La seconda e la terza sezione di Una volta per sempre, raccolta poetica dell’autore fiorentino Franco Fortini, sono intitolate rispettivamente Traducendo Brecht I e Traducendo Brecht II. L’attività di traduttore dell’opera brechtiana ha rappresentato per Fortini un’esperienza che andava della semplice operazione tecnica ; egli infatti vedeva nel drammaturgo tedesco “il più vero e probabilmente l’unico poeta morale del realismo”. L’intera raccolta ha in sé un messaggio definitivo, come se fosse una dichiarazione finale e acquista un valore “irripetibile” e “assoluto”. La concezione poetica che sottende ai versi della raccolta concede ora, in contrasto con le posizioni precedenti del poeta toscano, un largo spazio alla metafora, intesa soprattutto come potere della poesia di dire senza dire; ciò porta anche ad un cambiamento dell’intonazione delle liriche, per le quali diminuiscono le ispirazioni di occasioni, mentre prevale una linea meditativa e di riflessione morale. Dal punto di vista sintattico e metrico, Una volta per sempre ricalca le forme post-ermetiche di Mario Luzi
Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.
Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.
I versi liberi di Fortini presentano una riflessione sul ruolo della poesia nella società contemporanea; il poeta confronta la propria condizione con quella di Brecht e scopre di aver perso le illusioni che animavano l’opera del poeta tedesco, i suoi versi di cemento e di vetro che denunciavano il male della società. Per noi, sostiene Fortini, la voce di Brecht non ha più lo stesso valore, è mutata perché sono cambiate le forme di oppressione che sono diventate più subdole. Per questo, alla fine della poesia, il poeta è costretto a riconoscere il fallimento del progetto brechtiano: la poesia non muta nulla, non è capace di dare una zampata efficace sullo sviluppo della società e della civiltà.
Tuttavia al pessimismo di tale conclusione, si contrappone la scelta di continuare a scrivere (da notare l’imperativo scrivi che apre e chiude la seconda strofa). Se, come lo stesso Fortini scrive altrove: “La maggior caratteristica ideologica delle forze economicamente e politicamente oggi in Italia dominanti è l’assorbimento o la neutralizzazione di qualsiasi contestazione o negazione che si presenti come tendenzialmente universale”, allora non resta altra possibilità se non quella di testimoniare con fermezza, senza farsi illusioni; scrivere, dunque, non per cambiare qualcosa, ma perché non si perda ciò che potrà servire ad un mutamento futuro. Rifiutando una concezione “pura” della poesia, il poeta resta convinto dell’importanza di resistere e di testimoniare, di non cedere alle lusinghe dell’odio cortese.
Per quanto riguarda l’aspetto formale, la lezione brechtiana è evidente nella ricerca di un verso martellato, privo di musicalità, allungato al di fuori di ogni schema tradizionale. Il carattere riflessivo e argomentativo della poesia è dimostrato anche dalla sintassi “difficile”, spesso contorta che esprime la difficoltà di analisi e dell’autoanalisi del poeta che nella seconda strofa assume la forma del dialogo con se stesso.