Gli inizi letterari di Nino Savarese (Enna, 11 settembre 1882 – Roma, 8 gennaio 1945) sono tra la Voce e la Ronda. Il gusto di questo romanziere di fama internazionale è quello di un frammentista e saggista, inteso ad ingigantire in forme liriche una realtà macerata dalla riflessione critica; accompagnata da una certa nostalgia per una narrativa ricondotta alle fonti di un epos popolaresco e dialettale. Alle Operette, nate nell’ambito delle sopracitate riviste, e ai Pensieri e allegorie, Nino Savarese ha aggiunto quanto di meglio gli offriva il suo lavoro degli ultimi anni, ovvero le prose che portano il titolo Meraviglie dei giorni. In esse c’è probabilmente il miglior Savarese, senza però dimenticare le Singolari avventure.
Savarese, oltre che prosatore d’arte in senso stretto, è stato anche narratore di un romanzo riuscito, tra il picaresco e il filosofico, come Singolari avventure, ma non lo si può dire altrettanto dei suoi romanzi veri e propri come Rossomanno, Il capopopolo, la Storia d’un brigante o in certi racconti di fondo regionale come Storie e fantasie, dove l’eredità verghiana si sente ancora come peso, grezzo documento. Del resto anche là il suo interesse, più che verso una narrazione imperniata sul costume o sui caratteri, Nino Savarese tende entro una cornice storica e regionale, a suggerire il senso che gli è proprio: il lento, assiduo e fatale trascorrere del tempo, la sua erosione nelle cose, il loro consumarsi. La noia di quel brigante per forza, l’assenza di una passione o in Rossomanno il trascorrere su quel feudo siciliano delle generazioni, il passaggio su di esso della storia illustre e di quella minuta delle umane formiche e il loro perpetuo rinascere, mentre le testimonianze di quel passaggio via via si corrodono: questi sono i sentimenti che lo scrittore ha sempre cercato e suggerito nelle sue pagine.
I sottili pensieri che intessono la prosa di Nino Savarese, le rapide immagini che le danno forza e rilievo, possono calarsi in questa forma d’arte con un maggiore equilibrio e con compiuta felicità d’arte. La cornice nella quale Savarese ritaglia le sue immagini è, pur senza precise e puntuali determinazioni, il paesaggio siciliano, o meglio un’ideale campagna che coincide con i luoghi natali dello scrittore. Ma Savarese non ci dà di esso una descrizione o un’interpretazione paesistica, né vi cerca personaggi o elementi di costume per dedurne pagine di idillio descrittivo, oppure scene di vita di provincia. La conversazione che egli vi scorge non è né l’eccezionale né il caratteristico, ma l’interno dèmone che segretamente le muta, le trasforma e le carica di storia.
La chiaroveggenza di Nino Savarese avverte la segreta erosione che il tempo opera sulle cose e, ad esempio, nella ferma luce di un’estate egli vede ciò che per gradi l’avvia verso il suo fatale corrompersi, il suo sentimento non è portato per questo, romanticamente, verso patetiche tonalità, ma piuttosto verso la contemplazione di un ordine, di una legge cosmica. Spirito essenzialmente classico, Savarese vede il demonico della natura come una forza da cui guardarsi; è questa ricerca di un ordine e di una misura che stimola la sua mente, di più che la sua stessa fantasia , che si imbeve della coscienza storica insita nel mondo, ricercandone la segreta armonia. Soprattutto quando Savarese, come nei poemetti L’insetto, L’assalto delle formiche, La morte dell’albero, trama le immagini in un gioco di analogie, in lui tutto ciò non è gioco d’intelligenza, piacere di metafora, ma si tratta di un trasferirsi morale nell’oggetto, per guardare il rapporto tra il piccolo e il grande con un sentimento di cosmicità. In questo senso Ricerca di un’ombra risulta essere l’opera più “filtrata” e matura, densa di stucchi, di Nino Savarese, dove egli ha adunato e concentrato più nudamente con un stile nitido, il fondo più segreto del suo animo riflessivo e classicamente sereno.
Bibliografia: G. Titta Rosa, Vita letteraria del Novecento, V. III.