Leo Longanesi

Leo Longanesi, un genio anticonformista italiano che fu tutto e il suo contrario

Giornalista, direttore, pittore, grafico, editore, scrittore, sceneggiatore, regista e talent scout. Quante cose fu Leo Longanesi. Anarchico, feroce fustigatore,scettico verso una democrazia che tutelava il diritto alla mediocrità e fascista, borghese e anti-borghese, moderno e anti-moderno. Maestro di scrittori e giornalisti come Flaiano, Buscaroli e Montanelli, fu tutto e il contrario di tutto. Un unicum nella storia del giornalismo nostrano. Un genio italiano.

“Sono nato a Bagnacavallo nell’Agosto del 1905 […] Ho bazzicato il ginnasio e il liceo, e sono sempre passato col sei; tutto quello che non so, l’ho imparato in quegli anni. La mia ignoranza è infinita”. Così si presenta l’allora giovane ventiduenne Leopoldo Longanesi, in arte Leo. Quante cose è stato: giornalista, scrittore, direttore di giornali, editore… Ma anche pubblicitario, sceneggiatore, regista, caricaturista, aforista… Longanesi fu tutto, e il suo contrario: amante dell’ordine e dell’anarchia, moderno e antimoderno, borghese e antiborghese, fascista e antifascista. Davanti alle accuse di appartenenza all’una o all’altra parte aveva argomentazioni e aneddoti convincenti per confermare o negare la versione che più gli garbava. Una sua massima descrive bene la sua natura altalenante:
”Eppure, è sempre vero anche il contrario”.

Figlio di un ufficiale e di una donna di ceppo garibaldino e socialista, è al nonno materno Leopoldo che vanno attribuite le fascinazioni anarchiche che caratterizzarono la sua vita, mentre quelle fasciste all’essere nato in Romagna. Il suo carattere è pieno di contraddizioni: melanconico, romantico, nostalgico, elegante. Ma anche duro, cinico, volgare, spietato, offensivo:
“È morto Piero Gobetti e tutti piangono. Coccodrilli! […] La cultura, l’intelligenza, 24 anni, l’ospedale di Parigi…, ma chi se ne frega!… Che Iddio lo prenda in paradiso e basta!”. Oppure: “Trovarono il cadavere… e la signora Matteotti ci fece un figurone…”.
Si autodefiniva “un carciofino sott’odio”, e sappiamo perché. Decisamente basso, furbo, avaro all’inverosimile, ha descritto i vizi della sua epoca a forza di caricature, tutte dipinte a mano. Perché, tra le altre cose, Longanesi fu anche pittore. Come descrivere allora Longanesi? Longanesi non va descritto, va dipinto, alla maniera stessa di Longanesi. Va ritratto con uno schizzo di matita, fotografato con un flash. Perché Longanesi fu soprattutto un grafico.

Scriveva a mano, Leo Longanesi, mai a macchina. Disegnava personalmente i caratteri dei titoli dei giornali che avrebbe lui stesso impaginato. Il suo carattere preferito fu su tutti il Bodoni, e la S sinuosa, simile a una nave che solca ogni mare, la lettera prediletta. Frugava tra le botteghe piene di cianfrusaglie in cerca di parrucche, baffi finti, sottovesti… vecchia roba che avrebbe dovuto fungere da soggetto o da sfondo alla foto che aveva pensato per il prossimo articolo o copertina di giornale. Ed è questo che ne fa di lui un vero artigiano della cultura. Il suo segreto? La semplicità. Uno stile asciutto, immediato, tagliente lo contraddistingue: niente fronzoli e sbavature. La sua scrittura mira all’essenziale, coglie nel segno e sviscera il nucleo della realtà e, immancabilmente, centra l’obbiettivo. Il minimo della sintesi per il massimo risultato. Il minimo sforzo del lettore per la sua massima soddisfazione. I suoi libri si leggono col fiato mozzo. Frase breve, punto e a capo. È la Tecnica di Leo Longanesi che pare uscita dalla modernità dei tempi. Da vero imprenditore della cultura, fece sempre economia di parole.

Lunatico e solitario, sempre tendente al cattivo umore e alla malinconia, Leo Longanesi sghignazzava per non piangere. “Conservatore in un paese in cui non c’è niente da conservare”, fabbricò un gran surrogato italiano del grande stile borghese.
I romanzi non li scriveva. Farlo necessitava, inevitabilmente, di frasi banali. E lui voleva sorprendere. Scettico e cinico fino all’estremo, non bisognava mai credere ai suoi atti di fede: “Creda a me, non creda a nulla”. Per gli altri lavorava a tavola, regalando idee ai commensali; per se stesso lavorava di notte, cominciando disegni o libri che, nella maggior parte dei casi, non avrebbe finito. Longanesi funzionava per flash. L’idea scoccava come una scintilla, poi, finito il bagliore, annoiato e rabbuiato, lasciava perdere e passava ad altro. È per questo che ai posteri, delle sue opere, ha lasciato così poco. Quel che rimane sono per lo più disegni, brevi aforismi, memorie, appunti, ma nessun romanzo. Sono quasi tutte opere abbozzate, frammentarie, incompiute.

Si ricordano i pamphlet di costume come Ci salveranno le vecchie zie? o Il destino à cambiato cavallo, diari e taccuini come Parliamo dell’elefante o La sua signora, intrisi di malinconico sarcasmo. Ma il suo genio risiede nelle opere costruite per immagini. La sua tecnica è sobria fino all’estremo: immagine e didascalia. Così ha composto I borghesi stanchi e, soprattutto, Il mondo cambia. 1900-1950 Storia di cinquant’anni. La sua parola diviene immagine. Ogni foto ritrae un momento cruciale per l’epoca: ne segna i costumi, le tendenze, le paure, i sogni e le illusioni

In piedi e seduti (1919-1943) è invece l’unica opera veramente organica e compiuta di Longanesi. L’Italia “in piedi!” (appello agli italiani di mussoliniana memoria) è quella fascista; l’Italia “seduta” quella repubblicana. Uscita vinta e sfinita dalla guerra, abbandonato ogni sogno di grandezza, l’Italia si accascia al suolo, cadendo sul popò. Chi voglia sapere cosa sentissero, sognassero e volessero gli italiani durante il fascismo vada a leggere quest’opera unica. In essa, sopravvive ancora lo Spirito del tempo passato. Però, ancora una volta, verso la fine del resoconto, si nota la tipica stanchezza dell’autore nel trattare oltre l’argomento. E taglia corto sugli ultimi anni del fascismo. Un morto fra noi, è l’unico racconto, quasi un racconto; l’unico romanzo, quasi un romanzo. Longanesi lo scrisse per lasciare una testimonianza, affinché il fantasma di Mussolini gli lasciasse dormire sonni tranquilli. Il morto, neanche a dirlo, è il Duce, appeso per i piedi a Piazzale Loreto. E il suo cadavere, almeno per Leo, è decisamente ingombrante. L’opera – originalissima – è un capolavoro di riesumazione, un circumnavigare il cadavere calpestato dell’ex condottiero d’Italia.

Longanesi morì prematuramente, come gli animali rari, belli e delicati. Ed è questo a farne di lui una creatura quasi mitologica. È lui, Longanesi, il vero “morto fra noi”. Un cadavere poco ingombrante, data la statura. Gli facciamo spazio volentieri. Che si piazzi lì, in un cantuccio tutto suo, che è anche il nostro. Leo Longanesi, bonsai della cultura italiana, da annaffiare con le nostre lacrime di rimpianto. Non ce ne è stato e non ce ne sarà concesso un secondo. Un personaggio straordinario ed irripetibile. Un unicum nella storia del giornalismo italiano, come dimostra anche l’antologia di spunti alla Longanesi, un campionario di cattiverie argute, di racconti verosimili e letali, utili a dipingere un contesto, una persona, una situazione o una cultura che lo scrittore e giornalista Pietrangelo Buttafuoco ha voluto raccontare ricorrendo soltanto alle sue parole. Una collezione di pezzi di un intellettuale allergico alle definizioni, quella de Il mio Leo Longanesi, introdotto da Francesco Merlo, che è e sarà sempre attuale. Imperdibile per i cultori di Longanesi e per gli estimatori di Buttafuoco.

 

Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/homines/leo-longanesi/

Pubblicato da

Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

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