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Francesco d’Assisi ci è troppo prezioso per lasciarlo ai faciloni, ai disinformati, quando non ai falsari. Di recente, uno che conosce bene il santo “vero”, quello della storia e non del mito che oggi circola, ha reagito con la passione che gli è propria. Ha detto dunque Franco Cardini, il medievista, lo storico delle crociate («E Francesco d’Assisi – ricorda – è il prodotto più rappresentativo ed ortodosso della Chiesa delle crociate») che quel grandissimo «non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso. Non era il precursore dei teologi della liberazione. Né tantomeno fu l’araldo di un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico-pacifista: il tipo che ride sempre, lo scemo del villaggio che parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi. Gli voglio troppo bene, a Francesco, per vederlo ridotto così dai suoi sedicenti seguaci. No, Francesco era ben altro».
Cristina Campo
Cristina Campo

La visione poetica mistica di Cristina Campo

Eccellente traduttrice, ispirata e dall’originale pensiero, Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo, è stata una tra le più importanti poetesse del novecento. Di indole solitaria, Cristina Campo nasce a Bologna nel 1923 per poi trasferirsi nel 1928 a Firenze, città che la influenza nella sua formazione letteraria. Qui conosce personalità come Leone Traverso, Mario Luzi e Gianfranco Draghi. Sono incontri, questi, che ella ricorderà a vita e che influenzeranno il cammino letterario della Campo per condurla alla scoperta di Simon Weil, filosofa etica da cui l’autrice bolognese trae ispirazione e dalla scrittrice Margherita Pieracci Harwell che ne curerà le opere postume.
Cristina Campo si trasferisce a Roma nel 1955 dove conosce Elémire Zolla, Ernst Bernhard e altre personalità di spicco. Muore a Roma nel 1977.

Cristina Campo: tra creatività e misticismo

La condizione di poetessa del novecento di Cristina Campo le permette un confronto con lo spirito letterario dell’epoca, un’epoca influenzata dallo spirito pessimista del disfacimento dell’esistenza individuale e dai falsi ideali, promotori di un bene illusorio. In questa condizione così densa di domande e di riflessioni si inserisce il pensiero della poetessa. Nella sua vita ella entra in contatto con svariate personalità della poesia e della filosofia (Andrea Emo, Elémire Zolla, Ernst Bernhard) e di altre ne studia il pensiero (Simon Weil, Dostoevskij, Proust, Thomas Eliot). Dalla sintesi personale di questi incontri e studi nasce la sua originale poetica che la influenza in tutto: nella traduzione, ad esempio, che ella interpreta come un atto prettamente creativo e mistico più che trascrittivo. La traduzione si interessa del più profondo spirito della parola e non della parola stessa. Nel suo personale cammino spirituale troviamo traccia di quest’influenza che porta l’autrice a lodare l’ortodossia, giudicando migliore il rito bizantino, ritenuto più rispettoso e umile rispetto ad altri riti religiosi.

Per quanto concerne la poesia ella resta a lungo nascosta come autrice e viene riscoperta maggiormente nel tardo novecento, postuma alla sua morte, grazie ai suoi amici e intimi colleghi. La sua ricerca metafisica la conduce a dare una risposta ai mali del suo tempo, attraverso una visione che penetri nell’essenza delle cose, ricercandone un fine nascosto, evitando il superfluo e tutto ciò che Cristina Campo ritiene ovvio. Ne è un chiaro esempio la poesia Moriremo lontani, che parla della morte e dei legami umani da vari punti di vista.

Moriremo lontani

Moriremo lontani. Sarà molto
se poserò la guancia nel tuo palmo
a Capodanno; se nel mio la traccia
contemplerai di un’altra migrazione.

Dell’anima ben poco
sappiamo. Berrà forse dai bacini
delle concave notti senza passi,
poserà sotto aeree piantagioni
germinate dai sassi…

O signore e fratello! ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni:

«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»

La morte viene vista come il silenzio del corpo e la migrazione dell’anima verso mete ignote. La morte è intesa come un viaggio al di là della quale non si conservano i rapporti umani terreni, i quali verranno dimenticati col tempo, tuttavia non verrà persa la dimensione individuale dei singoli. La frase finale”nessun vincolo univa questi morti” parla di una divisione umana attraverso la morte e il tempo. Questa visione pessimista impregnata del comune senso disfattista del novecento, viene interpretata dall’autrice attraverso i versi precedenti.

“Dell’anima ben poco sappiamo. Berrà forse dai bacini delle concave notti senza passi, poserà sotto aeree piantagioni germinate dai sassi…”

Questi versi ci presentano forse l’idea dell’autrice, sebbene la morte porterà via i corpi e il tempo spazzerà via i ricordi, dell’anima noi poco sappiamo. Ed è proprio l’anima la continuazione della vita degli uomini e della propria esistenza. Una teoria di sapore platoniano; tuttavia va osservato che questa anima sembra comunque una viaggiatrice sterile, che resta legata al corpo o vicina ad esso, si poserà sui sassi che ricoprono le tombe, che col tempo potranno essere sostituiti da piantagioni e poi dal vuoto nelle notti senza passi. Ma in ogni caso l’anima è lì, continuazione dell’esistenza.

La poetica e in generale il pensiero poetico dell’autrice bolognese viene a sintetizzarsi attraverso la ricerca di una verità pura e sottile nascosta sotto i pensieri e le influenze della morte dell’esistenza. La ricerca di una purezza sacra in cui rifugiarsi o con cui illuminare l’esistenza stessa.

 

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