Franco Fortini (Franco Lattes 1917-1994) nasce a Firenze da una famiglia ebraica e in giovane età si converte alla chiesa valdese. Arruolato tra le file dell’esercito, dopo l’8 settembre scappa in Svizzera dove frequenta Adriano Olivetti, conosciuto precedentemente a Firenze nel 1938.
Fortini è stato uno dei più acuti collaboratori del «Politecnico» di Vittorini, ma le necessità economiche lo spingono ad accettare l’offerta di lavoro arrivatagli dalla Olivetti. Il primo settembre 1947 si trasferisce a Ivrea e si occupa delle iniziative culturali di fabbrica collaborando con la rivista «Comunità».
L’intellettuale genovese è anche un abile pubblicitario e alla Olivetti viene riconosciuto questo suo talento, è lui infatti a dare il nome alle macchine da scrivere Lexicon, Lettera 22 e Lettera 32. Fortini, di credo marxista, rinnova per molti anni la tessera del PSI e rappresenta in veste sindacale gli operai nelle trattative con la proprietà.
Per questo motivo si ritrova spesso in disaccordo con Adriano Olivetti e si generano conflitti anche molto aspri ma costruttivi. Egli infatti ricorda con una nota d’affetto: «[…] qualsiasi altro industriale mi avrebbe cacciato su due piedi, per le noie che gli stavo procurando, e invece dopo una intemerata telefonica piuttosto aspra Olivetti mi condannò – mi condannò sì, ma facendomi un regalo straordinario, cioè trasferendomi a Milano alla pubblicità».
Il caso di Fortini (e anche quello di Ottieri, Donnarumma all’assalto) è esempio e dimostrazione dell’assenza di influenze esterne sulla
produzione letteraria. Gli intellettuali al servizio della Olivetti hanno più spesso assunto posizioni critiche che di elogio nei confronti della fabbrica e dell’industria in generale.
Per le Edizioni di comunità traduce nel 1952 La condizione operaia e nel 1954 La prima radice di Simone Weil. Il suo lavoro come pubblicitario, spesso al fianco di Giovanni Pintori, è apprezzato da tutti. In una lettera del 1958 Riccardo Musatti scrive ad Adriano Olivetti:
«Il Dr. Fortini ha dato negli anni scorsi una collaborazione qualitativamente eccellente e quantitativamente notevole, contribuendo in non piccola misura all’affermazione della pubblicità Olivetti» .
Musatti avanza poi la proposta di liberare Fortini da qualsiasi obbligo rappresentativo per far sì che gli fosse data libertà e carta bianca sul piano creativo. Alla morte di Olivetti Fortini scrive un breve articolo per «L’Avanti» e tre anni dopo lascia l’azienda continuando a collaborare saltuariamente.
Per Franco Fortini l’industria non produce solo oggetti, ma anche rapporti umani e soprattutto idee. Tra queste quella fondamentale è che gli oggetti non vengono adoperati perché utili ad uno scopo (l’auto mi serve per spostarmi), ma diventano importanti di per sé. Conseguenza di questo è l’acquisto delle merci da parte dei consumatori anche senza che questo sia motivato da un reale bisogno. Nessuna definizione sembra più adatta al consumismo.
Il soggetto, che da pensatore è divenuto consumatore, desidera possedere le merci non perché gli sono utili o necessarie, ma per
impadronirsi metaforicamente della loro forza e potenza figurativa. Ecco che si crea il “feticcio delle merci” e il frustrante perseguimento dello “status symbol” a tutti i costi.
Per Fortini è errato discutere di letteratura e industria se limitiamo il campo semantico dell’industriale alle mura della fabbrica. La tesi di fondo è che le idee e le forme dell’industria sono le idee e le forme della vita sociale. In altre parole l’industria non è un tema, ma la manifestazione di un tema che si chiama capitalismo; l’individuo non può scindere il mondo della produzione dai meccanismi della vita sociale poiché questo è entrato con prepotenza (e senza trovare particolari opposizioni) nelle nostre vite, deformando e plasmando anche il nostro inconscio.
Fortini non usa toni apocalittici e un approccio iperbolico ai fenomeni, al contrario sostiene un concetto semplice e altamente condivisibile: il nostro agire (in ambito sociale, privato, lavorativo…) è influenzato dall’impulso dell’industria intesa pasolinianamente come «nuovo modo di produzione».
Se l’industria penetra così a fondo nelle nostre vite allora si può parlare di industria e letteratura anche senza essere operai. L’interesse di Adriano Olivetti per la vita degli operai al di fuori delle ore lavorative era dovuto alla sua comprensione del meccanismo di estensione tentacolare del nuovo modo di produzione e delle conseguenze di questo sul piano sociale.
Il capitalismo, che è la concentrazione delle forze di produzione e dei beni economici nelle mani di pochi gestori della totalità, ha previsto sin dal suo nascere un opposizione ad esso stesso. Pasolini ha infatti denunciato il paradossale pericolo di conformarsi all’anticonformismo e inserirsi tra le fila degli oppositori previsti e anzi necessari.
Fortini, pienamente conscio di questo meccanismo, adotta altre contromisure. Il linguaggio diventa molto più articolato e quasi oscuro, la sintassi complessa, il lessico a tratti arcaico. Se la realtà dell’industria e dei consumi vuole un linguaggio semplice e una comunicazione immediata, Fortini ricorre al classicismo stilistico, e talvolta anche alle sestine, per generare straniamento e quindi un cambio di passo nella comprensione del lettore.
Bibliografia
F. Fortini, Verifica dei poteri, Il Saggiatore, Milano, 1965.
F. Fortini, Astuti come le colombe, «Il Menabò», 5, 1962.
A. Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, v. III, Einaudi, Torino, 2009.
A. Saibene, L’Italia di Adriano Olivetti, Edizioni di comunità, Milano, 2017.
A. Olivetti, Città dell’uomo, Edizioni di Comunità, Milano, 2015.
V. Ochetto, Adriano Olivetti. La biografia, Edizioni di Comunità, Milano, 2013.
P. Pasolini, Lettere Luterane, Garzanti, 2015
Salvatore Schiano