“Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica di tutte le vostre costruzioni”. (Luigi Pirandello)
Forse è questo ciò che accade quando, nelle nostre certezze, entra una frase, una parola, un concetto o un’idea di quell’uomo che, ancora oggi, resta con le sue opere famoso in tutto il mondo.
Pirandelliano, pirandellismo, termini che derivano da uno dei più grandi scrittori del ‘900 per indicare un avvenimento o una situazione paradossali. Un autore, un uomo, uno scrittore che, elabora e costituisce la poetica dell’umorismo respingendo l’armonia classica e il mito romantico.
Tre furono gli ambienti che influenzarono la formazione psicologica e culturale del grande drammaturgo e narratore sicliano premio Nobel per la letteratura che risponde al nome di Luigi Pirandello: quello siciliano, quello tedesco e quello romano. In Sicilia Pirandello visse dalla nascita, avvenuta ad Agrigento il 28 giugno 1867, fino al 1887, anno in cui si trasferì a Roma per continuare gli studi universitari, conseguendo a Bonn, in Germania, la laurea in filologia romanza.
I primi passi furono mossi all’interno della scuola siciliana, portando l’autore ad una visione relativistica della vita e del mondo. Fu però il teatro a dare quella fama più che meritata. Lo scrittore siciliano mette in scena attraverso relativismo, surrealismo ed espressionismo, le diverse fasi di uno stile di vita volto ad affrontare la realtà attraverso quell’umorismo, quel paradosso, che l’hanno reso uno dei pochi scrittori famoso in tutto il mondo. Per i primi anni, successivamente a conseguimento della laurea, si dedicò all’attività poetica (“Mal giocondo”, 1889; “Pasqua di Gea”, 1891), testimoniata in seguito da poche altre opere (“Elegie renane”, 1895; “Zampogna”, 1901; “Fuori di chiave”, 1912). Giunto a Roma nel 1893, fu introdotto negli ambienti giornalistici e letterari, dedicandosi ad un’intensa attività pubblicistica e creativa. Fu a partire dal 1915, successivamente ad una serie di problemi familiari che colpirono il padre e la moglie dell’autore siciliano, che si legò al teatro, anche nella regia, affrontando una serie di spostamenti all’estero. Diresse il Teatro d’Arte di Roma (1925-28) creando una propria compagnia, chiamandovi come prima attrice la giovane Marta Abba, alla quale rimase legato da profonda passione fino alla morte. Nel 1934 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura.
E, attraverso gli echi della sua vita, di quella giovinezza che lo ha condotto a divenire un drammaturgo mai dimenticato, ancora in grado di stupire chi si accinge per la prima volta ad avvicinarsi alle sue opere, ci avviciniamo a quei romanzi, “L’esclusa”- “Il turno” (1901-1902), in cui, come già accennato, si delinea una visione angosciosamente relativistica della vita.
“La vita o si vive o si scrive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola.”
Ma sono nelle vicende e nei personaggi le discordanze tra l’essere e l’apparire, il pare, ciò che realmente si ritrova nelle sue grandi opere, ciò che appassiona, ciò che trascina in una lettura senza tempo. E così Luigi Pirandello interviene nel racconto con ironia, sarcasmo, umorismo. Queste le caratteristiche che ritroviamo in quello che viene, ancora oggi, considerato il suo capolavoro , “Il Fu Mattia Pascal”(1904). Ma queste caratteristiche sono proprie anche delle successive raccolte di novelle (Erma bifronte, 1906; La vita nuda, 1910; Terzetti, 1912; Le due maschere, 1914, poi intitolata Tu ridi, 1920; La trappola, 1915; Erba del nostro orto, 1915; E domani, lunedì…, 1917;Un cavallo nella luna, 1918; Berecche e la guerra, 1919; Il carnevale dei morti, 1919) e dei romanzi posti nel mezzo o che seguono la “grande opera” (Suo marito, 1911, più tardi in parte rifatto col tit. Giustino Roncella nato Boggiolo, post., 1941; I vecchi e i giovani, 2 voll., 1913; Si gira…, 1916, tit. poi mutato in Quaderni di Serafino Gubbio operatore, 1925; Uno, nessuno e centomila, 1926). E nonostante quell’elemento realistico rimanga sempre in Luigi Pirandello, i modi della narrativa verista appaiono ora capovolti. Sullo sfondo provinciale e borghese di quella narrativa, e nel bel mezzo dei temi che le sono proprî (gelosie, adulterî, terzetti matrimoniali, pazzie, vendette), prende rilievo un’inquietudine nuova, per la quale il nome di Luigi Pirandello è stato accostato a quello dei maggiori esponenti del decadentismo italiano ed europeo: l’ansia dell’uomo che invano cerca di ribellarsi agli schemi della vita per essere soltanto sé stesso e inutilmente si sforza di comporre il dissidio tra forma (maschera) e vita (autenticità). Ai personaggi della narrativa verista, “vinti” ma non privi di una loro grandezza epica, succedono così figure di medî o piccoli borghesi, di impiegati, professionisti, pensionati, rappresentanti di una società priva d’ideali e condannati proprio per la loro realtà, per la loro condizione, per quella differenza sostanziale tra l’essere e l’apparire; e la narrazione si fa aggrovigliata, intesa, seguendo le tortuosità del pensiero e a creando intorno ai personaggi e alle loro vicende un’aria allucinata, di caos.