Legge o accidente? Un abate che vive nello stesso paese di Colonna, dove questa famiglia Medici ha la sua villa, scopre astrologicamente che si tratta di una vera e propria legge.

In questo romanzo le tre morti ad orologeria potrebbero anche non intervenire, in quanto morti immotivate, le quali, secondo Debenedetti, si presentano come un risultato di un arbitrio capriccioso. Tale gioco dell’immaginazione è assunto da Bontempelli come un’ipotesi di lavoro narrativo: si tratta di rendere indiscutibili alcuni fatti che si succedono sul filo di questa ipotesi, nella quale il poeta non sente l’esigenza di credere, come anche noi, del resto. Questa è la cosa complicata e la maniera semplice per comunicarcela sarà di conferire a quei fatti una forte evidenza e concretezza. Per comprendere meglio tale meccanismo, basta seguire subito i primi capitoli del romanzo; ci troviamo dinnanzi al racconto di una morte: quella della Gran Vecchia, circondata da misteriose anticipazioni e presagi; poi quella di Silvano, amante di vecchi libri, la vita di Vittoria e il suo inutile tentativo di amore con Maurizio; infine vi sono l’infanzia e l’adolescenza di Dirce e Nora, le figlie di Silvano e Vittoria. Verrebbe da chiederci come mai ad un preludio pieno di minacce e di un magico esoterismo, subentrino vicende più modeste e comuni. Bontempelli, in realtà attinge dai luoghi topici della narrativa più frequentata, ma piuttosto che narrare di vite, vuole mettere l’accento sulle morti per dare seguito al romanzo. Quindi sia Silvano che Vittoria muoiono ma la loro morte riesce sempre gratuita che al termine di una vita non certamente vivace, porta con se un qualcosa di arbirtrario. Basta quindi registrare le morti successive con la spontaneità di una constatazione.

Per quanto riguarda i sentimenti, Bontempelli li fa diventare puro stile: nomi semplici per alludere all’universo metafisico di un destino astratto, scatenandoli o moderandoli; lo scrittore non lascia vivere per conto loro i personaggi, ma gli conferisce delle note di colore per raggiungere la “verosimiglianza”. Ad esempio quando Bontempelli parla di Nora e Dirce, ci dice che Nora è più bella, più in carne e Dirce, più oscura ed egoista, insiste che affinché si faccia un costume da bagno più seducente lasciando intendere che Dirce abbia ammirazione per la sorella, ma invece vuole che la sorella sia il più possibile provocante per attirare amori balneari nella speranza che le nasca un nuovo figlio sul quale si possa scaricare la condanna.

Bontempelli ci lascia giudicare le due sorelle ma sempre entro i limiti che lui ha stabilito, facendoci credere ad una verità delle sue protagoniste. L’impegno dello scrittore è quello di buttare qualche fatto a deflagarsi entro quella che è chiamata la fornace del tempo, colmando gli intervalli insignificanti per raggiungere le date importanti. Sul tempo lo scrittore getta dei ponti e ci induce a contare gli anni che sono trascorsi sotto quel ponte. Afferma lo stesso Bontempelli:

“Questo racconto…si trova a non avere un filo di corrente cui abbandonarsi, ma deve remigare tra la misura degli episodi vagabondi sulla superficie dello stagno”.

Gente nel tempo è una specie di tragedia a lieto fine e rappresenta una delle imprese più coraggiose e ardue della letteratura italiana.

 

Pubblicato da

Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

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