Breaking News
Home / Poesia / “Io temo tanto la parola degli uomini”: la semplicità di R. M. Rilke
io temo tanto la parola degli uomini poesia

“Io temo tanto la parola degli uomini”: la semplicità di R. M. Rilke

Dopo aver pubblicato la raccolta Nuove poesie (1907-1908), con la quale aveva dato una svolta alla sua attività di poeta, proponendo lo stile realistico ispirato dalla scultore francese Rodin, Rainer Maria Rilke si dedica alla seconda edizione delle Poesie giovanili, che uscite nel 1899, saranno ristampate nel 1909 in seguito a numerose correzioni. A questa seconda edizione delle Poesie giovanili appartengono i versi della poesia attualissima “Io temo tanto la parola degli uomini”: la loro semplicità è un’importante conquista del poeta che riflette sulla vita degli uomini e sul rapporto che hanno con ciò che li circonda. Nella poesia di Rilke è fortemente presente la figura di Nietzsche che nega all’uomo la possibilità di conoscere il reale e soprattutto la considerazione secondo la quale l’uomo deve abbandonarsi al flusso inesorabile della natura, senza pretendere di cambiarlo e dominarlo secondo le proprie categorie, in quanto è proprio nella natura che si manifesta celatamente l’intervento di Dio:

 

Io temo tanto la parola degli uomini.

Dicono sempre tutto così chiaro:

questo si chiama cane e quello casa,

e qui è l’inizio e là è la fine!

 

E mi spaura il modo, lo schernire per gioco,

che sappian tutto ciò che fu e che sarà;

non c’è montagna che li meravigli;

le loro terre e giardini confinano con Dio!

 

Vorrei ammonirli, fermarli; state lontani!

A Me piace sentire le cose cantare!

Voi le toccate diventano rigide e mute!

Voi mi uccidete le cose!

 

 

Chiamarti ascesa, chiamarti declino?

Poiché a volte il mattino mi spaura,

esito a cogliere le sue rose vermiglie 

e sento nel suo flauto il suo presagio

di giorni lunghi e vuoti di canti.

 

Ma le sere sono miti e mie,

le rischiara silente il mio guardare;

fra le mie braccia prendono sonno boschi,

io stesso sono l’eco sopra di loro,

 e al buio che si annida nei violini

sono fratello col mio esser buio.

 

Scendi, o lento canto della sera,

fluente da grandiose lontananze.

Io ti accolgo. Sono io il calice

che ti racchiude e di te non trabocca.

 

Le tre quartine sottolineano l’importanza di un rapporto limpido ed originario tra l’uomo e la natura che lo circonda e circoscrivendo l’ambito tra l’uomo e le cose. Tale rapporto porta con se un elemento divino e si pone al di fuori delle convenzioni storico-sociali ma soprattutto al di fuori di una sicurezza ostentata che ha la presunzione di collocare l’uomo sullo stesso piano della divinità. In questo senso deve esser letta la categorica affermazione del primo verso: Io temo tanto la parola degli uomini, e le considerazioni successive: Dicono tutto sempre così chiaro, sanno sempre ciò che fu e sarà, le loro terre e giardini confinano con Dio.

L’invito all’umiltà e a vivere una vita autentica significa per il poeta, ricondurre l’uomo alla sua dimensione di essere creato e inserito nel flusso di una vita che lo trascende. Ma l’uomo deve esserne consapevole, solo in questo modo può sentire le cose cantare, senza rischiare di ucciderle pretendendo di avere chissà quale autorità e potere su di loro: Voi le toccate: diventano rigide e mute.

Tuttavia Rilke con il porsi nel flusso della vita, non intende affatto aderire alla forma decadente della vita e alla sua ideologia “panica” alla D’Annunzio per il quale l’uomo deve abbandonarsi agli elementi della natura per trarne piacere estetico. Rilke attua una riflessione più profonda che riguarda il rapporto uomo-divinità e sul senso della vita umana, nonché tenta una ridefinizione del linguaggio e della funzione stessa dell’arte.

Se nei versi che chiudono Le poesie giovanili, il poeta scrive “Non devi attendere che Dio venga a te e dica: eccomi. Devi sapere che Dio soffia in te come il vento sin dagli inizi e se il cuore ti brucia e non si svela, c’è lui dentro, operante”, nelle conferenze degli stessi anni dichiara l’assunzione di una missione per fondare una nuova arte. A differenza di molti scrittori di fine Ottocento, Rilke vuole vivere una vita interiore partendo dalla percezione che gli uomini contemporanei credono di possedere la certezza e rischiano invece di distruggere tutto ciò che toccano. Basti dare uno sguardo ancora oggi alla violenza perpetrata dall’uomo nei confronti della natura e dei suoi esseri viventi.

 

About Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

Check Also

Rebora poeta

Clemente Rebora, la poetica della ricerca spirituale e la lirica agonizzante soffocata dalla società capitalista

Clemente Rebora nasce a Milano il 6 gennaio 1885 dal garibaldino e massone Enrico Rebora e dalla poetessa Teresa Rinaldi. Nel 1903 intraprende gli studi di medicina che presto abbandona per seguire i corsi di lettere presso l’Accademia Scientifico-letteraria di Milano, dove si laurea nel 1910. Fin dalla giovane età l’anima di Rebora sembra intrisa da profonde crisi spirituali; nel suo percorso accademico supera difficili momenti di depressione che lo portano sull’orlo del suicidio. Completati gli studi, dapprima, intraprende la via dell’insegnamento in istituti tecnici e scuole serali non tralasciando la passione per la scrittura; in questo periodo, infatti, collabora con numerose riviste fra cui ‘’La Voce’’, ‘’Diana’’ e ‘’Rivisita D’Italia’’.  Nel 1913 avviene il debutto letterario  con la pubblicazione del volume di poesie Frammenti lirici. Nel 1914 conosce  pianista russa Lydia Natus, l’unica donna che il amerà nel corso della sua esistenza.